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Il Travaglio di Grasso
15 . E' tempo di ricostruire
Umberto De Pace

Grasso - Travaglio

Dopo aver ascoltato Pietro Grasso a Piazza Pulita e Marco Travaglio a Servizio Pubblico ne ho ricavato una certezza e una serie di dubbi.
La certezza è che l'accusa di Travaglio a Grasso sulla presunta medaglia che quest'ultimo avrebbe voluto destinare a Berlusconi per il suo impegno nella lotta contro la mafia è una patacca; a meno che non si voglia dar credito, quale prova d'accusa, a una battuta telefonica scaturita da una telefonata nell'ambito della trasmissione radiofonica la Zanzara, condotta come tutti sanno tra il serio e il faceto.
I dubbi sono invece più di uno, a partire da quale sia il confine tra il giornalismo d'inchiesta e quello d'intrattenimento o salottiero che dir si voglia; quale sia il confine tra il rigore dei fatti e la varietà delle opinioni; quali spazi possa avere un confronto serio e leale nell'arena mediatica spesso altalenante tra monologhi accusatori e dibattiti caotici e vocianti.
Non conosco nei particolari le vicende oggetto della diatriba e se dovessi basarmi su quanto ascoltato tra i due contendenti mi verrebbe da dire che al massimo si può accusare Grasso di non aver agito con quel di più di determinazione – coraggio? – in alcuni momenti della sua carriera.
Ma preferisco astenermi non avendo sufficienti elementi certi per poterlo fare e sinceramente prenderei con le dovute cautele le affermazioni di Travaglio visto che non è nuovo, diciamo così, a forzare la notizia. Così come non è nuovo nell'accusare Presidenti del Senato; già lo fece nel 2008 nei confronti di Renato Schifani trascinandosi dietro una polemica con Giuseppe D'Avanzo, firma autorevole del quotidiano la Repubblica, a mio avviso uno dei più qualificati e validi giornalisti d'inchiesta, morto purtroppo prematuramente nel 2011.

Giuseppe D'Avanzo

Nel suo articolo “Non sempre i fatti sono la realtà” (la Repubblica 14 maggio 2008) così D'Avanzo descriveva Travaglio:
“Discutiamo di questo metodo, cari lettori. Del "metodo Travaglio" e delle "agenzie del risentimento". Di una pratica giornalistica che, con "fatti" ambigui e dubbi, manipola cinicamente il lettore/spettatore. Ne alimenta la collera. Ne distorce la giustificatissima rabbia per la malapolitica. E' un paradigma professionale che, sulla spinta di motivazioni esclusivamente commerciali (non civiche, non professionali, non politiche), può distruggere chiunque abbia la sventura di essere scelto come target (gli obiettivi vengono scelti con cura tra i più esposti, a destra come a sinistra)”.
Non so cosa avrebbe scritto oggi D'Avanzo sulla querelle Travaglio-Grasso, per quanto mi riguarda sento la mancanza del suo autorevole parere, accompagnata dalla convinzione che fra le macerie della seconda Repubblica non ci si dimentichi di portare alla discarica anche il giornalismo salottiero e quel “ … qualunquismo antipolitico alimentato, per interesse particolare, da un linciaggio continuo e irrefrenabile che può contaminare la credibilità di ogni istituzione e la rispettabilità di chiunque ” – per concludere con le parole dello stesso Giuseppe D'Avanzo.

Umberto De Pace

E' tempo di ricostruire
GLI ARTICOLI PRECEDENTI
  1. Libertà (aria), uguaglianza (acqua), fratellanza (terra)
  2. Sull'intolleranza
  3. La camorra infame e il ruolo dello Stato
  4. Lo Stato di Cossiga
  5. La zingara rapitrice
  6. Omertà di Stato
  7. Il clandestino gentiluomo
  8. La società multietnica e il piccolo presidente
  9. Lettera aperta a Valentino Parlato
10. In morte di un dittatore
11. Buonsenso e responsabilità
12. Politica, antipolitica e democrazia
13. Echi dal Palazzo
14. Una brutta storia


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  30 marzo 2013