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L'Impero americano
di Vittorio Amodeo

Al tempo dell'Impero romano non esisteva il diritto internazionale, per il semplice motivo che non esistevano le nazioni. O meglio le nazioni intese come etnie, agglomerati di popoli e tradizioni, esistevano ma non avevano dignità di Stato. Non erano portatori di autonomie e diritti, con voce paritaria nel consesso del mondo allora noto.
Le nazioni, per Roma, si dividevano in due classi: quelle soggette all'Impero, che inviavano doni a Roma, collaboravano volonterosamente alle campagne contro i nemici comuni, accettavano e subivano la pax romana. Le altre nazioni erano i nemici da debellare, contro i quali si abbattevano le ritorsioni e si scatenava la potenza militare romana (pur a volte soggetta a sconfitte). Parcere subiectis et debellare superbos, era la filosofia dell'Impero.
Non c'è dubbio che, così operando, Roma riteneva di essere nel giusto e di gestire un diritto-dovere del ruolo ricoperto.

Ma vennero tempi diversi, di declino e frammentazione della potenza romana. Nel Medioevo vi era ancora una soggezione delle comunità politiche alle supreme autorità del pontefice e dell'imperatore. Ma la successiva formazione in Europa di stati indipendenti dall'impero sviluppò il concetto dell'eguaglianza giuridica degli stati cristiani: col giusnaturalismo veniva teorizzato dall'olandese Ugo Grozio il diritto naturale all'esistenza e indipendenza degli stati (De iure belli ac pacis, 1625).
Nasceva così il diritto internazionale, e nell'epoca contemporanea giungeva alle più autorevoli conferme nella costituzione della Società delle Nazioni (1919) e soprattutto negli statuti dell'ONU (1945).
Nel cinquantennio seguente alla fine della seconda guerra mondiale l'ONU, pur tra alti e bassi, ha svolto una funzione di rilievo come foro di incontro e discussione tra le nazioni, specie le maggiori potenze impegnate nella rischiosa partita della guerra fredda. Ma con il declino e dissolvimento dell'URSS la potenza americana è emersa come unica superpotenza e di conseguenza l'ONU ha perso peso e incisività: non si tratta più di regolare rapporti tra nazioni eguali e indipendenti, ma di riconoscere l'imperio dell'unica superpotenza.

Già con la presidenza Reagan gli USA hanno iniziato a considerare l'ONU con sufficienza, quando non con aperto fastidio, negando sovente di versare le quote di finanziamento per il funzionamento dell'ente: quasi a subordinare il denaro a risoluzioni favorevoli agli USA. E con l'attuale presidenza di Bush junior l'ONU appare pressoché completamente accantonato, con gli USA che trattano direttamente con i paesi interessati o, più sovente, decidono autonomamente anche con il ricorso alla forza quando giudicano sia in giuoco il proprio interesse.
Secondo la Carta dell'ONU, la guerra non è lecita se non nel caso estremo di legittima autodifesa di uno stato aggredito. E gli stati membri “devono astenersi nelle relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza”.

Ma dal 1950 sono numerose le azioni belliche compiute dagli USA senza che si possa parlare di una subìta aggressione: dalla guerra del Vietnam costata loro 50.000 uomini all'invasione di Panama e Grenada, dalle azioni per destabilizzare il Cile al sostegno della guerriglia in Nicaragua, dal bombardamento in Libia contro Gheddafi alla guerra del Golfo degli anni '90, seguita da un embargo che dura tuttora e che ha prodotto un milione di vittime. Per giungere infine alla guerra contro la Serbia e, adesso, all'occupazione dell'Afganistan.
Alcune di queste azioni sono state formalmente avallate dall'ONU, ma sempre a seguito dell'iniziativa e sotto la pressione americana. E le modalità di condotta delle operazioni sembrano trascurare le regole internazionali: a Mazar–i–Sharif 300 prigionieri afgani vengono massacrati con un bombardamento aereo; ONU e Amnesty vogliono condurre un'inchiesta, ma gli USA si oppongono. Così si oppongono all'invio di osservatori in Palestina, dove sono centinaia le vittime della rivolta. I prigionieri talebani vengono trasferiti a Guantanamo in aereo, sotto sedativi e incatenati ai sedili per 27 ore, e colà chiusi in piccole gabbie di rete: trattamento disumano e umiliante contrario alle regole di guerra, Amnesty e ONU protestano, senza risultato. Infine in USA vengono imprigionate un migliaio di persone sospettate di attività terroristica, vengono mantenute in detenzione senza accuse precise e senza assistenza di avvocati; si stabilisce la creazione di tribunali segreti, per giudizi privi delle garanzie giuridiche internazionali.

Antonio Cassese è un noto giurista, che ha fatto parte del tribunale internazionale dell'Aja. A proposito dei detenuti di Guantanamo scrive: “Gli americani stanno dando prova non solo di scarso senso di umanità, ma anche di poca sensibilità politica e di disprezzo per gli imperativi giuridici della comunità internazionale. Ogni persona ragionevole si chiede perché mai gli americani si comportino in modo non solo contrario a essenziali principi di diritto e di etica, ma anche controproducente sul piano politico e psicologico”.
Gli USA ritengono ormai di poter fare ciò che vogliono. Pur comandando pressoché indisturbati nella Nato, si liberano anche di questa lieve pastoia per condurre le azioni in prima persona, come in Afganistan. Ormai le guerre non vengono più dichiarate, sono formalismi del passato: ora vengono fatte e basta, anzi non sono più guerre (che presuppongono una certa parità, almeno statuale, tra i contendenti) ma spedizioni punitive che decide autonomamente l'Impero contro i riottosi del momento, contro coloro che occorre umiliare per dimostrare la potenza imperiale.
Queste modalità seguite dagli USA li pongono in una singolare situazione: vengono esclusi – per le ripetute violazioni - dalla Commissione dell'ONU per i diritti umani (loro che se ne sono sempre fatti i portabandiera). E un deputato democratico esclama: “Noi rischiamo di divenire sempre più simili a coloro che vogliamo combattere” (cioè i cosiddetti stati canaglia).
Noam Chomsky è il famoso linguista americano, docente al MIT e noto internazionalmente. Nel suo libro 11 Settembre (Tropea) scrive: “Si deve riconoscere che in gran parte del mondo gli Stati Uniti sono considerati uno dei principali stati terroristi, e con buone ragioni”. Gore Vidal è un noto scrittore, cugino di Al Gore che fu vicepresidente degli USA sotto Clinton. Ne La fine della libertà (Fazi) è riportato: “Washington ha fatto ricorso all'assassinio politico, a squadroni della morte e a riprovevoli paladini della libertà (fra i quali Bin Laden). Ha orchestrato l'uccisione di Lumumba e di Allende; ha provato a fare lo stesso con Castro, Gheddafi e Saddam Hussein; ha posto il proprio veto contro qualunque sforzo di mettere un freno alle violazioni di accordi internazionali e risoluzioni ONU da parte di Israele”. E ancora: “Rischiamo di divenire solo uno squallido stato imperiale i cui cittadini vengono tenuti a bada dalle squadre speciali e il cui stile di morte, e non di vita, viene imitato da tutti”.

Siamo preoccupati. Non desideriamo ritrovarci arretrati di millenni. Gli USA sono stati tra i principali propugnatori dell'ONU, dei diritti umani, delle libertà individuali e collettive. Ora tendono a tornare alla visione pre-illuminista dello stato imperiale e della “guerra giusta”, che è tale quando decisa dallo stato egemone. La decadenza della Società delle Nazioni a Ginevra fu preludio alla seconda guerra mondiale: non vogliamo che l'attuale sminuimento dell'ONU anticipi tragedie simili. I valori universali dell'ONU occorre rimangano la guida degli stati e di un'umanità che non vuole recedere alle barbarie del passato.

Vittorio Amodeo

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  23 febbraio 2002