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L'ideologia della piccola impresa
Carlo Arcari su Left


Una scelta tutta “politica”, “ideologica”, “irresponsabile”. Questi i giudizi unanimi e palesemente soddisfatti con i quali i vertici politici della maggioranza, del Governo e di Confindustria, hanno accolto la decisione di Cofferati e della CGIL di dichiarare lo sciopero generale contro la modifica dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.
Berlusconi, lo statista di Arcore, gongola perché ha incassato una generica disponibilità a trattare di Cisl e UIL. D'Amato, l'imprenditore piccolo piccolo, applaude convinto di avercela fatta. Maroni, l'avvocato di Varese a cui alla fine qualcuno spara sempre nella schiena, si lecca le ferite e licenzia il suo compagno di partito e sottosegretario, Brambilla. Ma se qualcuno pensa, con questa giravolta, di avere messo in difficoltà la CGIL e “isolato” Cofferati si sbaglia di grosso. È più facile che a rimanere “isolati”, alla fine, saranno loro: Governo, Confindustria e i bravi segretari “trattativisti” di CISL e UIL
La partita è appena iniziata e gli esiti sono tutti aperti. Berlusconi è un baro, ma nemmeno un baro può vincere se chi gioca onestamente ha in mano le carte vincenti. E Cofferati queste carte, nel merito e nel metodo, ce le ha ancora tutte. Nel merito e nel metodo.
Se c'è una posizione “ideologica” è proprio quella di chi vuole eliminare le garanzie di tutela dell'articolo 18 che difendono il diritto di rientro al lavoro per il lavoratore licenziato senza giusta causa. Tutela che da sola ha rappresentato, dal '70 a oggi, l'unico deterrente efficace contro i licenziamenti decisi per motivi politici, sindacali, razziali, religiosi, sessuali e personali. Non è una caso che le vertenze di lavoro per questi motivi siano state pochissime in tutti questi anni: significa, infatti, che lo scudo rappresentato dalla legge ha funzionato. Oggi, chi vuole eliminare la tutela per i nuovi assunti nell'impresa minore, afferma di volerlo fare per consentire a queste aziende di assumere nuovi lavoratori. In pratica, dicono, l'azienda italiana sarebbe pronta ad assumere nuovo personale, ma ha paura di ritrovarsi a lavorare con un'impiegata antipatica e di non potersene liberare senza subire una condanna e pagare i danni. Piuttosto che correre questo rischio, sempre secondo loro, l'impresa italiana rinuncia a crescere e resta piccola e fragile. Di qui l'esigenza di liberarne le potenzialità imprigionate dall'eccesso di garanzie di cui godono gli occupati regolari.
Ma a chi la vogliono dare ad intendere? Se in Italia il 93% delle oltre 3,5 milioni di imprese da 15 anni a questa parte continua ad avere meno di 10 dipendenti, sarebbe dunque tutta colpa delle rigidità imposte ai padroni dell'articolo 18?
D'Amato, che è in realtà il presidente dei piccoli industriali italiani, perché l'80% e oltre delle aziende aderenti a Confindustria sono ormai piccole imprese, sostiene: ”Stiamo verificando per capire se le aziende con meno di 15 dipendenti potrebbero assumerne altri 4 o 5 alle stesse condizioni”. Come a dire, “potremmo creare diversi milioni di posti di lavoro fissi in più solo con questa modifica”. Tutto qui? Davvero basterebbe solo questo?
Sono senza fiato. Se questo è tutto ciò che sta dietro alla posizione di Confindustria e del Governo, le accuse di fare sulle tutele del lavoro una battaglia tutta politica, irresponsabile e ideologica, non vanno rivolte a Cofferati, ma a Berlusconi e ai suoi amici di viale Astronomia che, o mentono sapendo di mentire, o sognano ad occhi aperti.
La verità che emerge da questa vicenda è che l'Italia si avvia ad avere, per quanto riguarda il modello d'impresa, un pericoloso pensiero unico: quello della piccola azienda famigliare, incapace di misurarsi sulla qualità con i concorrenti del primo mondo e condannata a ritagliarsi quote sempre più esigue di mercato globalizzato, sottraendolo all'impresa del terzo mondo. Ma non potendo cambiare a breve il valore della sua offerta, deve agire sull'unica leva che gli rimane, quella fiscale e normativa che incide sul costo del lavoro. Di qui l'apparente contraddizione rappresentata dalla richiesta urgente del Nord Est leghista di assumere lavoratori immigrati per mantenere basse le retribuzioni per mansioni che gli italiani non vogliono più fare a quelle condizioni. Di qui la richiesta pressante di decontribuzioni e defiscalizzazioni che proviene dal “prato basso” dell'Azienda Italia, non per fare investimenti, ma solo per recuperare margini di sopravvivenza.
Se le cose stanno così, è evidente che, anche abbattendo l'articolo 18 e le sue tutele, non si potranno cambiare i conti delle aziende mentre si rischia di mandare all'aria l'equilibrio dei conti dello Stato, oltre che la sicurezza e la pace sociale. Ma i padroncini, grazie alla legge Tremonti, potranno comprare lo stesso la Mercedes aziendale e questa sembra essere l'unica cosa che interessa davvero a Berlusconi e a D'Amato, che proprio da questi soggetti prendono i voti che li tengono seduti sulle loro poltrone.
E Cofferati sarebbe “irresponsabile”?

Carlo Arcari


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  23 febbraio 2002