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Papa Francesco
a un anno dalla sua elezione (3)
Umberto De Pace

papa Francesco

I segni dei tempi.

Nella sua prima lettera enciclica – “Ecclesiam suam” (6 agosto 1964) – Paolo VI invitava ad avere una “sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi”. Papa Francesco è sicuramente un grande interprete dei segni del suo tempo; quanto ciò sia dovuto alla guida del Signore o alla sua scaltrezza lo lasciamo al giudizio di ognuno, rimane il fatto, riconosciuto dai più, che lo sia. “Sì, posso dire che sono un po' furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po' ingenuo. Sì, ma la sintesi migliore, quella che mi viene più da dentro e che sento più vera, è proprio questa: “Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato”. Così si definisce il pontefice e così ne prendiamo atto, come è bene prendere atto, per comprendere appieno il suo magistero, quale sia per lui il rischio peggiore: “ ... la malattia peggiore, è omogenizzare il pensiero, l'autismo dell'intelletto, del sentimento, che mi porta a concepire le cose dentro la mia bolla. Per questo è importante recuperare l'alterità e il dialogo”. In questo pensiero è raccolto il riconoscimento della differenza e la possibilità non solo della convivenza, ma anche dell'unione, la quale non va vista solo nell'ambito del dialogo ecumenico fra la Chiesa e le varie religioni, quanto nell'ambito più ampio di tutta la società. Una società alla quale occorre guardare non più come una Chiesa che “regolamenta la fede” ma come una Chiesa che “trasmette e agevola la fede”. Una Chiesa missionaria che sappia affrontare un'epoca nella quale non giocano più a suo favore, come un tempo, i modelli culturali di riferimento. Questo riconoscimento dell'altro, l'accettazione della diversità, fa parte della visione che monsignor Jorge Bergoglio espone chiaramente, ad esempio, nel messaggio rivolto alle comunità educative della città di Buenos Aires in occasione della Pasqua del 2002: “Una vera crescita nella coscienza dell'umanità non può fondarsi che sulla pratica del dialogo e dell'amore. Dialogo e amore che presuppongono il riconoscimento dell'altro in quanto altro, l'accettazione della diversità. Solo su questo si può fondare il valore di una comunità: non pretendendo che l'altro si subordini ai miei criteri e alle mie priorità, non “assorbendo” l'altro, ma riconoscendo il valore di quello che l'altro è, e accogliendo con gioia questa diversità che arricchisce tutti noi. Il contrario è mero narcisismo, imperialismo, pura stoltezza.”. Concetti che ripropone nuovamente nella sua “Evangelii Gaudium”: “ … chi desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l'altro e cercare il suo bene” – fino a riprendere un suggestivo esempio dal Libro dell'Esodo: “perché tutti imparino sempre a togliersi i sandali davanti alla terra sacra dell'altro (cfr Es 3,5)”. Concetti che non riguardano non solo l'individuo ma ricomprendono le comunità, i popoli con le loro culture. Per affermare ciò Papa Francesco si rifà alle parole di Papa Giovanni Paolo II: “la Chiesa, assumendo i valori delle differenti culture, diventa “ sponsa ornata monili bus suis”, “la sposa che si adorna con i suoi gioielli” (Is 61,10)”.

Tale visione aperta si basa non solo su una profonda fede in Dio ma anche, per alcuni forse inaspettatamente, in una radicata speranza nella persona umana, espressa nell'affermazione: “Io credo nell'uomo”, la quale più di ogni altra lo accomuna umanamente a tanti altri, che come lui, pur su posizioni diverse, su tale credo fondano la propria vita. Anche non credenti, verso i quali il Papa sottolinea la vicinanza quando: “ … cercano sinceramente la verità, la bontà e la bellezza, che per noi trovano la loro massima espressione e la loro fonte in Dio. Li sentiamo come preziosi alleati nell'impegno per la difesa della dignità umana, nella costruzione di una convivenza pacifica tra i popoli e nella custodia del creato” (EG 257). Da questo punto di vista la prospettiva cristiana non fa altro che rafforzare il credere nel futuro dal punto di vista umano, al di là degli innumerevoli momenti storici in cui la dignità dell'uomo e stata e viene tuttora calpestata. Tali convinzioni fanno parte di un continuo processo di apprendistato maturato dal “peccatore” Bergoglio e rafforzato dal suo continuo esercizio della pazienza. “Transitare la pazienza significa accettare che è il tempo a farci maturare. Transitare la pazienza vuol dire lasciare che il tempo modelli e amalgami le nostre vite”.
E' nel dialogo con il limite, nell'esperienza del limite che si forgia la pazienza. Affinché non venga confusa con il quietismo e la passività, Papa Francesco, si rifà alla pazienza di San Paolo: “quella che implica portare sulle proprie spalle la storia” e all'immagine “archetipica di Enea che, mentre Troia brucia, si carica il padre sulle spalle – Et sublato mortem genitori pativi –, si carica la sua storia sulle spalle e si mette in cammino, alla ricerca del futuro”.

Pompeo Girolamo Batoni “Enea in partenza da Troia”
Pompeo Girolamo Batoni “Enea in partenza da Troia”

Il processo continuo di apprendistato per Papa Francesco non ha implicato solo la coltivazione della virtù della pazienza. Fondamentale per la sua maturazione l'esperienza di governo, in qualità prima di superiore e poi superiore provinciale, nella Compagnia di Gesù. In tale esperienza Bergoglio riconosce i molti difetti che l'hanno contraddistinto, dovuti per lo più alla giovane età e alla gravità dei compiti affidatigli. All'epoca i suoi metodi autoritari e rapidi di prendere decisioni lo portarono all'accusa di essere ultraconservatore: “ … non sono mai stato di destra. E' stato il mio modo autoritario di prendere le decisioni a creare problemi.” – così spiega oggi Papa Francesco, senza giustificazionismi ma ammettendo ancora una volta cosa voglia dire in concreto essere un “peccatore”. “C'è sempre il pericolo di pensarsi un po' superiori agli altri, non come gli altri, un po' principe …” – dichiara ai giornalisti sul volo da Rio de Janeiro a Roma nel luglio 2013, riferendosi al suo precedente incarico di vescovo nella città di Buenos Aires dove pare si aggirasse “sempre con una faccia da funerale! Una faccia così, sempre seria …” – dichiara il suo successore e attuale arcivescovo di Buenos Aires pur riconoscendoli il cuore d'oro e la sua presenza continua nelle “villas miserias”. Tant'è che un parroco delle “villas” disse un giorno a Bergoglio: “Se vieni con quella faccia, ci rovini tutte le foto!”. Forse è per questo che diventato Papa, Bergoglio ha sempre stampato sul viso un dolce e mite sorriso? Di certo il parroco delle “villas” ha colpito al cuore il futuro Papa se questi nella sua prima esortazione apostolica ricorda a tutti, pur usando il condizionale, che un “ … evangelizzatore non dovrebbe avere costantemente una faccia da funerale”.
(segue)

Umberto De Pace


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  23 marzo 2014