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Appalti pubblici e corruzione
Umberto De Pace

Vauro in tasca

C'è una trama comune nelle vicende di “Mafia capitale”, dell'Expo, del Mose, della mafia lombarda e tante altre situazioni simili. E' quella che lega appalti e corruzione. Se non vi fossero corrotti, per raggiungere i propri scopi, gli autori del crimine e del malaffare dovrebbero agire direttamente, a “mano armata” tanto per capirci, e non più tramite i “colletti bianchi”. Scartata l'ipotesi, irrealistica, di eliminare del tutto la corruzione, proviamo a chiederci quali siano gli strumenti più idonei per contenerla, limitarla, contrastarla. Non tanto dopo che i fatti sono accaduti come oggi avviene, con il povero commissario anticorruzione Cantoni costretto ad attraversare in lungo e in largo l'Italia rincorrendo le continue emergenze che, come voragini, si aprono a ritmo sempre più incalzante; ma prima che questi misfatti accadano. E' possibile?

E' naturale e fisiologico che vi siano, vi sono stati e vi saranno sempre, corruttori e corrotti. Pur rappresentando una minoranza, la loro capacità di drenare le risorse all'interno delle comunità in cui operano, va calcolata a livello esponenziale. I primi, i corruttori, sanno riconoscere molto bene i loro alter-ego, chi può essere corrotto; non colpiscono a caso, hanno un olfatto sopraffino, una sensibilità ragguardevole. I secondi, i corrotti, alle volte si scoprono di esserlo un minuto dopo aver superato il limite del lecito e nel calcolo veloce che fanno dei pro e dei contro o nell'attimo di timore che li pervade, scivolano dall'altra parte quasi inconsapevolmente. Altri lo sono per natura, attendevano solo di essere sollecitati. Molti si rendono partecipi per avidità, pochi, ritengo, lo facciano per bisogno, intendo quello vero. E allora, se non possiamo illuderci di estirpare tutto ciò, cosa possiamo fare?

Proviamo a “semplificare” ciò che lega appalti e corruzione. Mi spiego. Se noi rendiamo la partecipazione agli appalti pubblici il più semplice possibile, quale sarebbe il risultato? Un risultato altrettanto semplice: allargheremmo la platea dei partecipanti e conseguentemente – se vale il principio dei grandi numeri, che vedi i disonesti in minoranza – aumenterebbero automaticamente le probabilità per i primi di vincere degli appalti e per i secondi di perderli. Più le leggi, i regolamenti, le norme sono complicate, più le persone oneste che dedicano il loro tempo e la loro passione al lavoro e alla loro professione, vengono allontanate e disincentivate a partecipare. L'inverso avviene per le persone disoneste, le quali dedicano il loro tempo al crimine e al malaffare, e quindi avranno sempre le carte in regola e tutte le conoscenze che contano a portata di mano, dato che non spendono il loro tempo nel lavoro e nella professione, ma lo dedicano completamente all'accaparramento dell'appalto. Una standardizzazione nazionale dei bandi di gara aiuterebbe di molto in tal senso – siamo un paese di “creativi”, pur avendo un'unica legislazione nazionale riusciamo a fare un po' ognuno quello che gli pare.

Ciò non basterebbe ancora a raggiungere il nostro scopo. Occorre fare un altro passo: smetterla di indire gare di appalto al massimo ribasso economico. Ce lo dovrebbe dire il buonsenso, ma dato che è una virtù rara, l'esperienza di questi ultimi anni dovrebbe insegnarci che l'adozione di tale criterio ci ha condotti in un vicolo cieco. Per chi è all'interno del mondo del lavoro – e non ne è solamente un osservatore esterno – è evidente lo stato di degrado della qualità delle opere, delle prestazioni, delle forniture. Così come dilagante è la pauperizzazione di tutta la filiera ad esse legata, per non parlare di situazioni di vero e proprio sfruttamento create da tale perverso meccanismo. Certamente non sfugge a nessuno la grande quantità di opere incompiute, sospese, protrattesi oltre modo nei loro di tempi di realizzazione e … nei costi finali. Ebbene, a chi può giovare tutto ciò se non a quei soggetti e a quelle forze che del profitto han fatto il proprio totem e del disprezzo della legalità la loro fede? Per non parlare del riciclo del cosiddetto denaro sporco. Togliere il vincolo del massimo ribasso, privilegiando valutazioni tecnico-economiche-prestazionali, allargherebbe anche in questo caso la platea dei partecipanti, aumenterebbe la qualità dell'opera o il prodotto finale e conseguentemente sottrarrebbe risorse e agibilità ai malfattori.
Affinché ciò si concretizzi occorre ovviamente un efficace strumento di controllo. Al posto di perdere tempo nel far finta di controllare le decine o le centinaia di partecipanti a una gara pubblica, chiedendo di tutto e di più, basterebbe sancire e poi ovviamente realizzare un controllo “radiografico” del vincitore a gara acquisita. Le piattaforme informatiche – da quelle regionali a quelle nazionali, non ultima quella dell'Autorità Nazionale Anticorruzione – già raccolgono e catalogano le attività imprenditoriali e professionali, non dovrebbe quindi essere difficile tracciarne i singoli curriculum o evidenziarne il “portafoglio” lavori, spesso alquanto nutrito nel caso di società “inquinate/inquinanti”. In tale opera di controllo, un ruolo fondamentale, dovrebbero averlo le associazioni di categoria, imprenditoriali e professionali, lungo tutta la filiera a partire dal bando, fino a giungere alla conclusione delle opere; ciò a tutela dei propri soggetti rappresentati e in sinergia con gli organi di controllo istituzionali, periferici e nazionali.

Tralasciando qui gli illeciti penali, per gli illeciti civili ed amministrativi occorrono delle sanzioni per le dichiarazioni mendaci in fase di gara, fino a giungere al mancato pagamento dei propri dipendenti o fornitori, all'utilizzo di manodopera irregolare o al non rispetto dei contratti di lavoro in essere, tanto per citare i casi più banali. Nello specifico, impedire a chi è riconosciuto colpevole di reiterare i propri comportamenti, semplicemente dichiarando fallita l'attività e aprendone contemporaneamente un'altra, come a tutt'oggi avviene, sarebbe già un grande passo avanti. Se a ciò si aggiungesse quella che potremmo chiamare a giusto titolo la “Riforma Davigo” – visto che è da anni che Piercamillo Davigo, ex pm del pool Mani Pulite, oggi giudice di Cassazione la propone – prevedendo un tasso di interesse giudiziale molto più elevato di quello bancario, le cause civili si ridurrebbero notevolmente e i debitori si guarderebbero bene dal farsi portare o dal resistere in giudizio, mentre i creditori vedrebbero riconosciuti i propri diritti. Sempre Davigo ci ricorda come, nel nostro paese, chi ruba denaro pubblico ha solo lo 0,4% di possibilità di finire in galera, contro una media europea del 4,1%. Concludendo, la risposta al quesito iniziale è positiva: è possibile contrastare e contenere la corruzione. Parafrasando Davigo, iniziamo a non perdere tempo ed energie con riforme inutili e lo Stato smetta di favorire i colpevoli.

Umberto De Pace


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  7 dicembre 2014