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Il presunto Stato islamico e i nazisti
Umberto De Pace

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Il presunto Stato Islamico dell'Iraq e del Levante sta consolidando le sue posizioni in Libia dopo essersi espanso in Iraq e Siria. Che vadano fermati non vi è alcun dubbio; che il farlo implichi l'uso della forza militare è altrettanto scontato. Chi lo debba fare e come ciò vada fatto va invece definito molto attentamente.

Le enormi responsabilità che gravano sulle democrazie occidentali – non ultima l'Italia e primi fra tutti gli Stati Uniti d'America – sullo stato attuale della crisi mondiale legata a quella che è stata definita la “guerra al terrorismo”, non possono non essere tenute presenti prima di accingersi a dare risposta all'ultimo quesito (vedi Kobane alla fine del mondo). La Libia è uno dei tanti esempi della mancanza di qualsiasi strategia o progetto politico e dell'uso scellerato della forza militare, con il tragico risultato che oggi abbiamo sotto gli occhi: un paese distrutto, da quattro anni teatro di una guerra civile palestra del terrorismo internazionale e oggi, ancor peggio, preda del presunto Stato Islamico. Non si poteva pensare nulla di peggio e a fronte di ciò oggi si ripropone l'eventualità di un intervento militare sul campo che potrebbe coinvolgere anche il nostro paese.

Forse per ripetere gli errori del passato pensando di contribuire ad esportare la democrazia sulle ali dei bombardieri? Forse per salvare la popolazione civile dal macello della guerra civile che per quattro anni si è stati a guardare? Forse per salvaguardare i nostri interessi e la nostra sicurezza eliminando l'avamposto del presunto Stato islamico che non aspetta altro che il nostro intervento? Forse è meglio smetterla con questa politica dell'improvvisazione che più che risolvere le crisi le continua ad amplificare.

Quindi la prima cosa che da “ieri” avrebbe dovuto dirci il nostro governo è all'interno di quale strategia politica intende operare? Quali siano i soggetti politici e le forze militari con le quali intende stabilire alleanze e stringere accordi sul posto? Quali le prospettive di ricostruzione e sviluppo futuro per il paese? Quali gli accordi in ambito europeo e internazionale? Quali siano le forze diplomatiche in campo e quali progetti queste abbiano perseguito fino ad oggi e come intendano proseguire?

Il presunto Stato islamico come un'Idra dalle molte teste si rigenera ogni qualvolta guerra e violenza prendono il sopravvento. I combattenti curdi a Kobane hanno dimostrato che può essere sconfitto – certo grazie anche all'aiuto dei bombardamenti aerei statunitensi e dei loro alleati – ma è chiaro che occorrono due elementi fondamentali perché ciò accada: il primo è la presenza dei combattenti sul terreno; la seconda è la forza della ragione che li spinge a combattere. Questi ingredienti sono presenti in entrambi gli schieramenti: gli uomini e le donne curde hanno combattuto in difesa della propria vita e di quella del loro popolo, motivati da una lotta pluridecennale per la propria autodeterminazione in un quadro sostanzialmente democratico.
I sostenitori del presunto Stato islamico hanno combattuto per imporre la loro cosiddetta legge islamica, usando dei metodi che non possono non ricordarci la ferocia nazista. Ma se in questo caso non vi potevano essere dubbi dalla parte di chi schierarsi lo stesso non si può dire per la Libia.

Bene ha fatto il presidente del consiglio a riprendere le avventate dichiarazioni dei suoi ministri “pronti a combattere”, ma anche la sua fin troppo candida confessione sulla “totale indifferenza degli ultimi anni e l'isteria attuale” non ci può non lasciare profondamente preoccupati.
Ci attendiamo quindi che il nostro governo dia una risposta alle troppe domande inevase in tutti questi anni; vanno date immediatamente perché la situazione è grave e urgente; vanno date perché il presunto Stato islamico va fermato e annientato, ma non darle e soprattutto non darne di esaurienti potrebbe risultare un domani fatale per le nostre stesse democrazie.

Il presunto Stato islamico combatte la propria delirante “guerra di religione” che anche “deliranti” intellettuali nostrani hanno fatto propria. Noi più semplicemente ricordiamo che i nazisti portavano sulle fibbie delle proprie cinture il motto “Gott mit uns” (Dio con noi) e che i nostri padri li combatterono e li sconfissero donandoci libertà e democrazia; sappiamo inoltre che non permetteremo a nessuno di sottrarcele.

Umberto De Pace

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  17 febbraio 2015