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Gli errori di D'Alema
di Vittorio Amodeo


Francesco Pardi, uno dei professori del “gruppo di Firenze”, ha scritto di recente (Unità del 13/2): “La nostra classe dirigente (di centrosinistra) ha espresso per molti aspetti un governo degno e capace ma che ha capito ben poco del suo, del nostro avversario. Che sulle questioni vitali per lo stato di diritto – giustizia, informazione, conflitto d'interessi – ha accumulato negli ultimi anni molti errori”.
Sono parole pesanti, che possono sconcertare: possibile che, governando, non ci si accorga di quali pericoli l'avversario può rappresentare per le istituzioni che si vogliono difendere e sviluppare? Eppure c'è da credere che le parole di Pardi siano veritiere: la percezione del pericolo rappresentato da un avversario anomalo come Berlusconi grande magnate dell'informazione (e non solo), che ha creato un suo personale e aggressivo partito politico, questa percezione non c'è stata o è stata sottovalutata.

Non vorrei cadere in un delirio di autocitazioni, ma qualcosa va pur ricordato. Nel dicembre '94, durante il primo governo Berlusconi, Massimo D'Alema segretario del PDS veniva intervistato da Raidue. Parlando di Berlusconi usava toni soft ed evitava ogni polemica sulle strane peculiarità di questo premier. Non potevo fare a meno di scrivere a D'Alema: “Lei usa molto fair play nell'accennare al suo avversario politico. Ma Berlusconi non è un politico puro, al contrario è un politico assai impuro in quanto alla politica assomma i suoi colossali e strategici interessi privati, non sempre limpidi come dimostrano le numerose inchieste in corso. Mi stupisco sempre come le questioni di incompatibilità tra interessi privati e guida politica del paese, questioni che all'estero suscitano allarme, siano da noi sorvolate quasi fossero inesistenti. Lei certo conosce le testimonianze di Biagi e Montanelli, che affermano ciò che moltissimi pensano, vale a dire che Berlusconi è stato determinato a entrare in politica dalla volontà di salvare se stesso nonché le sue aziende, che riteneva minacciate. Mi sembra che questi interessi e questi pericoli vadano denunciati in ogni sede possibile, rinunciando a un eccessivo fair play che dall'altra parte non è certo ricambiato e che finirebbe per sottacere agli elettori qualcosa di importante”.
Nell'ottobre '96, governo a guida Prodi, si verificano critiche verso i magistrati da parte del PDS. Scrivo a D'Alema: “Gli attacchi cui assistiamo verso l'opera della magistratura… da parte del PDS mi deludono. Credo che compito della sinistra sia quello di dare tutto l'appoggio possibile per vincere la corruzione, piaga che inquina il paese… sosteniamo i magistrati e l'opera di pulizia morale”.
Nell'ottobre '97 il sostegno di Bertinotti al governo Prodi comincia a traballare, di lì a poco culminerà nella caduta di Prodi. Scrivo a D'Alema: “Mi consenta un rimprovero: lei trascura Bertinotti. Ma per tenere cucita questa maggioranza, che consente a Prodi di operare così efficacemente, Bertinotti è indispensabile. Lo distragga, lo prenda sottobraccio, lo inviti alle feste, lo porti a vedere come si sono evoluti i comunisti in Francia, in Cina, in Russia: sarebbero viaggi bene impiegati”.

Non mi sento di far rimprovero a D'Alema per non aver dato ascolto alle parole di un elettore qualsiasi: sta di fatto che le critiche che gli vengono ora mosse da più parti erano ben presenti già nel corso della sua azione come segretario politico.
Come succede a ogni forte personalità, D'Alema adesso ha sostenitori e antagonisti nella sinistra stessa. Poiché le critiche piovono alquanto pesantemente e sembrano essere in maggioranza, mi ripugna un poco intrupparmi nei contestatori e infierire. D'altra parte ci sono recentissime esternazioni di D'Alema che vien fatto di giudicare sbagliate e pericolose (ne parlo dopo), dunque occorre pur schierarsi con chiarezza per tentare di evitare danni ulteriori. Vediamo qualcuna tra le passate vicende che possono essere classificate come errori.

Bicamerale
: per invogliare Berlusconi, inizialmente contrario alla partecipazione, accettò di introdurre il tema della giustizia, prima non previsto. La Bicamerale fallì negli scopi di riforma costituzionale ma produsse il “giusto processo” che, come ricorda Borrelli (Micromega 1/2002), anziché sveltire la giustizia costituì una bardatura in più e un incentivo ai cavilli processuali.
Bertinotti: la crisi del governo Prodi fu provocata da Bertinotti, ma c'è una testimonianza di Di Pietro secondo la quale Bertinotti fu indotto al rifiuto dalla rigidità di D'Alema che non accoglieva nulla di quanto egli proponeva. Non tenere agganciata l'estrema sinistra fu certo una manchevolezza.
Guerra contro la Serbia: le decisioni di massima erano state prese dal precedente governo Prodi, ma D'Alema avrebbe potuto moderarle quando si vide la violenza che assumevano le operazioni e le vittime che producevano (Grecia e Turchia, pur facendo parte della Nato, s'erano tirate fuori). Al contrario con D'Alema la partecipazione italiana aumentò, comprese azioni belliche dirette, e questo comprensibilmente accrebbe le fratture nella sinistra.
Cermis: poco dopo che al Cermis un aereo militare americano aveva tranciato i cavi della funicolare provocando una ventina di morti, D'Alema era in visita presso Clinton e lì apprese che i piloti americani erano stati assolti. Avrebbe dovuto protestare con energia, chiedere l'immediata sospensione dei voli ed eventualmente la soppressione di alcune basi americane. Prevalse il quasi-silenzio.
Amministrative: durante le ultime elezioni amministrative D'Alema, quale capo del governo, avrebbe potuto e credo dovuto tenersi fuori, lasciando la guida della campagna al segretario politico. Invece vi si gettò di peso, convinto di poterle vincere. Il risultato fu un fiasco, tale che spinse D'Alema alle dimissioni. Un protagonismo eccessivo e un calcolo sbagliato, che ci costò una crisi di governo in più.

L'attività politica è ingarbugliata ed errori sono inevitabili, si può obiettare. Può essere vero, ma dagli errori, almeno, occorre imparare. D'Alema appare puntigliosamente certo di essere nel giusto. Non ama le “autocritiche imposte”, vale a dire non ama le critiche tout court. Pazienza, nessuno le ama. Ma ora (Repubblica del 13/3) dichiara: “E' stato un errore accantonare il dialogo con la Lega”. Eh no, questo è troppo. Anziché riscoprire i valore della sinistra, riavvicinarsi a Rifondazione, Di Pietro, ai movimenti spontanei e autoconvocati, propone di riallacciare con un partito impresentabile come la Lega, che ci fa vergognare in Europa.
Se queste sono le ricette di D'Alema, è bene che lasci operare il nuovo segretario Fassino che invece alle nuove istanze appare sensibile. E magari abbandoni una presidenza, poco significativa e priva ormai di quell'ampio consenso che sarebbe auspicabile.

Vittorio Amodeo

Sulla situazione americana vedi anche l'articolo di Vittorio Zucconi su la Repubblica del 9 marzo, riportato nella rassegna stampa di arengario.net (n.d.r.)

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  24 marzo 2002