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Dopo il 25 aprile
La delusione di un protagonista
Dalle considerazioni finali del libro “Tornim a baita” di Giovanni Battista Stucchi

G.B.Stucchi dopo Nikolajewka
G.B.Stucchi dopo Nikolajewka

Non serve tornare alla baita quando questa è stata distrutta.
Il dopo-liberazione è stato un lungo dialogo condito di delusione e di rabbia.

È stato detto che la Resistenza non è fallita, è solo incompiuta. Ciò dice poco se non si va ad analizzare quello che è stato fatto e quello che rimane da fare. Allora si vedrà non solo che il non fatto supera in larghissima misura il fatto, ma soprattutto che il non fatto riguarda l'obiettivo prioritario di cambiare faccia al paese. Cambiar faccia significava allora repubblica al posto della monarchia, mutamento dei rapporti di produzione e attraverso questo arrivare alla giustizia sociale, cominciando da quella fiscale.

La Repubblica nata dalla Resistenza ne è la figlia degenere.
Sì è una repubblica, ma a parte l'assenza di un re, il resto è tutto il contrario di quello che la Resistenza aveva configurato.
Ha detto Parri di riconoscere il proprio fallimento. Caro Maurizio! Il tuo sarà uno dei pochi nomi che resteranno nella storia. Proprio il buio dell'ultimo trentennio che abbiamo avuto la sventura di vivere mette in risalto la purezza della luce che emana da quella lotta di popolo che si chiama Resistenza. Molti purtroppo sono stati e sono gli italiani che non ne sono degni e non a caso tutti tra i potenti. Si può perdonare all'ignoranza, non alla furberia e al dolo. La storia non finisce oggi.

Lelio Basso dice: «È stato detto che la Resistenza è viva perché il fascismo è vivo. Io credo di poter aggiungere che il fascismo è vivo anche – non direi soltanto, ma anche – perché l'Italia, così come era stata immaginata dalla Resistenza e in una certa misura recepita dalla Costituzione, in realtà non è mai nata».

A Palazzo Chaillot di Parigi il 10-12-1948 l'Assemblea dell'ONU approvò la «Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» in cui sta scritto: «Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza». I nostri governanti da allora hanno accusato di aver violato il patto un poco tutti i paesi del mondo, senza guardare in casa propria.

Molti non si rendono conto che le grandi potenze finanziarie, quelle che detengono il potere in casa propria e nel resto del mondo, hanno sempre creduto di poter mascherare il loro dominio col pretesto di difendere la libertà.
Al fondo esse difendono una libertà che è di classe, della loro classe, o addirittura una libertà di casta, che è la loro casta.
Hanno un bel parlare di libertà democratica quando esistono milioni e miliardi di disoccupati che liberi non sono e non possono essere.
Il paese più libero è quello che ha meno disoccupati.

Noi della Resistenza non siamo stati né vinti né vincitori. Abbiamo vissuto momenti prodigiosi, momenti di deciso avanzamento verso il processo sociale, seguiti da momenti di regresso in una situazione di crescente conflittualità. Ma i momenti di regresso non sono riusciti a cancellare del tutto ciò che nell'animo nostro è stato costruito dalla lotta di Resistenza: «possono uccidere l'uomo ma non cancellare la gioia di quando egli ha sognato la libertà» (Cfr. Jean Ziegler, Una Svizzera al disopra di ogni sospetto). Questa è tuttora in atto, continua tuttora verso gli obiettivi di allora. Al termine del grande processo storico del quale noi abbiamo vissuto gli inizi si constaterà che quello che era stato detto essere «insurrezione» era virtualmente una rivoluzione in germe. E che la storia va misurata non ad anni, ma a secoli. Dopo il primo strappo segue il lungo processo verso la totale liberazione.

Piero Calamandrei scrive testualmente: «in questo clima avvelenato di scandali giudiziari e di evasioni fiscali, di dissolutezze e di corruzioni, di persecuzioni della miseria e di indulgenti silenzi per gli avventurieri di alto bordo, in questa atmosfera di putrefazione che accoglie i giovani appena si affacciano alla vita, apriamo le finestre; e i giovani respirino l'aria pura delle montagne e risentano i canti dell'epopea partigiana». E dopo avere per anni aperto le finestre e riudito il canto degli eroi, cosa fare ? Alcuni giovani si sono messi a sparare.


Giovanni Battista Stucchi è deceduto il 31 agosto 1980 e il libro è uscito tre anni dopo curato dalla figlia Rosella.

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  26 aprile 2015