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L'EUROPA CHE NON C'È
Il terrore, il cinismo e il coraggio
Umberto De Pace

una vittima

Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo, la sconfitta del terrorismo jihadista richiederà lungo tempo ed enormi sacrifici e si trascinerà dietro molte vittime innocenti, fra le quali non sono mancate e non mancheranno anche quelle di cittadini europei. Ce lo ricordano la strage di Sousse in Tunisia e l'attentato vicino a Lione in Francia, senza dimenticare la strage nella moschea sciita in Kuwait.

Qualcuno forse si illudeva che con le stragi di Charlie Hebdo e del museo del Bardo a Tunisi il “nostro” tributo di sangue e dolore fosse stato pagato e che il passaggio in secondo piano delle notizie provenienti dalla Siria, Iraq, Yemen etc. supportasse in qualche modo tale illusione. D'altronde concentrati come siamo nel perpetrare non-soluzioni sul problema dei profughi e dei migranti, distratti da improbabili quanto anacronistici pensieri o progetti di difesa dei “nostri” confini, cinici sostenitori dell'”aiutiamoli a casa loro”, facendo finta di non vedere e sapere cosa succede a casa “loro”, non stupisce se per convinzione o scaramanzia qualcuno ancora pensa di cavarsela con un “noi” e un “loro” dispensati a seconda della convenienza. Concetti non solo obsoleti ma anche inadeguati a farci comprendere ciò che accade quando il terrore arriva dall'interno di quel pronome a cui così facilmente e inconsapevolmente troppo spesso ci appelliamo, come ci dimostra non ultima la strage di Charleston in South Carolina.

Occorre comprendere che nel mondo globale il “noi” e il “loro” non è stabilito da un certificato di nascita, da un passaporto, da una lingua o da una religione, da un muro o da un reticolato, il “noi” e il “loro” è stabilito da chi difende, lotta e combatte per tutti gli uomini e le donne che vogliono la libertà e chi invece lo fa in nome della propria religione, ideologia o potere e conseguentemente per opprimere altri. Quello è il “confine” che delimita “casa nostra”, se proprio vogliamo usare quel linguaggio primordiale che oggi smuove gli istinti, più che le intelligenze, dei più. Lasciando da parte gli apprendisti stregoni delle nuove e vecchie destre europee e concentrandoci sui falsi profeti, bestemmiatori dell'islam e imprenditori del terrore, è indubbio che il loro scopo principale è proprio quello di marcare in modo netto quell'altro mutevole “confine” dettato dalla religione, dalla cultura, dai legami di sangue, all'interno del quale si muovono come pesci nell'acqua. Ed è per questo che gli uomini liberi devono essere consapevoli che le loro migliori armi contro questa deriva sono la libertà, la democrazia, l'uguaglianza e la solidarietà, rendendole disponibili per tutti quelli che le desiderano, accomunandoli in quella casa comune che non ha confini se non quelli dettati dai diritti e dai doveri che derivano da tali principi.

Affermare ciò non è una questione puramente teorica, ha delle conseguenze concrete e immediate che consistono, ad esempio, nel supporto diretto verso quelle forze e realtà che si trovano in prima linea nella lotta contro il terrorismo jihadista: il popolo Curdo e la fragile democrazia tunisina. Come può l'Europa essere credibile avendo da sempre come interlocutore se non alleato un'Arabia Saudita – finanziatrice fino a ieri dei terroristi islamici, oggi parte della coalizione internazionale anti-Isis e a capo della coalizione che bombarda indiscriminatamente lo Yemen – mentre, al contempo, balbetta e centellina la sua solidarietà e i suoi aiuti ai Curdi? Nel macello siriano l'unico punto chiaro e affidabile è il popolo curdo e non si può pensare di cavarsela con qualche bombardamento.

Se questa Europa che non c'è provasse a riprendere in mano il suo futuro partendo dall'impostare un proprio progetto geopolitico, rivedendo le sue alleanze e conquistandosi autorevolezza e credibilità ai tavoli internazionali per la risoluzione dei conflitti, sarebbe già questo un primo passo per cercare di uscire dalla bolgia di guerra e terrore nella quale anch'essa si trova, purtroppo in parte anche per comprovata colpa. Il potenziamento dei servizi di intelligence (a quando il loro coordinamento europeo?), l'affrontare il disagio sociale e le nuove povertà, la cooperazione internazionale, sono tutti temi e aspetti importantissimi della questione, ma in mancanza di una chiara e comune strategia politica di lungo respiro non potranno mai essi soli permetterci di sconfiggere né il terrorismo internazionale né, il suo alter-ego, l'infausta pratica della “guerra al terrorismo”.

Per l'Europa le esperienze del recente passato, Libia e Ucraina fra le principali, non depongono a favore di tale prospettiva; la questione della Grecia ce lo ricorda oggi in tutta la sua drammaticità, ma non vi sono alternative e non è un caso che le prospettive e le opportunità di cambiamento, le speranze che ci permettono di guardare al futuro sono riposte in due “piccoli” popoli, quello curdo e quello greco. E' da lì che potrebbe ripartire questa Europa che non c'è, ed è con questi piccole-grandi questioni che dovrebbe misurarsi la sinistra europea anch'essa inconsistente e senza alcun coraggio. Nel frattempo non illudiamoci che la “nostra” partita sia finita sulla spiaggia di Sousse.

Umberto De Pace


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  30 giugno 2015