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PALESTINA E ISRAELE

1. Introduzione
Franco Isman

murale di Banski sul muro a Betlemme
Ma perché non si parlano ?


Scrivo in prima persona perché per quanto riguarda la Palestina, e i palestinesi, non si può guardare da lontano, con stacco. Bisogna fare una “full immersion”, vedere con i propri occhi, cercare di capire, farsi un'opinione e quindi esprimere la propria posizione, i propri sentimenti, il proprio giudizio.

Nell'ultima settimana di agosto sono stato in Palestina, e di passaggio in Israele, con un gruppo di 18 persone organizzato da Assopace Palestina accompagnati da Luisa Morgantini, di cui avrò modo di parlare. A Gerusalemme, Betlemme e Jaffa abbiamo avuto una guida palestinese e in tutti gli incontri si è parlato in inglese, con la Morgantini o uno (anzi una) di noi che traduceva.

Sono partito credendo di conoscere abbastanza bene la situazione ed avendo ferme convinzioni riguardo alla terrificante politica del governo di Israele di cui ho più volte scritto su Arengario. Purtroppo è molto peggio e, a mio parere, senza alcuna possibilità di una soluzione decente per i palestinesi.

Fin dall'inizio, dal viaggio dall'aeroporto di Tel Aviv a Gerusalemme, perché la Palestina non ha un suo aeroporto, è stato un susseguirsi di impressioni forti, di pugni nello stomaco: l'autostrada, presidiata con posti di blocco, è riservata ai cittadini israeliani, i palestinesi non possono utilizzarla e devono usare strade alternative strette e tortuose, una vera e propria apartheid.

E poi gli insediamenti in territorio palestinese, in particolare tutto attorno a Gerusalemme, diventati praticamente quartieri della città. E gli insediamenti a macchia di leopardo nella stessa città araba, con i ragazzini israeliani che vanno a scuola per le stradine tortuose scortati sempre, per un gruppetto o anche per uno solo, da due vigilantes armati di mitra, uno davanti ed uno dietro.

E poi il Muro, altissimo, sovrastato da reticolati, immediatamente a ridosso della strada. L'avevo visto in numerose immagini, ma vedertelo addosso, sapendo che i palestinesi sono rinchiusi dall'altra parte, è un'altra cosa.

E ancora: il colono, un civile, con sottobraccio un mitra, un'arma da guerra, che cammina frettoloso in una via di Gerusalemme nuova. Con la pistola nella fondina ne ho visti più d'uno, con il mitra solo quello e non ho fatto in tempo a fotografarlo.

Il documentario spaventoso dell'uccisione di un giovane colpito in un occhio non so se da un lacrimogeno o da un proiettile di gomma durante una manifestazione: lo abbiamo visto in casa Tamini nel villaggio di Nabi Salem, quello del filmato famoso del soldato israeliano e del ragazzino col braccio rotto; ne parlerò più avanti con un'ampia documentazione fotografica che non lascia dubbi su quanto è davvero accaduto venerdì 28 agosto, tre giorni dopo la nostra visita.

La valle del Giordano e il villaggio palestinese i cui terreni una volta fertili erano irrigati con lunghe canalizzazioni in cemento alimentate da una sorgente, oggi completamente senza acqua: gli israeliani hanno scavato un pozzo profondo che alimenta un acquedotto e che ha prosciugato la sorgente lasciando in secca i canali di irrigazione palestinesi.

E Nablus con anche la visita a Duma alla famiglia del bimbo arso vivo dal lancio di molotov attraverso la finestra da parte di un colono, pazzo criminale; e ieri, dopo il bimbo e il padre, è morta anche la madre per le gravi ustioni riportate.

Non ho partecipato, per mia fortuna, a questa visita perché avevo abbandonato il gruppo (con mia moglie Rosella ed altre due partecipanti) per visitare lo Yad Vashem, il museo della Shoah (il termine olocausto, comunemente usato, è di per sé fuorviante: sterminio, non olocausto e cioè offerta di un sacrificio alla divinità). Mi sembrava davvero impossibile essere a Gerusalemme e non andare a visitarlo.
Museo splendido, il più grande al mondo sulla Shoah, visita ovviamente coinvolgente ed angosciante. La Shoah non giustifica certamente il comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi, permette però di capire l'imperativo categorico del “mai più” sempre presente nella mente degli israeliani ma anche degli ebrei di tutto il mondo.
Ma questi viaggi sono assolutamente a senso unico, è il loro difetto, e gli israeliani sono visti soltanto come i perfidi israeliani. E questo ricorda molto, purtroppo, i “perfidi giudei” con le terribile conseguenze che ne sono seguite.
(1. continua)

Franco Isman

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  08.09.2015