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L'Arabia Saudita pronta ad assassinare Alì al-Nimr
Umberto De Pace

Alì al-Nimr
Ali al-Nimr, 21 anni, condannato a morte per 'banditismo'.

Alì al-Nimr è un giovane di 21 anni condannato a morte con l'accusa di aver partecipato all'età di 17 anni a una manifestazione contro la teocrazia che governa l'Arabia Saudita. Lascio ad altri, più esperti in materia (Tahar Ben Jelloun) la spiegazione di quanto illiberale, antidemocratico, violento e anacronistico sia il regime saudita con il quale il (non solo) mondo occidentale, Italia compresa, ha forti legami economici, politici e militari. Ora quel paese si appresta a decapitare e crocifiggere il giovane, esponendo il corpo al pubblico a scopo di monito, a seguito della sentenza definitiva di condanna. Manca solo la ratifica del verdetto da parte del re, essendo l'Arabia Saudita una monarchia assoluta e per questo sono in corso iniziative, in molti paesi del mondo, per la raccolta di firme che si appellano alla clemenza del sovrano (Amnesty International).

Decapitazione e crocifissione, gli stessi metodi applicati dal presunto Stato islamico contro il quale una coalizione internazionale, con a capo gli Stati Uniti e di cui fa anche parte l'Arabia Saudita, sta combattendo. Metodi da sempre adottati nel regno saudita, paese membro delle Nazione Unite che per una macabra ironia della sorte vede il suo ingresso, qualche giorno prima della condanna di Alì al-Nimr, nel comitato Onu incaricato di designare gli esperti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani.

Certo, la condanna a morte non esiste solo in Arabia Saudita, anche se è fra i paesi che ne eseguono il maggior numero; e di fronte a una condanna a morte il tema principale sicuramente non è quale sia il metodo migliore per effettuarla ma che la stessa vada abolita. Rimane comunque il fatto che trovandoci di fronte a una giovane vittima, che al momento dell'arresto aveva 17 anni; accusata di reati che, anche qualora gli stessi fossero comprovati, sarebbero inconsistenti di fronte a qualsiasi tipo di condanna estrema e non ultimo, trovandoci di fronte a un regime in cui non vige non dico la democrazia ma neanche una pur minima garanzia di rispetto dei diritti umani, la condanna emessa dalla Corte penale speciale e dalla Corte suprema dell'Arabia saudita è un semplice quanto aberrante assassinio.

Assassinio la cui colpa, qualora venisse compiuto, non ricadrebbe solo sul regime saudita ma su tutta la comunità internazionale e su tutti quei governi che non avranno fatto quanto necessitava per impedirlo. In particolare i governi della nostra Europa non pensino di cavarsela a buon mercato con qualche appello, denuncia o pressione diplomatica, perché se così fosse rimarrebbero egualmente corresponsabili di tale barbarie. Ci si aspetta altro dai governi europei, non ultima l'interruzione dei rapporti diplomatici ed economici. Questo è il momento, questo è il “singolo” e specifico caso, in cui la democrazia, la libertà, i diritti umani vanno “esportati” in quei paesi per i quali essi non hanno alcun valore. E' il momento di farlo non attraverso guerre, né attraverso vendite di armi, non per mezzo dell'ipocrisia diplomatica e politica, ma con la fermezza e la determinazione di chi è convinto che quei principi debbano diventare patrimonio dell'umanità intera. E' il momento di dimostrarlo oggi, subito.

Umberto De Pace


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  28 settembre 2015