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USA: quale sicurezza?
di Vittorio Amodeo


Gli Stati Uniti spendono in armamenti quanto spende tutto il rimanente del mondo. Si potrebbe dire che 275 milioni di americani sono armati, ciascuno, venti volte più che non la media dei rimanenti sei miliardi circa.
Perché armarsi tanto? Ci si arma, in genere, perché si vuole battere l'avversario, oppure per ottenere sicurezza. Ma ormai gli USA non hanno più avversari: l'ex-URSS, sfiancata dalla corsa agli armamenti imposta dagli USA, ha dovuto rinunciare al ruolo di antagonista e ha ridisegnato il suo rapporto con l'Occidente. La Cina, e altri paesi comunisti o ex-comunisti, sono impegnati in seri problemi di crescita interna, e non pensano certo di misurarsi con il colosso americano. Senza contare che una guerra tra potenze è impensabile nell'era atomica: si è calcolato che le testate nucleari presenti sono in grado di distruggere 35 volte ogni traccia di vita sulla terra. Con l'ultima riduzione missilistica convenuta (ma non ancora attuata) gli ordigni scenderebbero da 6000 – 7000 per parte a circa 1700: vuol dire che la potenzialità di distruzione scende da 35 volte a 10 volte, sempre abbastanza per convenire che ci troviamo di fronte a situazioni e a calcoli demenziali.
Dunque gli USA non hanno avversari credibili, e se si armano tanto è piuttosto per garantire il loro predominio politico-economico a livello mondiale e, soprattutto, la loro sicurezza. Gli USA vogliono sicurezza, e in questo non si può dar loro torto: ogni paese, ogni nazione desidera essere garantita entro il proprio territorio. Il fatto è che altri paesi si possono sentire ragionevolmente sicuri a costi enormemente inferiori: gli USA invece hanno un problema di leadership mondiale, questo li porta a mantenere in efficienza circa 500 basi militari disseminate in tutto il mondo, al fine di poter rapidamente intervenire dove ritengano siano minacciati i loro interessi. Inoltre intendono essere all'avanguardia nelle armi più sofisticate e distruttive, e tutto ciò – è ovvio – ha costi elevati, che però trova una forma di compenso nella buona saluta che gode l'industria degli armamenti.
Tuttavia, dopo il dramma delle Torri gemelle, gli USA non si sentono più sicuri entro il loro territorio. E' un'insicurezza strisciante, a tratti viene dimenticata, in altri momenti – come l'attuale – diviene una dominante angosciosa che pervade il paese. Nonostante tutti i loro armamenti, gli USA si sentono vulnerabili e insicuri.
Il terrorismo è il nemico imprevisto e, per gli americani, imprevedibile fino a poco tempo fa, per lo meno in tali dimensioni. Si dirà ch'esso è il frutto avvelenato del fanatismo ideologico e religioso, e certo c'è in questo del vero. Ma credo si debba anche ammettere, nei terroristi, un fondo di disperazione. Non ci si immola – giovani vite – solo per fanatismo, ma perché c'è la percezione che, impossibile ogni azione positiva, solo l'estrema negatività della distruzione totale rimane come porta spalancata sul nulla. “Gente disperata fa cose disperate” dice il giovane ma saggio re di Giordania, Abdullah.
Quando Osama Bin Laden rivolgeva i suoi proclami in TV, ebbe occasione di esporre quanto chiedeva all'America: ch'essa risolvesse la questione palestinese, e che ritirasse le basi militari dal suolo, considerato sacro, dell'Arabia Saudita.
Il terrorismo che coinvolge vittime innocenti non può che essere avversato e condannato in modo totale. Ma le richieste di Osama non erano irragionevoli né campate in aria, tanto è vero che – quasi a un anno di distanza – infine gli USA si sono mossi a limitare e ridimensionare Sharon, e gli effetti subito si sono visti nella riduzione delle azioni militari israeliane. In quanto alle basi in Arabia, pare che gli USA rinuncino all'impiego nel caso di un attacco – che quasi tutto il mondo avversa – contro l'Iraq.
Si riscopre quanto da tempo sospettavamo: le armi da sole non danno sicurezza, e contro la disperazione la tecnologia è insufficiente. Se la disperazione è un male dell'animo, va curata con i procedimenti dell'animo, cioè l'interessamento e la compassione, piuttosto che con mezzi coercitivi.
Scrive Thomas Friedman sul NY Times: “Bush ha mancato completamente nel suo dovere di immaginare e capire il mondo, prigioniero dei petrolieri che lo pagano. Una guerra condotta soltanto mandando soldati in Afghanistan, senza fare dell'America un autentico esempio di leadership nel rendere migliore il pianeta sul quale viviamo, non potrà mai essere soddisfacente e vinta perché resterà sempre almeno un terrorista disposto a colpirci. Purtroppo non abbiamo alla Casa Bianca un presidente capace di immaginare il mondo”.

Occorre che gli USA pensino meno alle armi, non diano costantemente l'impressione di voler dominare il mondo, rinuncino a un po' di basi militari (solo noi in Italia ne abbiamo circa 13, a che servono?), smettano di considerare il proprio sistema “il migliore dei mondi possibili”, evitino di condannare sempre chi è diverso da loro. Se vorranno porre almeno parte della loro potenza ed efficienza al servizio del mondo che ha bisogno di aiuto (per povertà, fame, malattie, disastri ambientali), nel rispetto delle diversità dei popoli, credo che la percezione del ruolo dell'America possa cambiare, e la loro reale e non effimera sicurezza aumentare.

Vittorio Amodeo



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  27 maggio 2002