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PALESTINA E ISRAELE

8. CONCLUSIONI
Franco Isman

Arcipelago Palestina
Arcipelago Palestina di Julien Bousac - cliccare per ingrandire


Sono partito per questo viaggio conoscendo bene la vergognosa politica degli insediamenti in Cisgiordania e nella stessa Gerusalemme, in costante aumento, che mostra con tutta evidenza la volontà del governo di Israele di non arrivare ad alcun accordo di pace.
Conoscendo bene, ed avendo più volte “gridato” il mio sdegno per gli indiscriminati e criminali bombardamenti che hanno coinvolto la popolazione civile di Gaza, nel 2009 con l'operazione “Piombo fuso” (1.300 palestinesi uccisi) e nel 2014 con “Margine di protezione” (2.100 palestinesi uccisi).

Non avevo neppure dubbi che una stragrande maggioranza di israeliani ormai sogni il Grande Israele, dal mare al Giordano. Vent'anni di regime di Netanyahu, la costante alleanza con la destra religiosa oltranzista, vent'anni di politica degli insediamenti, esponenti dei coloni che fanno parte del governo portano ineluttabilmente a questo risultato.
Mi rimaneva comunque la speranza che la soluzione dei “Due popoli, due stati” fosse ancora perseguibile con una forte pressione congiunta dell'ONU e, soprattutto, di Stati Uniti ed Europa.

In questo senso avevo plaudito ed ero rimasto commosso dalla coraggiosa iniziativa di papa Francesco che il 25 maggio 2014 in Palestina aveva testualmente detto: «Auspico vivamente che a tal fine si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere a un vero accordo e che non ci si stanchi di perseguire la pace con determinazione e coerenza» riuscendo poi, all'inizio di giugno, a far incontrare in Vaticano i due Presidenti Shimon Peres e Abu Mazen.
In passato quando c'era una speranza di pace intervenivano gli estremisti di entrambe le fazioni per farla fallire: ricordiamo Anwar Sadat e Yitzhak Rabin, che la pace l'hanno cercata davvero, uccisi da rispettivi fanatici estremisti. Questa volta ci ha pensato il governo di Israele che soltanto un mese dopo l'incontro in Vaticano ha scatenato l'operazione “Protective Edge” !

Nel corso della nostra visita, fine agosto 2015, mi ero reso conto che la situazione era senza via di uscita e, appena tornato, avevo scritto quello che segue.

Non ci sono dubbi sul destino dell'Area C, già ora sotto il completo controllo israeliano: 150 colonie, illegali secondo il diritto internazionale ma volute e riconosciute dal governo israeliano, altre 100 illegali per lo stesso Israele, che però di fatto non le demolisce; 1.000 coloni nel 1972, 110.000 nel 1993, più di 200.000 nel 2012, addirittura 556.000 a fine 2014. Una escalation impressionante che dimostra come Israele non ricerchi, non voglia la pace.

I palestinesi ancora abitanti nell'area C sono destinati ad andarsene: scarsità di acqua, nessuna possibilità di costruire edifici o pozzi, impossibilità di coltivare i propri terreni, demolizione di molte abitazioni, rendono impossibile qualsiasi resistenza e l'area C si avvia a diventare territorio di Israele a tutti gli effetti.

Tralasciando per ora Gerusalemme e la striscia di Gaza, che sono capitoli a sé stanti, cosa resta dell'ipotizzato stato della Palestina, che ha avuto il riconoscimento di numerosi Stati ed è stato ammesso come osservatore all'ONU ?

“L'arcipelago Palestina” lo definisce con triste ironia Julien Bousac in una specie di carta nautica, rilanciata dallo stesso Palestine Monitor, dove l'area C è il mare che separa fra di loro i territori delle zone A e B, quelli sotto il controllo totale o parziale dell'Autorità palestinese.
Ma come è possibile l'esistenza di uno Stato i cui cittadini per passare da un'enclave all'altra sono soggetti al controllo, e al permesso, di un altro Stato ? Uno Stato senza vie di comunicazione, senza accesso al mare, perché non esiste comunicazione con Gaza. Uno Stato le cui forniture di acqua e di energia elettrica dipendono da un altro Stato. Uno Stato le cui importazioni ed esportazioni dipendono dal benestare di un altro Stato.
Non può esistere e, se continuerà nominalmente ad esistere, si tratterrà in realtà di un NON STATO, di una colonia.

***
Dopo di allora la situazione è precipitata: dopo la strage di Duma compiuta da un gruppo di coloni assassini, quella dei coloni israeliani massacrati a bordo della loro auto. Ne ho parlato in un articolo precedente, “Nablus e Duma”.
Ed ora quella che viene chiamata la Terza intifada: l'intifada dei coltelli.

La Prima intifada, la prima rivolta dei palestinesi, si considera che vada dal 1987 al 1993 con 160 israeliani uccisi e 1100 palestinesi uccisi dai soldati israeliani, oltre ad altri 1000 uccisi dai palestinesi stessi in quanto sospetti di collaborazionismo.

La Seconda intifada del settembre 2000, con una forte ripresa degli attentati suicidi palestinesi nelle principali città israeliane, ebbe origine dalla provocatoria “passeggiata” di Ariel Sharon, allora capo del Likud, scortato da decine e decine di poliziotti in tenuta antisommossa, sulla Spianata delle moschee. Si considera terminata nel 2006 con all'incirca 1000 morti da parte israeliana e 4000 palestinesi.

Poi il 25 settembre scorso la violazione da parte della polizia israeliana della moschea di al-Aqsa e lo scoppio della rivolta palestinese: la Terza intifada appunto, l'intifada dei coltelli. Nell'articolo su “Gerusalemme” ho scritto:
“Siamo stati testimoni di una ormai giornaliera provocazione di ebrei ortodossi che entrano nella spianata scortati dai poliziotti e pregano ostentatamente davanti alla moschea.
Da parte palestinese c'è il serio timore che tutto ciò possa preludere all'occupazione di tutta o parte della moschea ed alla sua trasformazione in tempio, come più in piccolo avvenuto ad Hebron”.

Fino a questo momento ci sono state alcune vittime israeliane travolte con un'auto o accoltellate e molte decine di palestinesi uccisi. Infatti gli attentatori, reali o soltanto presunti che siano, vengono quasi sempre giustiziati sul posto e non si cerca nemmeno di arrestarli: giustizia sommaria indegna di un Paese civile. Molti filmati lo documentano e qui, con dubbi ed angoscia, ne propongo uno. (NOTA il filmato è stato censurato da youtube ma siamo riusciti a procurarcelo)

“Follia omicida” viene molto semplicisticamente definita dai giornali e dai siti “benpensanti” questa che è con tutta evidenza una reazione causata dalla disperazione, dall'assenza di qualsiasi speranza di una vita normale. Lanciarsi con un coltello contro un soldato armato di tutto punto è un attacco consciamente suicida. E questi attacchi sono spesso condotti da giovanissimi.

E per finire Netanyahu che, per cercare di giustificare in qualche modo davanti all'opinione pubblica mondiale le azioni del suo governo, arriva ad affermare che Hitler, poverino, voleva solamente l'espulsione degli ebrei dalla Germania, non il loro sterminio che gli era stato invece richiesto dal gran muftì di Gerusalemme. Angela Merkel, che ha la statura dello statista, ha replicato che la responsabilità del genocidio è del nazismo e che i tedeschi ne sono perfettamente consapevoli.

Ieri 25 ottobre è stato accoltellato a Ramallah, e fortunatamente soltanto ferito, Mustafà Barghouti, principale esponente di Al-Mubadra (Iniziativa Nazionale Palestinese), un uomo politico e un partito relativamente nuovi, su posizioni intermedie fra Fatah di Mahmoud Abbas e l'estremismo di Hamas.
“Non siamo antisemiti, ma ora siamo noi le vittime… gli ebrei dovrebbero parlare di tutte le vittime, non solo dell'olocausto. Oggi potrebbe esserci un solo stato democratico come in Sud Africa” ci ha detto Barghuti nella cui sede, appunto a Ramallah, siamo stati ricevuti il 24 agosto scorso. Il ferimento è misterioso ma non si può certo escludere che sia opera dello Shin Bet, i servizi israeliani.
***
Allora i palestinesi hanno tutte le ragioni e gli israeliani tutti i torti ?
Non è così.
È certo che Israele ormai da anni sta sottoponendo la popolazione palestinese dei territori occupati a condizioni di vita insopportabili.
Come è certo che Israele mira ormai apertamente alla realizzazione del sogno del Grande Israele, dal Mediterraneo al Giordano con al massimo incorporate, come isole nel mare, le piccole enclave ad amministrazione palestinese, le zone A e B, ridotte a colonie.
Oggi, mentre i governi occidentali si barcamenano in una politica di cosiddetta equidistanza che consente al governo di Israele di perseverare nella sua aberrante e criminale politica, questa verità va gridata alta e forte
È indecente la posizione della grande stampa e della televisione nazionale e meritoria l'azione delle organizzazioni pacifiste, in particolare Assopace Palestina, per denunciare la situazione.
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Non si deve però sottacere che le azioni terroristiche si possono comprendere ma non certo approvare e che Hamas, che nel suo statuto prevede la distruzione dello Stato di Israele buttando a mare gli ebrei, è altrettanto colpevole del governo israeliano.
Né bisogna dimenticare il rigetto da parte degli stati arabi della decisione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1947 che, sulla Palestina storica, prima appartenuta all'impero Turco e dopo la Prima guerra mondiale posta sotto amministrazione inglese, aveva decretato la costituzione di due stati, uno arabo ed uno ebraico.
Nel 1948, alla fine del mandato britannico e alla immediata proclamazione dello stato di Israele, gli stati arabi, confinanti e non, Egitto, Transgiordania, Siria, Iraq e Libano attaccarono il neonato stato con l'espresso intento di buttare a mare gli ebrei; il segretario generale della Lega Araba Azzam Pasha aveva addirittura dichiarato: "Questa guerra sarà una guerra di sterminio, e avrà proporzioni tali che se ne parlerà come dei massacri mongoli sui crociati". Ma Israele ebbe la meglio sugli eserciti arabi e nel 1949 si arrivò ad un armistizio.
La storia non si fa con i se e con i ma, d'altra parte è indubitabile che se i palestinesi avessero accettato la decisione dell'ONU avrebbero avuto il loro stato fin dal 1948.
E dopo la guerra come sempre i profughi, sia palestinesi fuggiti dai villaggi occupati dal nuovo stato ebraico che ebrei fuggiti dai paesi arabi. Come ci sono stati i quasi trecentomila profughi italiani dall'Istria e dalla Dalmazia e gli otto milioni di tedeschi cacciati dai polacchi dai territori al di là della linea dell'Oder Neisse. I profughi italiani e quelli tedeschi si sono integrati nelle rispettive nazioni e, se dovessero chiedere il ritorno alle loro terre, li considereremmo fascisti revanscisti. I profughi palestinesi invece sono stati volutamente tenuti segregati nei campi profughi dagli stati arabi confinanti ed è stata loro negata qualsiasi integrazione. Anzi in Giordania ci sono state le stragi del tristemente famoso settembre nero ed in Libano quella di Sabra e Chatila perpetrata dai falangisti libanesi ma con la complicità dell'esercito di Sharon.
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Ma tutto questo è totalmente ignorato dai palestinesi che raccontano solamente che nel 1948 Israele occupò numerosissimi villaggi palestinesi e ne cacciò la popolazione. E molto spesso così si esprimono anche i sostenitori della causa palestinese: una presentazione ed una valutazione assolutamente unilaterali del problema.
Aggiungo che molti parlano a sproposito di genocidio del popolo palestinese e addirittura, discorso aberrante, lo paragonano alla shoah, lo sterminio scientificamente programmato di un intero popolo nella nazione allora più evoluta d'Europa.
Che i palestinesi vedano e cerchino di far vedere le cose dal loro punto di vista (e che quindi quanto raccontano vada preso con spirito critico) è comprensibile.
Meno giustificato il fatto che su queste gravi omissioni sia allineata anche buona parte dei sostenitori dei diritti dei palestinesi.
Mai come su questo problema i pregiudizi la fanno da padroni: di quelli degli amici dei palestinesi ho appena parlato; per contro molti sono visceralmente filo israeliani, gli ebrei della diaspora in particolare, mettono la testa sotto la sabbia e riescono a non vedere le aberrazioni criminali cui è pervenuto Israele con questo governo in cui, teniamolo presente, il partito dei coloni detiene la maggioranza e i suoi uomini più duri hanno i principali ministeri.

Franco Isman

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  26.10.2015