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Renzi e la Leopolda
Le ragioni di un'antipatia 2015 – 7
Giuseppe Pizzi

la Leopolda

Ogni partito, fatti salvi i principi e i valori statutari, ammette e coltiva al suo interno opinioni, sensibilità e interessi diversi nei quali si riconoscono gruppi più o meno numerosi di iscritti e di elettori. Che la linea del partito emerga dal dibattito fra le diverse idee e posizioni che lo animano è oltretutto un auspicabile segno di vitalità democratica. I guai si manifestano quando i gruppi d'opinione si trasformano in strutture organizzate, con i loro leader, i loro raduni, i loro slogan equivalenti a formule di affiliazione, la loro disciplina di gruppo, quando cioè diventano veri e propri partiti dentro al partito. Siamo allora in presenza del vituperato fenomeno delle correnti, che tutti i segretari politici temono alla stregua di un virus debilitante, capace di bruciare le energie del partito nella fornace delle dispute intestine, fino all'autodistruzione.

Tutti tranne uno, Matteo Renzi disapprova le correnti solo per onor di firma, visto che la più folta e influente corrente dentro al PD è la sua.
Al capo di un partito tocca un difficile lavoro di punta e tacco, investito com'è delle due incombenze opposte e ugualmente importanti di rappresentanza e di guida. Della rappresentanza, che gli imporrebbe di tenere in conto che nel partito c'è anche chi la pensa diversamente da lui, Renzi “se ne frega”, è un compito che un egotista come lui semplicemente rifiuta di svolgere. A imitazione di Berlusconi, sua costante fonte di ispirazione, gli basta e avanza la guida, la seducente leadership, che non solo è adeguata alla sua vocazione messianica ma gli consente anche di rivolgersi solo a chi ha volontà di seguirlo e di dare del gufo a tutti gli altri. Insomma, non sa che farsene di tutto il PD, gli basta la parte che gli dà retta.

Che altro è la Leopolda se non un paradossale smarcamento dal PD a opera del suo stesso segretario politico? Da questa bella stazione ferroviaria che Firenze ha convertito in Casa della Città (in grande quel che a Monza è il Binario 7) è partita la (breve) marcia di Renzi verso la direzione del partito e del governo. Comprensibile che per lui sia un “luogo del cuore” ma, da quando è alla testa del PD, il luogo in cui celebrare i suoi successi e progettare il futuro del partito dovrebbe essere il Congresso, con le insegne del PD esposte in tribuna e le bandiere del PD sventolate in platea, non gli anonimi, quasi clandestini Stati Generali del renzismo.

Giusto per sottolineare l'incongruenza della kermesse renziana, la minoranza PD anti-Renzi ha tenuto negli stessi giorni della Leopolda una “contro-convention”, questa sì con un'ostentazione di bandiere PD, che esplicitamente dicono “il PD siamo noi della minoranza, non i renziani della maggioranza imboscati alla Leopolda”. E Bersani, richiesto di rivelare quale dei due eventi preferisse, ha avuto gioco facile “io vado dove ci sono le bandiere del PD”.

Viene da chiedersi perché un politico spregiudicato ma non sprovveduto come Renzi si lasci scippare le insegne del partito di cui è titolare. Una ragione c'è, stravagante fino al limite dell'assurdo ma c'è: il PD si è messo in mano a uno che col PD dei fondatori ha poco o nulla da spartire, uno che, travestendola da svecchiamento/rottamazione persegue la mutazione genetica del PD nel suo contrario. Lo so che è una contraddizione terminologica, come dire che il Papa non è cattolico, ma affermare che “l'attuale capo del PD non è del PD” è l'unica opzione politicamente praticabile per non dover concludere che il PD è nato da un equivoco e da un abbaglio.

Il giorno prima della Leopolda è apparsa sul Corriere, a cura di Aldo Cazzullo, un'intervista a Dario Nardella, il sindaco di Firenze successore e alter ego di Renzi. Strano, il Corriere che scomoda una delle sue firme di punta per una figura di secondo piano come Nardella, la cabina di regia deve aver deciso all'ultimo momento di far dire a Nardella ciò che per Renzi non è ancora il momento di dire. E che cos'ha da dire Nardella a nome e per conto di Renzi? Ha da rivelarci che destra e sinistra sono concetti superati, che la competizione fra schieramenti è roba del secolo scorso, che la formula politica del nostro tempo è il partito della nazione, guidato da un leader forte e che Renzi ha l'età, la cultura e la determinazione per il ruolo.

Capito? Il partito della nazione, con tanti saluti all'alternanza di governo, fino a ieri auspicata come indispensabile presidio della democrazia, visto e considerato che se gioca la nazionale il campionato si ferma, per dirlo nel linguaggio che Renzi gradisce e capisce. Il partito della nazione, cioè il partito della concordia e dell'armonia, quello che si identifica con il governo, che accoglie tutti e va incontro a tutti, che pensa al benessere e alla felicità di tutti, che interpreta e contempera le esigenze di tutti i ceti sociali … e che esiste solo nei regimi totalitari. Il partito della nazione, ma non si rendono conto che, dopo le tragedie nazionaliste del secolo scorso, già il nome suona funesto? Con il premio di maggioranza e il parlamento di yesmen dell'italicum basta un niente per scivolare dal PD nel PND, meno di quel che occorse a Mussolini per passare dal PSI al PNF.
Siccome poi Nardella tiene a dirci che Renzi “ha l'età”, è il caso di ricordare che anche Mussolini andò al governo a 39 anni. Coincidenze.

Giuseppe Pizzi

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  18.12.2015