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Addio ad Umberto Eco
Tania Marinoni

Umberto Eco

Amava la “prima” filosofia, racchiusa nella Metafisica aristotelica, forse un po' autoreferenziale per la moderna società, avvezza ad adattare, applicare e monetizzare: Umberto Eco ricercava nell'amore per il sapere quello dei primordi, abbastanza inutile per essere efficace. Si, il Professor Eco era poeticamente affascinato dall'entusiasmo del sapiente, capace sempre di stupirsi per una realtà incontaminata dal controllo della scienza. Perché la filosofia, insegnavano le sue parole, dura un attimo, il tempo della meraviglia, e parla forse più al cuore che alla ragione; appare come un sentimento, un'inclinazione, è partenza e non arrivo, è domanda e non risposta.

La filosofia, inafferrabile, si può solo vivere e non riprodurre, non tradurre e dunque tradire, dall'alto di una cattedra. Umberto Eco era professore emerito, presidente della Scuola superiore di Studi umanistici dell'Università di Bologna e credeva nell'insegnamento accademico, sempre in anticipo e in chiaro vantaggio rispetto a quei mass media, che pure studiava da una vita intera e interpretava come un ingranaggio della società industriale: gli strumenti di comunicazione di massa sono in sé solo un mezzo, reso negativo dal consumismo, che riduce a merce anche la ricchezza potenziale contenuta in un libro. Quella sottile differenza tra la natura della tecnica, in sé priva di connotati etici, e la sua applicazione, invece soggetta ad interpretazioni morali, lo induceva a guardare con estrema prudenza ai moderni strumenti. Internet e Wikipedia possono rivelarsi potenziali fonti di pericolo per chi se ne avvale durante la propria formazione pedagogica, ma per contro sono di grande utilità per chi si dimostra abile nel confrontare le fonti a disposizione, per gli esperti fruitori della coscienza critica, che induce sempre a sospettare fino a comprendere il Segreto che può celarsi dietro ad una parola scritta o svanita nella voce; fino ad apprezzare quel significato che non si svela subito alla vista, ma si incontra cogliendo le connessioni, quelle splendide generatrici di prospettive. “Si può leggere in trasparenza anche un cartello di senso vietato”.

Ma per il suo pubblico, che tanto lo ha amato, Umberto Eco era la voce autorevole e saggia in “La bustina di Minerva”, che “l'Espresso” ospitava in ultima pagina. Umberto Eco era il padre de “Il nome della rosa”, quel capolavoro a metà tra il narrativo e lo storico: il suo primo romanzo, abilmente portato sugli schermi dalla regia di  Jean-Jacques Annaud. Eco era l'autore di quella celebre opera intrisa di simbolismo, intitolata “Il pendolo di Faucoult”.
Leggendo le prime pagine, il suo Baudolino può apparire come un romanzo picaresco, ma in realtà è un'opera enciclopedica del medioevo, ricca di tradizioni, miti e leggende di quel tempo tanto misterioso quanto affascinante.

Umberto Eco credeva nell'uomo libero persino dal timore più grande, che lo induce a rifugiarsi nella religione e a preferire così il trascendente all'immanente. L'immortalità, insegnava l'esimio professore dal tono ironico, regna solo nel moto perpetuo dei corpi celesti, nel loro eterno abbracciare il vuoto; ma all'uomo è concessa una ricompensa piccola, eppure bellissima: quella magia che la lettura può donare. “Chi non legge ha solo la sua vita che, vi assicuro, è pochissimo. Invece noi quando moriremo ci ricorderemo di aver attraversato il Rubicone con Cesare, di aver combattuto a Waterloo con Napoleone, di aver viaggiato con Gulliver e incontrato nani e giganti”.

Perché alla morte occorre prepararsi, credenti oppure atei, benché essa sia la “cosa più naturale del mondo”. Ma all'ultimo atto si giunge solo al termine di un percorso impegnativo, lungo una vita, trascorsa nell'illusionistica fede nelle abilità degli artisti sicuri di sé, dei politici a ruota libera, dei critici apocalittici. Solo allora saremo pronti per l'incontro con la morte: quando saremo liberi completamente dal grande inganno di un'intera esistenza.
“Siate forte come i saggi dell'antica Grecia e guardate alla morte con occhio fermo e senza paura”, ma ammoniva anche: “E dunque andate alla morte dopo aver gustato la vita”.

Tania Marinoni

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  21 febbraio 2016