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CONTROCORRENTE
I due marņ
Franco Isman

pirati somali


Il 15 febbraio 2012, la petroliera Enrica Lexie degli armatori Fratelli D'Amato (che dispone di una quarantina di navi) era in navigazione nell'Oceano Indiano davanti alle coste del Kerala (situato nella parte occidentale della punta dell'India). La zona è da molti anni soggetta ad attacchi di pirati, in genere somali, spesso andati a segno.
In particolare la petroliera Savina Caylin degli stessi armatori D'Amato era stata sequestrata nel febbraio 2011 con i suoi 22 membri di equipaggio e rilasciata soltanto dieci mesi dopo, in dicembre, dietro pagamento di 11,5 milioni di dollari, secondo i pirati, senza pagare alcun riscatto, secondo le dichiarazioni del presidente del Consiglio di allora Mario Monti (!).
Proprio per questi precedenti la nave aveva a bordo una squadra di ben sei fucilieri di marina del Reggimento San Marco, ottenuti come protezione dalle autorità italiane.


Verso le ore 16 viene avvistato un piccolo battello in avvicinamento, il comandante Umberto Vitelli si rinchiude con tutto l'equipaggio, marò compresi, nella zona “protetta” a poppa della nave e poco dopo, un'ora o poco più, informa l'armatore di essere stato attaccato dai pirati. L'armatore a sua volta attiva la procedura di informazione di autorità militari, governo e magistratura. Su cosa sia realmente accaduto le versioni sono contrastanti e ne parleremo dopo.

Su richiesta delle autorità indiane il comandante conferma di aver respinto l'attacco di un battello pirata, viene invitato con uno stratagemma a raggiungere il vicino porto di Kochi, lì apprende che due pescatori erano stati uccisi e, nonostante l'intervento del console italiano, la nave viene sequestrata e due marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, che avevano confermato di avere sparato, vengono arrestati.
Quasi immediatamente la Procura militare li mette sotto inchiesta per i reati di "violata consegna aggravata" e "dispersione di oggetti di armamento militare" e la Procura di Roma per quello ben più grave di “omicidio volontario”.

Quando una persona viene uccisa vi è un ampio ventaglio di possibilità.
C'è la legittima difesa. Ma anche l'eccesso colposo di legittima difesa. Poi viene l'omicidio colposo. Più in là l'omicidio preterintenzionale. Infine l'omicidio volontario.
La Procura di Roma ha indagato Salvatore Girone e Massimiliano Latorre per omicidio volontario. L'ipotesi quindi è che abbiano ucciso i due pescatori indiani volontariamente, uno per ciascuno come hanno successivamente appurato le autopsie e i proiettili rinvenuti.

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http://presidenti.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Foto&key=26161

Reazioni scomposte da parte italiana, attacchi al governo soprattutto delle destre, grave disinformazione da parte dei media, le opinioni espressa nei social networks che si scatenano, i due marò descritti come vittime di chissà quale intrigo.
Nell'aprile 2012 il governo italiano come "atto di generosità al di fuori del contesto giuridico" tacita i parenti dei due pescatori uccisi con il pagamento di 10 milioni di rupie (circa 150.000 euro) ma la Corte suprema del Kerala si oppone.
Il 21 dicembre, sempre del 2012, ai due marò viene concesso dai perfidi indiani una “licenza” in modo da poter trascorrere in Italia le festività natalizie, e qui avvengono episodi aberranti.
I due marò, indagati per omicidio volontario, non lo dimentichiamo, vengono accolti all'aeroporto militare di Ciampino con tutti gli onori da un ammiraglio e dai ministri degli Esteri Giulio Terzi di Sant'Agata e della Difesa Giampaolo Di Paola (governo Monti).
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano li riceve in pompa magna al Quirinale e pubblica sul sito della Presidenza le fotografie delle sue strette di mano ai marò.
Il Presidente della Repubblica !

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B è la postazione dalla quale i marò hanno sparato.
La foto della Enrica Lexie è ritoccata in quanto quella originale rappresentava la petroliera scarica e quindi con la parte fuori acqua alta più del doppio, come si vede in una foto precedente.
A la posizione dei corpi dei marinai uccisi.
 
 
 

La Marina invia subito sul posto l'ammiraglio Alessandro Piroli, allora capo del terzo reparto della Marina, e il suo rapporto riservato, dopo circa un anno viene a conoscenza di la Repubblica che il 7 aprile 2013 ne riporta ampi stralci, senza alcuna smentita o richiesta di rettifica.

Il rapporto, pur cercando di non infierire, non trascura gli elementi che individuano una possibile responsabilità sia del comandante che dei fucilieri e rileva come molti elementi giustifichino la posizione indiana consentendo di credere che i due marò possano aver ucciso Valentine Jelestine e Ajiesh Pink.
«Il comandante di Lexie», è scritto nell'inchiesta, «ha messo in atto solo una parte delle azioni di difesa passiva raccomandate per evitare l'attacco di pirati. Si è limitato a incrementare la velocità (di un nodo) senza manovrare per modificare la cinematica di avvicinamento, azionando i fischi e le sirene solo nella fase terminale dell'azione».
Le procedure prevedono invece che la nave cambi velocemente e in maniera repentina rotta, e continui con variazioni di rotta per contrastare un'eventuale rotta di attacco o comunque per segnalare il pericolo di una possibile collisione.
I fucilieri hanno dichiarato alla polizia indiana e agli investigatori di non riconoscere il St. Anthony come la barca contro cui hanno sparato. Ma nell'inchiesta si legge: «È possibile osservare una sostanziale coerenza fra le descrizioni del natante coinvolto nell'evento e il St. Anthony, ovvero tipologia dell'imbarcazione, dimensione e colorazione» e ancora: «Il confronto fra le fotografie repertate durante l'evento del 15 febbraio con quelle scattate durante la ricognizione del 26 febbraio mette in evidenza una sostanziale compatibilità fra i mezzi raffigurati».
L'inchiesta valuta anche il comportamento del peschereccio St. Anthony: «Il natante proveniva dal lato dritto della Lexie, pertanto aveva diritto di precedenza (…) È singolare, oltre che estremamente pericoloso, che pur avendo diritto di precedenza, una piccola imbarcazione facilmente manovrabile rimanga su rotta di collisione di una petroliera fino a una distanza inferiore ai 100 metri». Infine l'ammiraglio informa che una volta arrivato in porto al comandante del St. Anthony viene permesso di vendere ben 1.300 chili di pesce prima che il peschereccio venga sequestrato.

***

Ma allora cos'è realmente accaduto ?
Cominciamo col dire cosa non poteva assolutamente accadere.
Per abbordare una nave i pirati devono accostare ad essa bordo contro bordo e mantenere la posizione per poter lanciare i rampini d'abbordaggio ed arrampicarsi a bordo sparando con i kalashnikov o addirittura i lanciarazzi RPG.
Una barca più lenta della nave attaccata non può assolutamente abbordarla.
Nello specifico 14 nodi la velocità della Lexie, 6 quella del peschereccio (carico!) in avvicinamento, facilmente valutabili ad occhio ma indicate con esattezza dal radar che lo aveva avvistato a 2,8 miglia circa (un quarto d'ora prima). Anche in assenza di qualsiasi anche minima variazione di rotta della Lexie il battello poteva al massimo e con gravissimo rischio arrivare ad urtare la nave per vedersela sfilare davanti con una velocità relativa di 8 nodi (15 km/ora).
E allora ?
Allora non c'è stato, né ci poteva essere, alcun tentativo di abbordaggio e non c'era alcun motivo per sparare, come invece i marò hanno fatto. Infatti si sono mosse sia la Procura militare che la Procura di Roma ipotizzando il reato di omicidio volontario, come ovviamente hanno fatto gli indiani.
Il St.Antony se ne torna tranquillo a casa dopo la pesca e, avendo la precedenza in quanto proviene da dritta, fa la bravata di non lasciare il passo all'enorme nave che sta per incrociare, praticamente in rotta di collisione.
L'Enrica Lexie non soltanto non devia nemmeno di un grado dalla propria rotta infischiandosene del diritto di precedenza del peschereccio ma la sua scorta armata si mette a sparare al bersaglio.
Questo è quanto accaduto.

***

Il caso presenta delle anomalie e suscita dubbi.
E' normale una scorta di ben 6 fucilieri di marina, corpo scelto delle nostre forze armate, per proteggere una semplice petroliera? Sembra decisamente eccessiva ma può darsi fosse la norma, sarebbe bene saperlo.
I proiettili trovati nei corpi dei due pescatori uccisi risultano sparati dai mitra in dotazione ad altri due marò: Massimo Andronico e Renato Voglino e non a Girone e Latorre. Le armi individuali sono rigorosamente personali e vengono amorevolmente tenute in efficienza da chi l'ha in consegna, è una regola assoluta e l'abbiamo imparata anche noi civili da alcuni famosi film sull'addestramento dei marines, e allora ?
Qualcuno ha parlato di concitazione, assurdo in quanto, come abbiamo già scritto, il peschereccio era stato rilevato dal radar quando era ancora fuori vista, un quarto d'ora prima.
E' stato chiesto a Girone e Latorre di prendersi una responsabilità non loro, forse perché erano i più “duri” ed affidabili? Il 2 giugno 2014, in videoconferenza con la Camera dei deputati, Girone con voce vibrante ha testualmente detto: “Abbiamo obbedito a degli ordini… abbiamo mantenuto una parola, quella che ci era stata chiesta di mantenere…”.
Tutto il resto è soltanto fumo.
La Procura di Roma fin dallo scorso dicembre stava pensando di archiviare il caso “non avendo ricevuto dall'India dati essenziali per l'inchiesta” ed ormai l'avrà archiviata. Ha tutta l'aria di un insabbiamento.
Quando torneranno in Italia Girone e Latorre verranno accolti come degli eroi e viene davvero voglia di chiedere la cittadinanza eschimese.

Franco Isman

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  24.04.2016