prima pagina pagina precedente



L'Europa è nuda
Umberto De Pace

burkini tanga

Il Consiglio di Stato francese si è pronunciato contro il divieto del burkini, ritenendolo “lesivo delle libertà fondamentali”. Non poteva essere altrimenti. In uno stato laico e democratico non necessitava scomodare il più alto grado della giurisdizione, amministrativa in questo caso, per ribadirlo. Eppure non solo si è giunti fino a tale grado di giudizio ma, sul tema, si è scatenato un dibattito di ampie proporzioni, nel quale le divisioni di pensiero e di azione travalicano i confini ideologici e le appartenenze culturali e politiche, restituendo un panorama a mio avviso surreale dello stato di civiltà di un intero continente.

Che la vecchia Europa sia da tempo sull'orlo di una “crisi di nervi”, non è il burkini a svelarcelo, ma certamente la querelle che l'accompagna indica quanto questa crisi sia acuta. Nel merito, personalmente, ritengo che il burkini sia un abbigliamento espressione di una moda che rispetta i precetti di una morale islamica maschilista e oscurantista, sicuramente da combattere e isolare (la morale). Ma non solo. Per alcune donne musulmane è uno “strumento” per poter accedere ad una spiaggia o al mare o comunque farlo con maggior “agio”. Per altre è oggi un simbolo di identità religiosa e culturale in un mondo che tende sempre più a polarizzare tali identità, invece di avvicinarle e mischiarle. Infine, per alcune, penso che possa essere anche una libera, quanto insindacabile, scelta personale.

Ad essere sincero penso anche che il tanga sia, all'estremo opposto, una moda che rispetta i precetti di una morale consumistica, maschilista e vouyeristica, anch'essa da combattere e isolare (la morale … non il costume, ancora una volta) e a seguire anche tutto il resto più sopra già citato.

Ma il tema che mi preme evidenziare non è quello specifico, quanto il fatto di come sia fragile l'identità e il pensiero laico europeo, visto che basta un “burkini” a metterlo in crisi. Lasciamo da parte la destra xenofoba e razzista, e con essa gli estremisti, siano essi i Salvini o i Magdi Allam della situazione, e affrontiamo la questione con quel pensiero laico, alle volte di sinistra, che pensa che la propria e altrui libertà vada imposta con un divieto, come quello di Paolo Flores d'Arcais tanto per fare un nome. In una società libera e democratica i divieti devono essere circoscritti e limitati, in caso contrario, quel tipo di società, perderebbe la sua ragione d'essere. Pensiamo a cosa ha voluto dire per le nostre madri conquistarsi la libertà di vestirsi come meglio volevano. E' stata una battaglia contro continui divieti: famigliari, sociali, culturali, politici e immancabilmente e pesantemente, religiosi. Una battaglia vinta, che ha richiesto decenni di lotte, di rifiuto di divieti, di affermazioni di libertà, di sfide, di provocazioni. Una lotta di “costumi”, in realtà un inesorabile cambiamento dei rapporti famigliari, tra i generi, nella società e nelle politiche che la stessa esprimeva. Ma soprattutto è stato un cambiamento generazionale, dettato dalla condivisione di idee, sogni, progetti, costumi e comportamenti. Un cambiamento che ha generato, e nel quale si sono innescate, mode, interessi economici e altro.

A questo punto occorre chiedersi: tali conquiste devono essere imposte con divieti ad altri, o le stesse possono essere condivise/mescolate/modificate, in un percorso di crescita e conoscenza tra vissuti ed esperienze diversi fra loro? Pensiamo che possano essere leggi o divieti a far crescere la consapevolezza delle donne musulmane sulle imposizioni subite da società e culture maschiliste e misogine, oppure la possibilità di condividere le loro esperienze, le loro lotte, i loro desideri con altre donne di altre società e culture? Personalmente non ho dubbi e ritengo che il divieto, in questo caso sia insensato, non perché il burkini è uno strumento di libertà ma perché la libertà di vestirsi come si vuole fa parte di quei valori universali che solo uno stato laico, libero e democratico può garantire. Vestirsi come si vuole appunto. Sono libere di vestirsi come vogliono tutte le donne musulmane? Sicuramente no. Ma anche qui non si può generalizzare. Sulle spiagge della Tunisia o dell'Algeria, come ci ricorda Paolo Hutter o la stessa Giuliana Sgrena, pur con punti di vista fra loro diversi, si possono incontrare donne coperte a fianco di altre in bikini. Oppure pensiamo alle donne ebree ortodosse o alle testimoni di Jehovah, come giustamente ci ricorda Alfredo Somoza; cosa faremo con loro un domani? A quelle donne musulmane o di qualsiasi altro credo è importante che una società laica e democratica garantisca la possibilità, qualora lo vogliano, di potersi affrancare da costumi e usanze che ritengono o riterranno lesive della loro libertà e dignità e che questo è dato non da un imposizione a togliersi un vestito, o un divieto a non metterlo, ma alla libertà di poter decidere coscientemente e liberamente cosa fare.

Infine un accenno alla questione del “velo”, a mio modo di vedere inquinata in questi anni da troppi fattori ideologici e politici, e quindi strumentalizzata al pari di tante altre. Occorre innanzitutto suddividere in due categorie il tema: il velo integrale, qual è il burqa o il niqab (che in realtà lascia scoperti gli occhi); e il velo che ricopre il capo lasciando scoperto il viso intero, come il hijab o il chador. Su questi ultimi mi risulta difficile indignarmi o pretendere alcunché; non solo per il ricordo di mia nonna che, quando usciva di casa, si ricopriva sempre il capo con un foulard, ma soprattutto pensando a come un'amica senegalese, qui a Monza, abbia trovato conforto grazie al velo/foulard, che prima non portava, ma che oggi le permette di non essere molestata quando gira sola per strada. Sul velo integrale sono invece d'accordo nel vietarlo perché in questo caso vengono meno due presupposti importanti a qualsiasi percorso di crescita e conoscenza: la sicurezza e la possibilità di socializzazione. In Italia tale divieto, per questioni di sicurezza, esiste già da tempo e di certo facevamo ben volentieri a meno del protagonismo, a puri scopi elettorali, delle amministrazioni leghiste su tale tema.

Si racconta che quella sul burkini sia una battaglia del tutto francese, sarà. Ciò che è certo e che fa specie vedere salire sulle barricate Valls, primo ministro francese di un sempre più improbabile governo socialista, al grido: il burkini “è incompatibile con i valori della Francia”. Per poi, lo stesso Valls, citare la Marianne, quale simbolo della Repubblica la quale “non è velata perché è libera".

la Marianna

Fa specie non solo perché la Marianne rappresenta i valori universali di Libertè, Egalitè, Fraternitè, più che una libertà di costumi, una sorta di topless d'antan; ma ancor più stupisce dato che si parla del premier di un paese, che dopo aver subito gli attentati terroristici a Parigi, con più di 120 morti, nel novembre del 2015, ha avuto il coraggio di opporsi alla costruzione di un intelligence comune a livello europeo (non unico a farlo, fra i paesi europei, a dire il vero). Visto da questo punto di vista, mi riferisco alle responsabilità francesi, e non solo, nella lotta contro il terrorismo e il radicalismo islamico, il problema che dovrebbe preoccupare i popoli europei non è se scoprire/coprire il seno, la testa o il corpo della donne (che siano le donne a deciderlo) ma quello di riconoscere il fatto che “l'Europa è nuda” di fronte ai cambiamenti epocali che sta attraversando e che le sue politiche si sono dimostrate, fino ad oggi, deboli, incerte, se non addirittura assenti. E di questa “nudità” non è certo il caso di menar vanto. Cercare di nascondere questo suo stato dietro a falsi temi come il burkini, non aiuta di certo a cambiare rotta.

Umberto De Pace

Condividi su Facebook
Segnala su Twitter


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net

Commenti anonimi non saranno pubblicati


in su pagina precedente

  28 giugno 2016