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Democrazia: concezione di vita
Laura Tussi


Agire per difendere, realizzare, correggere la democrazia presuppone oggi una forte carica utopica perché si pensa e si agisce malgrado la realtà presente e contro le evidenze che, bisogna ammetterlo, non sono incoraggianti. Oggi, ci dicono, siamo in democrazia. Dunque sarebbe improprio parlare di utopia. Per sostenere questa affermazione si prendono ad esempio i tanti luoghi della terra dove le istituzioni democratiche non esistono, sono state abbattute o sono allo stato nascenteMa non possiamo accontentarci di ipotesi consolatorie né possiamo dimenticare le gravi imperfezioni delle nostre democrazie. Soprattutto occorre ricordare che qualunque conquista può essere sempre perduta perché nulla a questo mondo è dato per sempre. Né possiamo accettare una democrazia immemore dei sacrifici compiuti per realizzarla e una democrazia che tollera, produce, incrementa ingiustizie e disuguaglianze gettando le basi per il suo rigetto a favore di forme autoritarie di governo.

E allora, se le cose stanno così, come difenderci dalla componente anche egoistica della nostra natura ed evitare di fare un cattivo uso di un mezzo giusto come quello democratico, fondato sulla ricerca del dialogo tra diversi? Mantenendo la democrazia «giovane», evitando cioè in ogni modo che un individuo, un gruppo, un partito occupino a lungo il posto di potere che, sia pure con mezzi democratici, è stato loro concesso. Evitando l'incistarsi, la pietrificazione di maggioranze e minoranze precostituite. Dando movimento a un sistema che tende a bloccarsi, irrigidirsi, a ribaltarsi nel suo contrario. Ricordando che la democrazia è una concezione di vita che si apprende vivendo, in famiglia, a scuola, nel lavoro, in tutte le nostre relazioni. La democrazia come ogni buon dialogo è movimento, alternanza e dunque rispetto per le (provvisorie) minoranze  in un clima di accettazione delle regole del gioco. A patto, naturalmente, che di «gioco» si possa parlare.

Come avviene per le articolazioni del nostro corpo, occorre avere molta cura del «gioco» democratico attraverso l'esercizio continuo e il movimento, affinché non si abbiano due esiti entrambi disastrosi: la disarticolazione, la perdita di contatto, la disintegrazione oppure, all'altro estremo, l'irrigidimento, il blocco, che espone a fratture irreparabili. A questa concezione dinamica della democrazia si oppongono oggi ostacoli immani che si manifestano in tutte le forme di particolarismo, fanatismo, integralismo, muro contro muro.

Occorre studiare e sperimentare, in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella vita comunitaria, tutte quelle forme di confronto e incontro tra le parti in contrasto che servano a salvaguardare il valore del conflitto impedendo che si pietrifichi trasformandosi in guerra
. Il conflitto è necessario e fertile ma non lo è più quando è negato per «quieto vivere» o si trasforma in accanita battaglia tra nemici che tendono all'eliminazione del conflitto attraverso l'eliminazione dell' avversario.

L'utopia può essere la nostra comune giovinezza. Forse mai come oggi, in un'epoca di massimo sviluppo delle comunicazioni, «gli uomini hanno conosciuto tante difficoltà a dialogare, tanto panico davanti alla differenza e alla diversità rappresentate dall'altro, tanta chiusura in se stessi e tanto integralismo per evitare il problema del rapporto con l'altro». Si diffondono con frequenza allarmante comportamenti che vanno nella direzione dello scontro più che del confronto. Quello che colpisce e allarma è l'irritualitàdi quei comportamenti e la progressiva assenza o perdita di prestigio, efficacia ed efficienza di individui, gruppi e istituzioni che dovrebbero avere funzione di mediazione tra interessi in conflitto, di promozione del negoziato, di ricerca incessante in ogni disputa, di alternative allo scontro frontale.

E' necessario chiedersi, per esempio, perché siano nati gli organismi rappresentativi, perché siano stati costruiti percorsi fortemente ritualizzati per contenere e incanalare le controversie e i confronti di ogni sorta, da quelli politici a quelli economici, dalle tensioni legate alla convivenza tra culture diverse, alle contese giudiziarie fino a quelle sportive, se poi assemblee, aule giudiziarie e arene sportive devono trasformarsi in campi di battaglia, che è proprio il risultato che si voleva evitare. Dove è finito il «senso dello Stato», la capacità cioè di agire al di là dei nostri interessi personali, al di là dei limiti della nostra vita terrena, immaginando e lavorando per il benessere di una comunità che esisterà quando noi non ci saremo più?

Se ci guardiamo attorno non mancano gli esempi nella vita quotidiana, in famiglia, a scuola, negli ambienti di lavoro, nelle città, in televisione, di questo proliferare di irritualità che privilegia l'azione diretta a vincere, a primeggiare, ad affermare il proprio potere, a non tenere in considerazione l'altro
. Sempre più si tollerano, o addirittura sono valorizzati e premiati, comportamenti che rivelano avversione al dialogo, propensione alla prevaricazione nelle relazioni individuali e sociali, confusione tra parlare e dialogare, sadismo nel trasformare in spettacolo ciò che ci divide e masochismo nel prestarci ad assistere o a essere protagonisti di quello spettacolo.

Laura Tussi

Pubblicato anche su UNIMONDO
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  13 settembre 2016