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Cinque imperdonabili errori
Giuseppe Pizzi


"Ma vedremo a ottobre, gli italiani che considerano la Costituzione un bene comune da preservare potrebbero rivelarsi più numerosi di quel che Renzi pensa e prevede".
In gennaio chiudevo con queste ben auguranti parole un articolo su Arengario. Seppur con un certo ritardo, si è avverata la mia previsione non quella di Renzi, del che mi compiaccio. 

La sconfitta referendaria di Renzi arriva da lontano, conseguenza di una sequela di imperdonabili errori che, a mio giudizio, smentiscono o perlomeno ridimensionano il sesto senso politico che gli viene (veniva) troppo generosamente accreditato. Questi cinque, secondo me, i più gravi e vistosi:

Rottamazione
Scalare il partito profittando della temporanea debolezza dei predecessori e facendo leva sul sistematico disprezzo della loro storia senza neutralizzarne la probabile reazione è stata, a dir poco, una grossa ingenuità. Se non sei forte da annientarli (politicamente s'intende), devi sapere che prima o poi te la faranno pagare.
Oggi l'eterno boy scout che è in lui si dice dolorosamente sorpreso da tanta acredine, anzi la chiama propriamente odio, ma di che cosa possa dolersi non si capisce, si aspettava forse che gli porgessero l'altra guancia? Dopo averli incolpati di aver sempre e solo perso, additati al pubblico ludibrio come incapaci di fare i gol a porta vuota, accusati di gufaggine, insultati con inaudita, brutale volgarità di non essere altro che rottami buoni per la discarica?
Che provi anche lui il sapore amaro della sconfitta!

Leopolda
È la cult location del renzismo, fabbrica di idee e di slogan, palestra d'allenamento e di selezione della squadra per la conquista del PD e del governo. Comprensibile che Renzi sia rimasto affezionato alle adunate dei fedelissimi dalle quali è partita la sua straordinaria avventura politica, grave che le abbia convocate anche dopo la sua assunzione alla segreteria.
Il segretario politico è il capo di tutto il partito, non può né identificarsi né confondersi con una parte, tutti ma non lui. Se il capo si riduce a capo-corrente ogni suo richiamo alla coesione e all'unità del partito cadrà nel vuoto e nel ridicolo.
Chi è causa del suo mal …

Cambiare l'Italia
Vasto programma! Ma la sfida non sta nel quanto, sta nel come, cioè nella scelta di obiettivi e nell'adozione di criteri che cambino in meglio. Il cambiamento non è un bene in sé, come Renzi e il suo governo vogliono (volevano) credere e farci credere, cambiare l'Italia per il gusto di cambiarla può essere peggio che tenercela così com'è.
Si tramanda che nell'età della pietra i cavernicoli trasportassero i loro sassi, rassegnati a un insopportabile squassamento di sobbalzi, su carriole dotate di ruota quadra. Quando però un giovane riformista di quel tempo remoto pensò di sottoporre al giudizio del popolo cavernicolo l'adozione di ruote triangolari il cui non trascurabile pregio era l'eliminazione del quarto sobbalzo l'idea fu sonoramente bocciata, primitivi e trogloditi sì, sprovveduti no.
Va inoltre aggiunto che il cambiamento è spesso una fuga in avanti tipica di chi si atteggia a leader per non fare il manager, di chi cioè non si impegna nella gestione del presente e nella manutenzione dell'esistente, attività oscure ma importanti come la proiezione nel futuro, che però è “cool”, come Renzi non esitò a dire dopo un viaggio di tre giorni in California, e poiché fa “figo” gli risulta congeniale.
Per mille giorni gli italiani gli hanno dato retta, poi si sono stufati.

Riforma costituzionale e legge elettorale
Siccome è da molto tempo in qua che l'Italia non fa che andare a rotoli, vuoi vedere che tutto dipende da quel catenaccio di Costituzione e da quella porcata di legge elettorale che ci ritroviamo? Magari! Il fondato sospetto è che invece sia vero il contrario, cioè che l'incapacità di arrestare il declino italiano induca ad attribuirla a una presunta questione di competenze, di rapporti fra organi dello Stato, insomma di regole del potere.
Renzi è in proposito un caso esemplare. Tre anni fa viene chiamato a governare un paese nel quale imperversano, per rimanere in un ambito di rigida competenza governativa, i quattro truci cavalieri dell'Apocalisse evasione, corruzione, burocrazia, giustizia. Non vorrei essere accusato di benaltrismo, ma uno che senta il peso di questo po' po' di fardello sulle spalle che bisogno ha di impantanare il suo impeto di giovane presidente del Consiglio nell'ammoina di una riforma costituzionale bislacca, approvata oltretutto da un parlamento illegittimo per sentenza? Di un parlamento figlio di una legge elettorale incostituzionale ci si libera al più presto e per nessun motivo gli si lascia toccare la Costituzione, nemmeno per compiacere la senile ambizione di Napolitano di passare alla storia come il Licurgo del III millennio (d.c.).
Va detto invece che tutto di Renzi è il disdoro della legge detta Italicum, un delirio antidemocratico in nome del mantra ossessivo “sapere chi ha vinto e chi ha perso la sera stessa delle elezioni”. È anche la legge dei record, non solo se ne preannuncia la revisione prima ancora di farla entrare in funzione ma, essa stessa sottoposta alla valutazione della Suprema Corte, potrebbe e secondo molti giuristi dovrebbe subire il giudizio di incostituzionalità proprio come la precedente Porcellum i cui vizi avrebbe dovuto correggere.
Fà e disfà l'è tut un lavurà.

Personalizzazione
C'è chi si ostina a pensare che le cose sarebbero andate diversamente se Renzi avesse evitato di legare al risultato del referendum il destino politico suo personale e del governo da lui presieduto. Si diano pace, ci sarebbe voluto ben altro che una riforma mal scritta – nella sostanza e nella forma – per convincere la maggioranza degli italiani a sbarazzarsi dell'assetto istituzionale concepito dai costituenti.
Piuttosto, come la mettiamo con Renzi? Numerosissime dichiarazioni testimoniano il suo intento di farla finita con la politica in caso di urne avverse, ne riporto un paio per tutte, scelte fra le più brevi. La prima: “La rottamazione non vale solo quando si voleva noi…. Se non riesco vado a casa”. La seconda: “Non sto in paradiso a dispetto dei santi. Se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro”.

Beh, a me non sembra che le cose stiano andando così, sento parlare di reincarico, di consultazioni parallele, di primarie di primavera, di gestione delle trattative per le leggi elettorali di Camera e Senato, di Gentiloni messo lì a tenergli il posto in attesa del grande rientro (ma questa non la bevo), soprattutto non percepisco alcuna intenzione di abbandonare la segreteria PD. Un teorico del doppio incarico segreteria-governo non dovrebbe applicare la teoria anche alla rovescia, ovvero doppie dimissioni governo-segreteria?

L'Italia della politica sembra presa dallo stesso desiderio di oblio della Sicilia di Tomasi di Lampedusa: su dichiarazioni della cui autenticità non è lecito dubitare (sono pochi gli italiani che non le abbiano lette e/o ascoltate) è come se fosse calata una coltre pietosa, la grande stampa più che parlarne ne fa vagamente cenno, la RAI tace, al PD bocche cucite, le opposizioni per non dir la loro disertano l'aula, cos'è, la consegna del silenzio?
Ma quel va detto va detto. Quando uno afferma “se non riesco vado a casa”, afferma cosa diversa da “se non riesco vado a casa per le feste di fine anno” e quando dice “se perdo, non finisce solo il governo ma finisce la mia carriera come politico e vado a fare altro” vuole significare che, per coerenza dire/fare, andrà proprio a fare altro, in politica nemmeno più il consigliere comunale nella natia Rignano sull'Arno. In caso contrario avremmo a che fare con un mancatore di parola improponibile per la guida di un paese come di un partito come, non lo so ma lo immagino, di una squadra di boy scout.
Cameron, che pure non aveva mai personalizzato il suo referendum, ha fatto fagotto subito dopo il Brexit e non se ne sa più nulla. Questione di classe, la cui carenza è motivo primario della nostra scarsa credibilità internazionale.
Almeno finché continueremo a mandare in giro i barlafüs.

Giuseppe Pizzi

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  17 dicembre 2016