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Lo sfasciacarrozze
Giuseppe Pizzi

Renato Gottuso

C'ha messo tre anni ma infine ce l'ha fatta. Oddio, a ben vedere c'ha messo anche troppo, a sfasciare la carrozza del PD non ci voleva granché, semmai la fatica d'Ercole era tenerla insieme e farla marciare. Da tempo emetteva sinistri gemiti già da ferma, quando e se si avviava faceva un chiasso d'inferno, non aveva un bullone tirato come-dio-comanda alla sua vite, scatola dello sterzo compresa, drago chi riusciva a mantenerla in strada.
Tuttavia, per quanto smaniava di salirci a bordo e di guidarla, da Renzi era lecito aspettarsi che le riservasse un po' più di premure. Macché, la carrozza perdeva i pezzi, altri minacciava di perderne ma lui – l'istinto rottamatore, chi ce l'ha, non se lo può domare – tutto sommato ne gioiva, alleggerirsi di un po' di zavorra avrebbe giovato sia alla carrozza che al suo conduttore.

E sì che all'ultima Leopolda quel geniaccio di Farinetti, presagendo come sarebbe andata a finire, l'aveva avvertito: «Guarda che sei diventato antipatico1)» (per la verità aveva educatamente detto: «siamo diventati antipatici» ma certamente non alludeva a se stesso). Niente, come parlare al muro, ci mancherebbe che un leader ascoltasse le ragioni degli altri, un leader che si rispetti detta le sue ai seguaci, quante volte l'abbiam sentito dire: «Noi s'è messa la faccia e si va avanti a cambiare l'Italia»?

Già, la faccia! Nella narcisistica convinzione che la sua non potesse che piacere ha commesso l'errore fatale, tipico dei governanti populisti e autoritari: «Se non votate come dico io, vi pianto in asso e non mi faccio più vedere». Non si trattava di una “voce dal sen sfuggita”, che comunque “più richiamar non vale”, l'ha detto e ridetto in almeno una ventina di occasioni fino alla vigilia del referendum, la più importante e solenne delle quali in Senato, e non in una seduta qualsiasi. Il 20 gennaio 2016 i senatori dovevano votare sulla riforma costituzionale, cioè sul proprio suicidio (assistito da vitalizio) e l'allora presidente Renzi li arringava con un discorso comprendente questo passaggio (la citazione è un po' lunga ma godibile e istruttiva).

Ho personalmente affermato davanti alla stampa e lo ribadisco qui davanti alle senatrici e ai senatori che nel caso in cui perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza politica. L'ho fatto perché credo profondamente in un valore che è il valore della dignità del proprio impegno nella cosa pubblica …
… ma il punto chiave di questa discussione oggi non è la personalizzazione esasperata, non è il tentativo di trasformare un referendum in un plebiscito, è recuperare quel filo di credibilità della persona e dell'impegno politico. Come è possibile immaginare dopo una cavalcata così emozionante e straordinaria unica in 70 anni di potere andare a un referendum su quella che è la madre di tutte le riforme e di non trarne le eventuali conseguenze qualora non vi fosse un voto positivo. Come è possibile non prendere atto che è terminata la stagione dell'impegno politico fatto a prescindere dal consenso dei cittadini …
… Io prendo qui l'impegno esplicito, in caso di sconfitta trarremo le conseguenze ma dico anche che proprio per questo motivo sarà affascinante vedere le stesse facce gaudenti di adesso il giorno dopo il referendum2) quando i cittadini con la riforma avranno dimostrato da che parte sta l'Italia: sta dalla parte di chi ci crede, di chi ci prova, di chi non passa il tempo a lamentarsi, questa è l'Italia che sta ripartendo3). Nei momenti chiave del mio impegno politico come questo mi capita di ripensare alla mia formazione educativa legata allo scoutismo con una espressione programmatica che molti conoscono anche in questa aula per esperienza personale, “Pongo il mio onore nel meritare fiducia".

Una triplice promessa/scommessa (che ai senatori doveva suonare minaccia di elezioni anticipate con tanti saluti al vitalizio) che impegnava una posta altissima, la dignità del politico, la credibilità della persona e principalmente l'onore del boy scout che Renzi è tuttora fiero di essere stato. Così, dopo il verdetto elettorale del 4 dicembre: «Se la metti in questo modo, allora vattene», cos'altro poteva fare un uomo che più del potere avesse a cuore dignità, credibilità e onore se non ritirarsi, nascondersi, sparire? È quel che tanti, anche Farinetti, gli hanno consigliato, eclissarsi in ritiro spirituale di un paio d'anni magari negli USA a migliorar l'inglese e attendere il tempo propizio a un ipotetico ritorno sulla scena politica italiana.
Consigli ricevuti e cestinati. Come il pugile che, risvegliandosi rintronato e malconcio da un catastrofico KO, comincia a straparlare di rivincita, così Renzi a urne ancor calde era già lì che lividamente ("Non credevo mi odiassero tanto") puntava a rifarsi dello smacco subìto. Dice che dalla tentazione di mollare l'avrebbero dissuaso moglie e figli che non volevano vergognarsi di un marito e padre arrendevole e pusillanime. Ma l'avrà raccontato, almeno agli innocenti marmocchi, che cosa aveva messo a rischio come pegno del suo azzardo, gliel'avrà spiegato che la vita può presentare evenienze nelle quali la grandezza d'animo consiste nel cedere il passo?

La questione esula dall'ambito familiare per investire la credibilità e, diciamolo, la moralità politica italiana. La politica si fa con le parole – comizi, discorsi, congressi, programmi, manifesti, interviste, dibattiti, articoli, slogan, social – perciò la coerenza delle parole con gli atti e i comportamenti conseguenti dovrebbe essere il requisito politico di massima importanza. Di fatto lo è dappertutto tranne che in Italia dove vige un diffuso perdonismo di matrice cattolica che tollera e presto dimentica anche le incoerenze più grossolane.

Se è deplorevole la conversione con annessa auto-assoluzione di Renzi, come giudicare quei senatori che lo hanno ascoltato promettere il contrario di ciò che ha poi fatto e tuttavia continuano a sostenerlo?
E cosa dire dei mezzi d'informazione che dell'impegno disatteso, politicamente molto più grave delle “cene eleganti” di Berlusconi, evitano di parlare come se in Renzi vedessero la reincarnazione di Garibaldi?
E nel PD? Nulla, argomento tabù, nessuno che osi alzare dito per chiedergli: «Cosa ci fai ancora qui, non te ne dovevi andare?», si è schierata con Renzi persino la Bolognina, storica sezione della più pura e intransigente ortodossia di sinistra. Al tempo della fondazione del PD i DS, oltre che meglio strutturati, erano quasi il doppio dei Margheriti, come in dieci anni si sia potuta attuare la democristianizzazione del PD resta un quesito senza risposta.

Costretto dalle circostanze a lasciare la presidenza del Consiglio, al mancatore di parola – "imbroglia le carte su tutto" disse di lui il politologo Sartori, “imbroglia più di Silvio” dice di lui l'imbrogliologo Verdini, “paulòt impustùr” diceva dei tipi come lui il brianzologo impertinente – si concedeva così di rimanere in carica come segretario PD e, giusto per consolarsi della tranvata referendaria, di riprendere senza distrazioni a sfasciare la sua carrozza preferita. La geniale pensata di duplicare la staffetta Medvedev-Putin con la Gentiloni-Renzi è bastata a causare il definitivo distacco di parecchi pezzi da 90 senza i quali la carrozza potrà andare solo in retromarcia, genialata cui oltretutto potrebbe venir meno il presupposto principale, perché Gentiloni non è Medvedev e non sarà così pronto a riconsegnare le chiavi di Palazzo Chigi come Medvedev quelle del Cremlino. D'altronde neanche Renzi è Putin, vorrebbe forse esserlo ma non lo è. Rivedremo una copia della Letta-Renzi?

Visti i numerosi segnali di autonomia politica provenienti dal governo Gentiloni le premesse ci sono tutte, sempreché le primarie sorridano a Renzi. È vero che sono la sua specialità ma stavolta i suoi avversari non sembrano intenzionati a fargli da sparring partner.
Comunque finisca, se alle prossime politiche dovessero prevalere i 5 Stelle o le destre si sentiranno in debito con lo sfasciacarrozze.

Giuseppe Pizzi

1) Finalmente se n'è accorto anche un altro, da quel giorno mi sono sentito meno solo.
2) Gli piace sfottere? Non si sorprenda se gli sfottuti brindano alla sua sconfitta.
3) Col senno del poi, se quel che continuava a ripetere fosse stato vero, addio Costituzione!

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  13 aprile 2017