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Il porto franco di Trieste
opportunità per l'economia nazionale
Roberto Rosenwasser

 Attracco traghetti e porto turistico - foto Bruni

Il regime di porto franco a Trieste risale al periodo absburgico, prima di Maria Teresa, che però lo ha perfezionato: a questa situazione favorevole Trieste deve il suo sviluppo da piccola cittadina di poche migliaia di abitanti, a porto principale dell'Impero, con una punta di quasi 300.000 abitanti. Durante l'occupazione americana, il protocollo di Parigi confermò i privilegi di extraterritorialità, ed i vantaggi operativi:

Quali sono le novità di oggi per il porto di Trieste ed il suo regime franco trasferibile? Finora il problema era costituito dalle incertezze normative, che ora verranno risolte dall'autorità portuale. La nuova situazione prevede che si possano svolgere lavorazioni, in regime franco, anche verso l'Europa con IVA differita e verso altri Paesi in esenzione doganale.

Ma quali potrebbero essere i soggetti interessati dalle nuove norme? Certamente attività di trasformazione ad alto valore aggiunto rispetto alla componentistica o alla materia prima: per fare un esempio: assemblaggi di computer di alto livello, macchine biomedicali, meccanotronica; ma pure produzione di sigarette e prodotti del tabacco. Se il prodotto virtuale sarà considerato, pure i servizi cloud, che potrebbero scontare un prezzo di energia privo di accise per la vendita estero su estero. Inoltre, i depositi di beni di valore (quadri, collezioni, oro) in zona franca, trasferibili estero x estero come a Lugano. Le opportunità non sono molte in varietà, ma esistono.

Noto che non sono molto dissimili da quelle cui abbiamo rinunciato, che erano previste dalla zona franca tranfrontaliera del trattato di Osimo: che però, all'epoca, avrebbe potuto contare su una manodopera qualificata a basso costo... abbiamo perso così 50 anni, e lo sviluppo di una città. aveva ragione Formica, che diceva di non capire che cavolo volessero i triestini...

Il problema era dato da una rigidità nell'applicazione delle norme, sulle zone soggette e sulla possibile ricollocazione del regime in altre zone portuali o meno, oltre che sulla natura di eventuali lavorazioni e attività, ovvero se dovessero riguardare solo merci o pure servizi, compresi i finanziari e assicurativi. Su questo aspetto, una prima ipotesi di sviluppo negli anni '90, che vedeva interlocutori industriali e società come assicurazioni generali, si era arenata in assenza di una normativa precisa.

Sull'utilizzo dei porti poi, il porto vecchio è rimasto per attività di deposito, per fondali non sufficienti, e l'Austria allora aveva costruito il porto nuovo, meglio attrezzato; sono stati fatti negli anni innumerevoli studi e progetti. Ultimo lo studio affidato a Ernst & Young, dopo una gara, che però si limita - a mio parere - ad elencare possibili utilizzi senza individuarne i soggetti attuatori.

La firma dell'accordo, che delega all'autorità portuale l'attuazione delle zone prescelte e del loro utilizzo, dovrebbe fornire un quadro normativo più certo. Va detto che il porto vecchio è assoggettato a vincolo delle Belle arti (voluto da Sgarbi come sottosegretario), fatto che limita le scelte possibili di utilizzo.

Roberto Rosenwasser

 da Google Earth


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  5 luglio 2017