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Quer pasticciaccio brutto di San Lorenzo
Luca Polacco

Desirée Mariottini
 
Come valutare la brutta storia capitata a Desirée Mariottini, la sedicenne di Cisterna di Latina drogata, violentata e lasciata morire in un capannone nel quartiere San Lorenzo di Roma? Le chiavi di lettura sono molteplici e in questo caso, come in molti altri, si collegano spesso alle preferenze politiche di chi ne discute.

Secondo alcuni, il problema sono gli immigrati, clandestini o meno, che si riversano giornalmente nei mesi più caldi dell'anno sulle italiche sponde, rei di non aver mai avuto una educazione rispettosa nei confronti di chi li ospita ed incapaci di empatizzare con i nostri usi e costumi. Generalmente questo filone, sembrerà stereotipato ma è così, viene seguito da chi appoggia la linea politica Salviniana del “prima gli italiani”, dei barconi da non accogliere e delle ruspe da mettere in moto.

Secondo altri, coloro che seguono una linea più tendente a sinistra, il problema sta nell'integrazione mancata che questi individui subiscono una volta arrivati in Italia. Una sorta di ghettizzazione profusa dallo stesso Stato, che non ha risorse per nessuno, figurarsi per gli ultimi arrivati stranieri.

Per i primi, la soluzione corretta è quella più drastica. Chiusura dei confini, dei porti, degli aeroporti e più in generale la privazione di ogni diritto costituzionale ed umano a favore di un rigido controllo capillare, senza contare lo smantellamento generico di ogni forma di aggregazione che possa più o meno essere finalizzata ad attività illecite.

Se in questo periodo storico la Destra italiana si ritrova compatta, agguerrita e vincente come non mai, la Sinistra sconta parecchi anni di malgoverno e lotte intestine, ritrovandosi disunita e alla ricerca di una strada che la possa riportare a governare il Paese. Questo si evince anche dalle dichiarazioni dei suoi esponenti più noti, che invece di dare soluzioni e proporre strategie, si scagliano contro il nemico numero uno del momento, il vicepremier Matteo Salvini. Ed ecco come due donne importanti nell'economia della Sinistra italiana come la Boldrini e la Kyenge si ritrovino a dar contro le apparizioni mediatiche del leader della Lega o a criticare il programma di governo salviniano, invece di seguire una idea o un programma forte, costruito e ragionato che vada oltre la frase “non bisogna essere razzisti” o “contro il degrado di Roma”.

Va anche detto che di recente è accaduto un altro fatto aberrante, questa volta nel salernitano, dove una donna di origine rumena, Violeta Senchiu, 32 anni, è stata arsa viva con tre taniche di benzina. A compiere questo orribile atto non sarebbe stato un suo “collega immigrato” regolare o irregolare, uno di quelli che si drogano e bivaccano in stazione senza fissa dimora. No.
Sarebbe stato il marito. Italianissimo. 48 anni, originario di Sala Consilina.

Su di lui gravano le accuse di omicidio pluri-aggravato per futili motivi, crudeltà e premeditazione nonché di incendio doloso.
Quello accaduto è il terzo femminicidio nell'area del Vallo del Diano in breve tempo, che qualcosa vorrà pur dire, ma che in generale non porta voti e non attrae le telecamere.

Ci si chiede, a ragion veduta, perché il ministro Salvini e i suoi colleghi, sempre schierati in prima fila per le battaglie che contano davvero come quella del cous cous alla mensa scolastica o delle bambole “con qualche problema” non abbiano voluto dire una sola parola in merito al fattaccio occorso alla Senchiu. Forse la fan base del loro elettorato non vedrebbe di buon occhio i propri leader - tra cui una donna di spicco che per empatia sarebbe dovuta essere molto vicina alla tematica del femminicidio - condannare gesti compiuti da italiani a discapito di stranieri?


Sicuramente non è così e, visti gli innumerevoli impegni istituzionali, gli sarà passato di mente.
Sarà sicuramente così. Deve essere così.
Certo, a pensar male del prossimo si fa peccato ma si indovina, diceva Pio XI (e non Andreotti, come si pensa erroneamente).
Ma questa è un'altra storia che meriterà, forse, un approfondimento diverso in futuro.


Dicevamo di Desirée.
Per chi non lo sapesse, ricostruiamo brevemente i fatti. Il 17 ottobre la ragazza chiama la nonna materna affermando di aver perso il treno che da Roma l'avrebbe riportata a Cisterna di Latina, comune della provincia di Latina dove viveva. Avvisa quindi che avrebbe trascorso la notte ospite da una amica nella Capitale. Successivamente, un testimone ammette di aver lasciato la ragazza alle 4 della mattina del 18 ottobre davanti ad uno stabile in via dei Lucani, a Roma. Stando alle indagini, durante quella giornata, si consuma il delitto e alla ragazza viene somministrato un cockatil di droghe, abusandone poi sessualmente. Nella notte del 19 ottobre, i soccorritori ritrovano il corpo senza vita della minorenne.

Vengono indagati quattro individui: due senegalesi, un nigeriano ed un ghanese. Solo nella giornata dell'11 novembre, quasi un mese dopo la tragedia, viene fermato un quinto individuo. Si tratta di un italiano, un romano di 36 anni, incensurato, reo di aver venduto alla ragazza e agli altri quattro indagati le dosi di droga letale di cui il gruppo avrebbe abusato.

Le reazioni a questa vicenda sono state, come era ovvio immaginare, forti ed eclatanti.
Come anticipato, il filone riconducibile alla Destra italiana inneggia alla sicurezza e a ronde di controllo per il quartiere, con il vicepremier Salvini che si è recato personalmente a San Lorenzo a deporre una rosa nel luogo del crimine. Inutile dire come questo abbia causato la più ovvia delle reazioni. Gli antagonisti di Salvini, della sua politica e del suo governo, si sono dati appuntamento nel quartiere, storicamente a forte tinte antifasciste, per manifestare contro quello che, secondo loro, era semplice e banale sciacallaggio mediatico, difendendo quei luoghi di aggregazione molto poco cari a Salvini quali i Centri sociali (il più delle volte occupati) e riaffermando la sovranità popolare di San Lorenzo.

A prescindere da chi possa avere ragione o meno in questa vicenda, rimane inequivocabile una verità consolidata per chi la Capitale la vive da sempre, ogni giorno, non solo come turista occasionale, nemmeno per chi la vive solo nei quartieri “bene” o nei palazzi della politica. Roma, a differenza di molte altre città italiane e straniere, non è più una metropoli dove poter girare in tranquillità, special modo la notte. Non lo è mai stata in realtà, ma oggi più che mai è vittima di una incuria e di una mancanza di gestione capillare che sfiorano il ridicolo.

Rimanendo nell'area di San Lorenzo, l'italianissimo Marco, proprietario insieme al suo omonimo socio di un negozio di abbigliamento nello storico quartiere romano, si è dovuto arrendere alle intimidazioni e alle pressioni criminali di ogni “razza e colore” che giornalmente bussavano alla loro porta. E così tantissimi altri commercianti della zona.
Senza contare, ovviamente, gli abitanti del quartiere stesso che vivono giorno e notte tutto ciò. Ma anche questa storia merita un capitolo a parte.

Di tutta risposta, il sempre molto attivo sindaco di Roma (o sindaca, come preferisce essere chiamata) Virginia Raggi, fresca di assoluzione dall'accusa di falso nel processo che la vede coinvolta per la nomina di Marra perché fondamentalmente non sapeva cosa stava facendo in quanto inconsapevole, ha indetto lo stop alla vendita di alcolici nel quartiere dopo le 21 ogni sera.

Che è un po' come applicare un cerotto carino, di quelli con i pupazzetti stampati sopra, su una ferita da arma da fuoco.
In primo luogo perché questo tipo di ordinanze, già proposte sempre a Roma in zone ad alto tasso alcolico come Campo de' Fiori o limitrofe allo Stadio olimpico in occasioni di partite di calcio, non vengono mai rispettate e lasciano in ogni caso il tempo che trovano. Nulla vieta a qualcuno di acquistare bottiglie di ogni genere all'interno di un altro quartiere e consumarle all'interno della zona interdetta alla vendita.

Così facendo inoltre si va a danneggiare l'economia di un quartiere da sempre a forte stampo universitario e più in generale frequentato da giovani di ogni genere, che si mescolano, si incontrano, danno vita ad idee e certamente, in alcuni casi, anche a bagarre dovute al troppo alcol in corpo. Sarebbe bastato frequentarlo un minimo, San Lorenzo, per capire che il quartiere vive al 50-60% di vita notturna, di “movida”, con una percentuale di locali dedicati alla “night life” tra le più alte in tutta l'estensione capitolina.

In secondo luogo, San Lorenzo e tutti i quartieri situati intorno alla Stazione Termini sono da sempre terra di nessuno dove ognuno fa quel che vuole come vuole. Come in buona parte del resto di Roma, va detto. Ma queste zone lo sono più delle altre. L'esperienza personale è quella di un continuo stato di insicurezza, superata una determinata ora, laddove si vadano a percorrere strade meno frequentate o poco illuminate (che a Roma sono quasi la prassi) e frequentate o si incroci per sbaglio lo sguardo con qualche attaccabriga.

Il problema principale di tutta questa storia è nella mancanza della cura al dettaglio di ciò che ci circonda. Si vive per inerzia e laddove sorge un problema si prova a mettere una pezza momentanea, piuttosto che risolvere il problema alla radice.

Dicevamo della prevenzione, perché?
Perché è tutto collegato. La prevenzione aiuta un corpo, così come una città, a funzionare meglio, senza doversi ridurre all'ultimo minuto con soluzioni di dubbia utilità.
La stessa prevenzione che non si è fatta abbandonando i quartieri, senza provare a ridurre al minimo o cancellare totalmente storie strazianti come quelle di Desirée ed altre meno forti ma pur sempre importanti come quella di Marco.

Perché dato per scontato che la tossicodipendenza uccida, alla pari dell'alcolismo, dell'obesità e di tutti quegli altri vizi ritenuti mortali dalla comunità scientifica, la responsabilità sulla sensibilizzazione e la prevenzione dovrà sempre essere compito dello Stato e del nucleo famigliare, che di riflesso viene istruito dallo stesso Stato.
Premessa la distruttività di una dipendenza, il fatto di abusarne non significa automaticamente che tutto ciò che ne deriva debba essere “meritato”.
Il “se lo è andata a cercare” e affini preferiamo lasciarli ai benpensanti, quelli descritti nelle strofe di “Piombo e Fango” del gruppo rap “Colle der Fomento”: “un'altra pantomima di un Paese che ormai rischia il tracollo - mentre pippa cocaina con il crocefisso al collo”.

Sarebbe bello vedere più sovvenzioni a persone come gli operatori e i volontari dell'unità di strada di Villa Maraini, detti anche gli Angeli di Tor Bella Monaca. Che gestiscono ogni giorno povere anime deboli e distrutte che si rifugiano nella droga, provando a prevenire la loro morte.

Sarebbe bello sapere che un ragazzo chiuso in caserma in custodia cautelare, quindi sotto la responsabilità dello Stato, non debba essere picchiato a sangue, deriso, disprezzato ed annichilito da chi mi dovrebbe garantire sicurezza, protezione e, nel caso dovesse servire, un giusto processo, prevenendo la sua morte.

E sarebbe stato molto bello se una giovane ragazza, palesemente affetta da problemi di natura sociale, avesse ricevuto gli aiuti sperati ed il sostegno di cui aveva bisogno, invece di rintanarsi nella spirale della droga.
Ma anche qualora questo fosse accaduto, come non è stato, sarebbe stato bello che la prevenzione sociale, legale e psicologica, le avessero consentito di salvarsi dagli aguzzini che hanno abusato di lei in quel giorno di autunno, in un quartiere tra i più problematici della Capitale d'Italia.

La prevenzione infatti passa anche attraverso la valorizzazione di quelle che sono le forze di un quartiere, le sue peculiarità. Non certamente attraverso la demonizzazione e ancora meno attraverso la repressione culturale, che sia essa legata ad un quartiere intero con i suoi pro e suoi contro o solamente alle piccole realtà che ancora duramente lottano per condividere pensieri ed informazioni, culture diverse dalla nostra, offrire rifugio a chi un rifugio non lo possiede, resistendo a sgomberi e censure che sembrano essere diventati ormai il pane quotidiano del nostro paese.

E di non permettere a chi ha problemi di ogni genere di essere un peso per lo Stato, ma una potenziale risorsa da accudire e in cui incanalare per un domani migliore, sfruttando la sua esperienza e non sprecandola.
Come per tutti gli altri, più di tutti gli altri.

Luca Polacco


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  12 novembre 2018