prima pagina lente pagina precedente



Romolo e Remo
dedicato ai miei molti amici che sono stati
o che tuttora sono sostenitori di Matteo Renzi
Giuseppe Pizzi

Di Maio e Salvini

Profetica eloquenza di un'immagine!
Il linguaggio del corpo è incapace di menzogne, gli atteggiamenti di Salvini di Di Maio preannunciano le acque burrascose in cui il guscio di noce gialloverde dovrà navigare. La foto è dell'anno scorso, i due hanno appena firmato il loro faticoso contratto e, dopo tante nottate in cerca di un accordo, è giusto che insieme manifestino soddisfazione per averlo raggiunto.
Senonché occhi mani labbra dicono proprio il contrario.
Osservate lo scambio di sguardi e dite se non sono uno più beffardo e provocatorio dell'altro. E quella stretta di mani allacciate più vigorosamente del necessario può avere un solo significato: “Ti tengo in pugno, facciamo a braccio di ferro e vedi di uscirne illeso”. Se occhi e mani non bastassero arriverebbe in soccorso la sfida dei ghigni spacciati per sorrisi. Ghigni parlanti, come nei fumetti. Salvini: “Uhé, niente scherzi né trucchi che a noi milanesi ci fanno incazzare“. Di Maio: ”Eh, ha ancora da nascere il milanese capace di fottere un napoletano“.

Sarà anche un pregiudizio ma Salvini rappresenta proprio il tipo di politico cui mi verrebbe voglia di dare torto quand'anche avesse ipoteticamente ragione ("è il tono che fa la musica" e per i miei gusti è stonatissimo). Dicono che in privato sia gentile e garbato eppure, da come riesce a calarsi nella rozza brutalità del suo ruolo pubblico, c'è ragione di dubitarne. Il suo fortunato (per ora) programma politico si regge sostanzialmente su due capisaldi (“l'immigrazione africana ha rotto, l'Unione europea ha rotto”), tutto il resto viene di conseguenza.
Il primo caposaldo significa razzismo. Salvini ha un bel negare di essere razzista ma non c'è altro modo di definire un ministro che nutre un'avversione al limite dell'ossessione verso gli africani neri tanto da stendere un cordone sanitario contro “lo nero periglio che vien da lo mare” come se le stive dei barconi fossero piene zeppe di appestati. Preferisce forse gli egiziani e i magrebini che sono sì islamici più fondamentalisti dei nigeriani o dei senegalesi, però più chiari di pelle? O meglio i pachistani, musulmani scuri ma non troppo? O gli albanesi, musulmani biondi? O per non sbagliare i cinesi, né neri né islamici? A Salvini, come a tutti i difensori del “diritto del sangue” (lo dice la parola), fa orrore il meticciamento della pelle e, come tutti i razzisti, lo ammanta di tutela delle tradizioni, della lingua, della cultura identitaria.
L'altro caposaldo sta per sovranismo, parola nuova (il mio word, ignorandola, la sottolinea in rosso) che però indica il vecchio nazionalismo fascista d'anteguerra. Al grido di “padroni a casa nostra”, il neofascista Salvini cavalca entusiasticamente l'onda sovranista: riesuma il “tiriamo diritto” e il ”me ne frego” di fosca memoria, vellica le nostalgie ducesche con un inedito “tanti nemici tanto onore” proprio nell'anniversario della nascita di Mussolini, se la intende con Bannon. Orbàn, Le Pen, bacia il rosario ma celebra Pasqua imbracciando il mitra, arriva a rievocare l'Agro Pontino col promettere senza mantenere un pezzo di terra demaniale alle famiglie numerose, in attesa del balcone di Palazzo Venezia si affaccia a quello forlivese da cui Mussolini aveva assistito all'esecuzione di quattro partigiani e in attesa che lo chiamino Duce per il momento va sotto il nome di Truce.
Non perdonerò mai a Renzi di avergli spianato la strada.


Se Sparta piange Atene non ride. Il suo compare Di Maio, quello delle vampate ad autoestinzione rapida tipo impeachment” di Mattarella, franco CFA, gilet gialli, Via della Seta, revoca delle concessioni autostradali ecc., un po' per non essere da meno dell'alleato (si fa per dire) e un po' per darsi coraggio se ne esce con una sparata al giorno, una più strabiliante dell'altra, fortuna che nessuno gli dà retta. Ne pesco una nel mazzo: “non temiamo lo spread e non abbiamo paura dei mercati”. Va a spiegarglielo che sono i mercati ad aver paura di un dilettante come lui e che Ciampi,
che era Ciampi, temeva lo spread più che il diavolo l'acquasanta.

Che questo governo fosse destinato a vita breve eravamo in molti a pensarlo ma adesso, dopo un anno di litigi e di provvedimenti che sembrano studiati per confermare la previsione, le fila si sono infittite. Per dirne un paio, prendiamo reddito di cittadinanza e pensioni a quota 100: il primo concepito come elargizione ai disoccupati meridionali che votano M5S, il secondo come bonus agli straoccupati del Nord leghista che finalmente possono dedicarsi full-time al lavoro in nero finora svolto part-time. Sfido che il debito pubblico continua a salire, finiremo fuori dall'UE, e non per scelta.
Tuttavia c'è una ragione che va al di là della pochezza di Salvini e Di Maio ed è che fin dal tempo di Romolo e Remo le diarchie non funzionano o meglio, possono anche funzionare a patto che si limitino a vivacchiare nel sonnolento tran-tran dell'ordinaria amministrazione, al primo cenno di vitalità i diarchi da alleati diventano avversari. Per rimanere a Roma antica, il consolato costituiva un sistema di governo iperconservatore, entrambi i consoli avevano potere di veto sulle intenzioni del collega, condizione ideale e ideata dalle grandi famiglie senatorie per lasciare le cose come stavano, tant'è che in caso di guerra o di pericolo, cioè quasi sempre, il senato stesso destituiva i consoli e nominava un dittatore.
Al contrario dei consoli romani i nostri diarchi nutrono ambedue l'ambizione di rifare l'Italia (sennò che governo del cambiamento sarebbe?) ma poiché ognuno vuole rifarla a modo suo e concedere
significa soccombere, nessuno stupore per lo scambio di coltellate (metaforico) cui quotidianamente assistiamo. Continuando così andranno a sbattere, poco male se non fosse che di questi tempi in tutta Europa c'è caso che i governi prossimi venturi siano anche più scalcinati degli attuali.

A meno che... a meno che si avveri la profezia di quel geniaccio kitsch di Trump, uno che gli uomini dimostra di conoscerli nei loro pregi e difetti – d'accordo, non come le donne – il quale fin dal primo incontro ha ravvisato in Conte inaspettate doti di leadership, nel qual caso Di Maio e Salvini faranno la figura e la fine dei polli di Renzo. Tocca sperare nell'ultimo arrivato e tuttavia, dalla pacata disinvoltura con cui sembra confermare il credito di Trump, fortuna che c'è (perlomeno non si fa vedere col telefonino in mano).

Giuseppe Pizzi


Condividi su Facebook
Segnala su Twitter


EVENTUALI COMMENTI
lettere@arengario.net
Commenti anonimi non saranno pubblicati

in su pagina precedente

  22 maggio 2019