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7 febbraio 2016


Giulio Regeni
Giulio Regeni

Giulio Regeni, autopsia: “Morto per frattura di una vertebra cervicale. Sul cadavere segni di violento pestaggio”
Gli esami all'istituto di medicina legale della Sapienza si sono conclusi dopo 5 ore. Numerose fratture sul cadavere. Ambasciatore italiano: "Intervento al Sisi per ritrovare il corpo". Intanto un autorevole giornale vicino al governo del Cairo scrive che prima di sparire il il 25 gennaio il ragazzo partecipò a una festa di compleanno insieme a numerosi amici. Martedì i funerali in Friuli
F. Q. | 7 febbraio 2016


La frattura di una vertebra cervicale causata da un violento colpo al collo. Così è stato ucciso Giulio Regeni, il ricercatore friulano il cui cadavere è stato trovato abbandonato lungo una strada che dal Cairo porta ad Alessandria giovedì scorso. E' quanto emerso dall'autopsia, conclusa dopo 5 ore, sul cadavere del 28enne che è stato picchiato violentemente prima di morire. Gli esami non hanno però potuto ancora stabilire con certezza la data del decesso.

L'autopsia
L'esame effettuato dall'equipe dell'istituto di medicina legale della Sapienza di Roma – disposto dal pmSergio Colaiocco titolare dell'indagine e al quale ha partecipato anche un consulente medico-legale nominato dalla famiglia del giovane – si è protratto fino a tarda sera. I medici hanno appurato che la frattura della colonna cervicale, determinata quasi certamente da una torsione innaturale del collo da parte di una persona che gli stava di fronte, ha avuto come conseguenze la rottura del midollo spinale e una conseguente crisi respiratoria, alle quali è seguita la morte. I primi elementi sembrerebbero dunque confermare quanto sospettato fin dall'inizio. Sul corpo di Regeni sono state trovate numerose abrasioni, lesioni ed altre evidenti fratture. Il cadavere è stato sottoposto ad una tac, ad un esame tossicologico e a radiografie. Per ora sono stati esclusi abusi sessuali, ma si aspettano i risultati di altri accertamenti per avere la conferma definitiva. L'equipe ha raccolto numerosi reperti che saranno sottoposti ad analisi specifiche di laboratorio. Domenica mattina il pubblico ministero ha firmato il nullaosta per la restituzione della salma ai familiari. Il corpo lascerà l'istituto e sarà trasferito in Friuli. Martedì si svolgeranno i funerali a Fiumicello dove è stato proclamato il lutto cittadino.

Dall'Egitto poca collaborazione

Il feretro di Regemi è arrivato in Italia sabato con un volo dell'Egypt Air all'aeroporto di Fiumicino e subito è stato trasferito all'istituto per gli esami autoptici, un passaggio fondamentale dal quale gli inquirenti italiani sperano di ottenere almeno parte di quelle risposte che continuano a non arrivare dall'Egitto. Al momento, infatti, della collaborazione promessa dalle autorità egiziane sembra non esserci traccia: il team di investigatori italiani, da ormai tre giorni al Cairo, ha potuto fare poco o nulla poiché per ora non ha avuto né accesso agli atti dell'inchiesta né ha incontrato chi sta conducendo gli accertamenti. Contatti ci sono stati, ma solo con funzionari che non si occupano direttamente dell'indagine. Al team è stato anche comunicato che il medico legale ha cominciato solo ieri “ad esaminare campioni di Dna e di diverse parti del corpo” di Regeni e che i “risultati definitivi saranno completati alla fine del mese”. Una situazione che ha spinto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni a dichiarare: “Siamo lontani dalla verità”.

Giornale egiziano: “Ha partecipato a festa prima di sparire”
Intanto dal Cairo, un autorevole quotidiano filo-governativo, Al Ahram, anticipando alcuni risultati dell'inchiesta fa sapere che prima di scomparire il 25 gennaio Regeni ha partecipato ad una festa di compleanno “in compagnia di un certo numero di amici”. Finora dai principali resoconti era emerso che Regeni fosse diretto, ma non arrivato, alla festa e fosse stato rapito durante il tragitto nel centro del Cairo prima delle 20. “Le indagini degli uomini della Sicurezza” hanno analizzato “gli ultimi momenti prima della scomparsa della vittima ed si è constatato che egli era in una festa in compagnia di un certo numero di suoi amici e dopo è scomparso il 25 gennaio”, scrive il giornale sulla sua versione cartacea. Con analoga fonte coperta (“secondo le indagini della sicurezza relative agli ultimi momenti”), l'informazione compare anche sul sito di Al Ahram.

Conclusi gli interrogatori degli amici
Fonti della sicurezza hanno riferito all'Ansa che “la Procura (del Cairo, ndr) ha terminato le audizioni degli amici di Regeni”. Ribadendo un'ipotesi formulata a livello ufficiale dall'Egitto, che non convince affatto però gli inquirenti italiani, su internet il quotidiano Al Ahram scrive che secondo “il capo del Dipartimento di Sicurezza generale Garir Mostafa si tratta di un atto criminale e non terroristico”. Circa le due “persone” di cui l'altro ieri era stato segnalato il fermo e ieri il rilascio, le fonti hanno confermato che nei loro confronti non è stata formalizzata “alcuna accusa” ma hanno segnalato che “si trovano al commissariato di polizia, trattenuti per indagini”.

Ambasciatore italiano: “Intervento di al Sisi per ritrovare il corpo”
Sull'omicidio interviene anche l'ambasciatore italiano al Cairo,Maurizio Massari. Intervistato da Lucia Annunziata a In Mezz'ora”, il diplomatico ripercorre le ore precedenti il ritrovamento del cadavere: “Credo che anche l'intervento del presidente Sisi sia riuscito a smuovere la macchina governativa egiziana” portando al ritrovamento del corpo di Regeni. Il 3 febbraio “ho approfittato della venuta del ministro Guidi e ho chiesto all'ufficio di presidenza egiziana che avesse un incontro preliminare senza le delegazioni” con il presidente Sisi “per sollevare questo caso”, ha raccontato Massari riferendo che in quell'incontro con Guidi il presidente “si era impegnato personalmente sul caso per darci una risposta quanto prima”. Massari invita alla cautela nei confronti delle autorità egiziane: “Evitiamo di precipitarci in conclusioni sulla collaborazione egiziana, certamente non sarà una collaborazione da dare per scontata”, ha aggiunto. “Oggi il nostro team investigativo presenterà una lista di richieste alla controparte, nel giro di qualche settimana massimo capiremo come si sta sviluppando la collaborazione”.

“Aveva contatti con sindacati e oppositori”
Resta ancora la domanda del perché Giulio è stato ucciso? Quando e da chi? Perché il suo corpo è 'ricomparso' appena l'Italia ha reso nota la notizia della sua sparizione? Hoda Kamel, rappresentante dell'Egyptian center for economic and social right, una ong che si occupa di tutela di diritti umani e i cui uffici sono stati perquisiti più volte dalle forze di polizia, ha raccontato al sit in davanti all'ambasciata italiana di aver incontrato Giulio diverse volte, per metterlo in contatto con alcuni membri dei sindacati indipendenti. “La prima volta venne da noi quattro mesi fa, l'ho incontrato 5 o 6 volte con i rappresentanti sindacali. Per il suo lavoro aveva scelto i negozianti, specialmente i più poveri e gli ambulanti. Glieli ho fatti incontrare per parlare della loro esperienza”. Durante questi incontri, ha detto Hoda, Giulio però “non era impaurito per nulla. Era solo cauto, non si è messo in una situazione che avrebbe potuto danneggiarlo, mai e poi mai”.

Movente legato al suo lavoro
Fonti qualificate italiane ribadiscono che si continua a ritenere plausibile che il movente della sua morte vada ricercato nel suo lavoro sui sindacati e nei suoi contatti. Ma, anche, che non viene scartata l'altra ipotesi, vale a dire che Giulio non era né seguito né controllato ma possa esser stato ucciso proprio per quello che è avvenuto la sera della scomparsa. Secondo questa ipotesi, quel 25 gennaio, dopo aver preso la metro, Giulio si sarebbe unito con altri manifestanti nella zona di Giza e lì sarebbe stato fermato assieme ad altri attivisti. L'arresto di “un occidentale”, quella sera, fu confermato da una giornalista egiziana. Dove sia stato portato, al momento, nessuno lo sa. Ma le fonti non escludono che possa esser finito in mano a qualche milizia paramilitare, non è dato sapere quanto vicina alle autorità ufficiali.



L'assassinio di Regeni e l'ipocrisia di Renzi
Paolo Flores d'Arcais su Micromega (7 febbraio 2016)


La parola “orgoglio” associata a “Italia” è stata sproloquiata da Matteo Renzi in tutte le occasioni possibili e inimmaginabili: dall'Expò di Milano all'inaugurazione dello Skyway sul Monte Bianco, dalla vittoria di Paltrinieri nei 1500 stile libero nei mondiali di nuoto (“strepitoso Gregorio, orgoglio Italia” è il twitter palazzochigiesco) al premio Oscar di Sorrentino, dal “decreto banche” al volo in Perù, dal Golden Globe per Morricone agli Us Open tennistici di Pennetta e Vinci, dalla festa dell'Unità di Milano al Job act agli impianti elettrici in Cile alle dighe in Etiopia e a qualsivoglia opera di imprenditori italiani all'estero …

Se di tutto questo orgoglio nazionale sventagliato e twitterato da Renzi urbi et orbi e coram populo come cosa propria c'è una sola oncia che non sia chiacchiera propagandistica per gonzi e giornalisti a bacio di pantofola, la cartina di tornasole sarà (è, ormai da giorni) l'orrenda fine di Giulio Regeni, torturato per giorni in modo efferato nell'Egitto di Al-Sisi e ucciso spezzandogli l'osso del collo.

Vogliamo anzi esigiamo la verità, tutta la verità, e altro bla bla bla è stata la giaculatoria che sotto la regia di Renzi le autorità italiane stanno biascicando da giorni. Ma quella verità, al netto di qualche dettaglio (i nomi degli esecutori) è lapalissiana, la scrive il Corriere della Sera, la scrive la Stampa, la scrive la Repubblica, la sanno anche i bambini e la capiscono i sassi, gli scherani di Al Sisi in forma di polizia politica del regime dittatoriale egiziano sono gli autori dei mostruosi giorni di tortura lenta e inenarrabile per strappare al collaboratore del Manifesto i nomi dei suoi contatti nei sindacati indipendenti invisi ai militari al potere.

Ora, un governo che possieda orgoglio nazionale, dopo aver mandato i suoi inquirenti in Egitto, al primo depistaggio di Al Sisi richiama l'ambasciatore, al secondo rompe le relazioni diplomatiche, altrimenti vuol dire che per orgoglio intende chinare il capo al giogo della presa per il culo, giogo che non può essere tollerato come gioco. E il primo di depistaggio c'è già stato, con la pantomima oscena dell'arresto di due criminali comuni (seguirà confessione) dopo aver inizialmente parlato di incidente d'auto, il secondo è in pieno corso col muro di gomma ormai in atto.

Del resto Renzi il reato di tortura si è ben guardato dall'introdurlo nell'ordinamento italiano. Non gli faremo il torto di ricordare l'adagio “cane non morde cane” perché sappiamo che i morti per tortura di polizia in Egitto si contano a centinaia e forse migliaia, in Italia sulle dita di una mano.

Dirà qualcuno: ma a rompere le relazioni diplomatiche si rovinano gli affari (opulenti, com'è noto: 30 mila pistole Beretta alle polizie di Al Sisi, tanto per cominciare). Allora si smetta di parlare di orgoglio nazionale, e meno che mai di diritti umani, e la politica renziana dichiari papale papale i suoi principi non negoziabili: in nome del profitto tutto è lecito a chiunque, e chi si mette in mezzo pace all'anima sua, se l'è cercata.



Il Museo Egizio dedica a Giulio Regeni la sala storica di Deir El Medina
Emanuela Minucci su La Stampa


Il Museo Egizio di Torino dedicherà a Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto, la sala storica di Deir El Medina. Ad annunciarlo una nota dello stesso museo che nell'occasione esprime alla famiglia di Giulio Regeni «le più sincere condoglianze, insieme con l'affetto di tutti i suoi curatori, che da anni intessono rapporti di studio, collaborazione e scambio culturale coi colleghi egiziani, vuole ricordare il giovane ricercatore italiano, barbaramente ucciso per difendere i propri ideali e la sua coraggiosa attività di ricerca nel campo del lavoro e delle relazioni sociali». 
 
La sala  
Il Museo Egizio di Torino intitolerà a Regeni la sala storica di Deir El Medina, all'interno della propria sede». La sala, che raccoglie 245 reperti, testimonianza delle professioni artigianali e operaie nell' Egitto dal XVI al XI a.C. racconta gli albori delle ricerche attuali sui rapporti professionali e proto sindacali della civiltà dell'epoca, compreso il papiro relativo al primo sciopero avvenuto nel 29° anno di regno di Ramesse III, da parte delle maestranze non pagate del villaggio omonimo. 
 
Lo studio lo ricorderà  
«La memoria di Giulio - conclude la nota del museo di via Accademia delle Scienze - dovrà essere mantenuta viva attraverso lo studio, la tolleranza, e la convinzione che solo attraverso la reciproca comprensione tra fedi, culture e ideali diversi si possa produrre un mondo migliore».  


  7 febbraio 2016