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Boris Pahor a Monza per Novaluna
Giuseppe Pizzi


Boris Pahor
Boris Pahor

Pahor fa discendere gli italiani di Trieste addirittura dall'antico impero romano, ma anche
gli sloveni ci sono sempre stati - “siamo sempre stati lì” esordisce infatti Boris Pahor. Non solo italiani e sloveni, anche croati, tedeschi, serbi.

Dopo più di mille anni, all'inizio del 1500, Trieste è una piccola città di solo tremila abitanti contesa dall'Impero di Vienna, successore dell'Impero di Roma, e dalla Repubblica di Venezia. Ne diventa vescovo il filoimperiale Pietro Bonomo, un visionario di grandi prospettive, che fissa la linea di sviluppo strategico della città, diventare lo “sfogo al mare del nostro territorio”, dove quel “nostro” non ha nulla a che vedere con la penisola italica, ma indica le regioni che si stendono a Nord e a Est di Trieste, dalla Carinzia alla Polonia, dalla Baviera alla Boemia.

Due secoli dopo, nel 1717, Trieste fa ormai parte dell'impero austro-ungarico che regge e governa gran parte del territorio dal Bonomo definito “nostro”, e Vienna, a conferma della sua lungimiranza, dichiara Trieste “punto franco”, porto di scambi e di commerci, luogo di incontro di popoli e di culture, città di molte chiese per la libera professione di molte religioni e di molte scuole per il libero insegnamento di molte lingue.

Sono la breccia di Porta Pia e l'unità d'Italia a rompere l'equilibrio multietnico e multiculturale di Trieste. Gli italiani post-romani vengono a galla come popolo irredento e, rivendicando l'italianità di Trieste, entrano in conflitto con le altre componenti nazionali, che vedono minacciate non solo le loro identità etniche e linguistiche ma anche la rendita economica derivante dall'appartenenza all'Impero. Che vantaggio poteva venire a Trieste dalla perdita del suo status di porto mediterraneo dell'Austria-Ungheria per diventare l'estrema propaggine orientale del regno d'Italia? Argomento di nessuna rilevanza per gli irredentisti italiani, al posto delle navi crescesse pure l'erba nel porto di Trieste!

Alla guerra mondiale e al dissolvimento dell'impero asburgico seguì l'avvento del fascismo in Italia e iniziò la lunga e tragica stagione della persecuzione degli sloveni, di cui Pahor è stato vittima e testimone, una persecuzione che cominciò con la denigrazione dell'idioma. La voce del letterato patriota vibra ancora di sdegno e di riprovazione nel ricordare il divieto di parlare la lingua dei propri genitori, l'abolizione dell'insegnamento, la cacciata dei maestri, la chiusura delle scuole, la grottesca italianizzazione dei nomi, l'incendio della casa della cultura slovena, del teatro, delle biblioteche. Dal racconto di Pahor la lingua emerge come il più naturale e irrinunciabile attributo identitario, la sua repressione come il delitto più grave, più odioso della violenza fisica. Pubblicamente rimossa, sopravvive nel privato, ogni casa diventa una scuola, ed è struggente il ricordo del piccolo abbecedario clandestino “Primi Passi” che i bambini sloveni ricevono clandestinamente dai loro genitori come regalo di Natale.

La giovane nazione italiana che l'epopea risorgimentale ha affrancato dallo straniero non esita a farsi essa stessa straniero oppressore della nazione slovena, un popolo da schiacciare come le “cimici”. Con l'entrata in guerra l'Italia invade la Slovenia e occupa Lubiana, e a quel punto l'insurrezione nazionale slovena si salda con l'antifascismo. La città viene recintata di filo spinato, dei suoi 350.000 abitati 30.000 finiscono rinchiusi nei campi di concentramento.

L'8 settembre Pahor, che presta servizio militare nell'esercito italiano, rientra a Trieste e si unisce alla Resistenza. Denunciato da connazionali sloveni collaborazionisti viene deportato e comincia la sua odissea nei lager, raccontata nel libro che lo ha reso celebre “Necropoli”. I ricordi di Pahor si susseguono vorticosi, gli episodi, i personaggi, i preti filofascisti per ostilità agli atei-comunisti, la stampa clandestina, gli interrogatori, le scudisciate, il timore di cedere e tradire, la fortuna di conoscere le lingue, le peripezie della deportazione, il lavoro forzato, il freddo, la dissenteria, la paura, la Risiera, le foibe, le vendette, e su tutto il manto dell'oblio e dell'ipocrisia, che riversa tutto l'abominio sul nazismo tedesco per avvolgere nel silenzio i crimini del fascismo italiano.

E' passato tanto tempo, ma la testimonianza e la denuncia di Pahor non si placano. Se, come gli è stato annunciato, il presidente Napolitano vuole conferirgli un'alta onorificenza, la sua disponibilità a riceverla è condizionata al riconoscimento da parte del presidente delle responsabilità degli italiani nei confronti degli sloveni.

Giuseppe Pizzi

26 ottobre 1954 - il ritorno di Trieste all'Italia
26 ottobre 1954 - il ritorno di Trieste all'Italia

Le conferenze del ciclo LINEE DI CONFINE:

Immigrati: seconda generazione – Paolo Branca – giovedì 15 ottobre 2009
L'Afganistan dopo le elezioni – Barbara Schiavulli – giovedì 29 ottobre 2009
– Confini geopolitici della ricerca scientifica – Pietro Greco – giovedì 12 novembre 2009
– Testimonianze dal confine orientale – Boris Pahor – giovedì 26 novembre 2009


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  29 novembre 2009