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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

Tra i tanti problemi che l'Europa si trova oggi di fronte, il riemergere di movimenti di ispirazione fascista e o nazista sarebbe un grave errore ritenerlo un fenomeno marginale. Se era prevedibile che tra gli effetti della grande crisi economica mondiale di questi anni, accompagnata dall'imponente fenomeno delle migrazioni, vi fosse anche la deriva populista, xenofoba e razzista, le politiche fin qui adottate per contrastarla, in gran parte hanno contribuito ad ampliare il consenso verso chi con demagogia e spregiudicatezza sfrutta il disagio sociale per i propri scopi e fini politici.
Sulla democrazia - 2


Nella precedente puntata abbiamo visto come per il politologo Robert A. Dahl la “democratizzazione” di una società sia un percorso e un processo continuo in divenire e non un risultato. Quanto questa affermazione sia vera lo evidenzia la distanza che da sempre si colloca tra la teoria e la prassi, tra quanto sancito dalle costituzioni e la realtà storica dei fatti. L'elogio più celebre alla democrazia è quello di Pericle nel suo discorso agli ateniesi l in onore dei primi morti della guerra del Peloponneso (460-445 a.C.).

Pericle

Un testo con una straordinaria forza persuasiva e pregnante attualità, ma che andrebbe contestualizzato per comprenderlo pienamente al di là dei propri desideri o della potenza oratoria. "Stai attento perché Pericle era un figlio di puttana" - suggeriva Umberto Eco a uno dei comedians più bravi che dal palco in piazza Duomo si accingeva a leggere il suo discorso in occasione della vittoria di Pisapia alla carica di sindaco per la citta di Milano nel 2011. Una volta letto il pezzo scendendo dal palco questi disse a Eco: "Sai, mentre leggevo mi accorgevo che avevi ragione". Eco è impietoso: " ... il suo discorso agli ateniesi è un classico esempio di malafede. All'inizio della prima guerra del Peleponneso, Pericle fa il discorso in lode dei primi caduti. Usare i caduti a fini di propaganda politica è sempre cosa sospetta, e infatti sembra evidente che a Pericle i caduti importavano solo come pretesto: quello che egli voleva elogiare era la sua forma di democrazia che altro non era che populismo ...". Aggiungendo, motivandolo, che si trattava di un populismo alla Mediaset tanto per non avere dubbi. Non a caso, ci ricorda Eco, in quel periodo ad Atene c'erano 150.000 abitanti e 100.000 schiavi: "E non è che fossero solo barbari catturati nel corso di varie guerre, ma anche cittadini ateniesi". E poi altro ancora, dato che il discorso in malafede di Pericle sulla democrazia è molto più ampio di quello normalmente citato, Eco suggerisce: "Ecco perché bisogna sempre diffidare del discorso di Pericle e, se lo si dà da leggere nelle scuole, occorrerà commentarlo, ricordando che molti padri di tante patrie sono stati figli di un'etèra". (dal saggio "Figlio di una etèra" tratto dall'Almanacco del Bibliofilo - La Repubblica del 14/1/12).

Ma non solo nell'antica Grecia si possono riscontrare le contraddizioni e le complessità della democrazia. Come ci ricorda ancora una volta Robert A. Dahl: “Quando parliamo di democrazia non c'è cosa che crei maggiore confusione del semplice fatto che la parola “democrazia” si riferisca sia all'ideale che alla realtà.” e spesso non riusciamo a distinguere chiaramente tra l'uno e l'altra.
Cittadini americani, tutto quello che vi hanno sempre detto sulla purezza della nostra democrazia, sulle nostre libertà superiori a quelle di qualsiasi altro, sulla eticità del nostro capitalismo e della nostra Costituzione … è semplicemente falso, disonesto ed ipocrita. Le cose non andarono così: noi non siamo figli di una lotta di indipendenza, ma di una “schiavocrazia”, che ancora desso plasma la nostra vita sociale”. Come riporta il giornalista Enrico Deaglio su La Repubblica del 24/08/2019 nell'articolo “L'America? Chiamatela schiavocrazia”, queste parole non sono tratte da un volantino di forze antagoniste al sistema ma dalle colonne del quotidiano The New York Times nell'ambito dell'inchiesta “The 1619 Project” che intende riscrivere la storia americana partendo dal presupposto che il vero evento fondativo della nazione fu la prima vendita di schiavi africani a coloni americani, avvenuta appunto nel 1619. Eppure la Costituzione americana, al pari del discorso di Pericle agli ateniesi, è presa quale esempio della massima espressione di libertà e democrazia per il mondo intero. Peccato che né essa né la precedente dichiarazione di indipendenza facciano minimamente accenno agli schiavi americani che già allora costituivano un quinto della popolazione.

L'India dopo aver conquistato l'indipendenza nel 1947 ha adottato una costituzione democratica nel 1950. Come si concilia ciò con la suddivisione della sua società in quattro caste ereditarie, dalle quali sono esclusi gli “intoccabili”, i paria o dalit, che rappresentavano nel 2011 il 16% della popolazione?

E cosa dire del fallimento dell'utopia egualitaria, concretizzatosi con la politica dei regimi comunisti i quali hanno “… rovesciato nella prassi il principio libertario enunciato da Marx nella Critica al programma di Ghota: “Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.” come sostiene Franco Sbarberi – ha insegnato Storia delle Dottrine politiche all'Università di Sassari e di Torino - in un intervento sulla rivista Reset (“Marx sotto la lente liberale”, novembre-dicembre 2007). E anche se “ … l'ideale della democrazia diretta come l'unica vera democrazia non è mai venuto meno, ed è stato mantenuto in vita da gruppi politici radicali …” come sostiene Norberto Bobbio “Il consolidamento della democrazia rappresentativa non ha peraltro precluso il ritorno, se pure in forme secondarie, alla democrazia diretta.” D'altronde il filosofo torinese è cosciente che il problema rimane aperto e lo riassume in un celebre articolo del 1989 sul quotidiano La Stampa: “La democrazia ha vinto la sfida del comunismo storico, ammettiamolo. Ma con quali mezzi e con quali ideali si dispone ad affrontare gli stessi problemi da cui era nata la sfida comunista? «Ora che di barbari non ce ne sono più — dice il poeta — che cosa sarà di noi senza barbari?».

Perché se è vero che la democrazia affonda le sue radici nel concetto di eguaglianza è altrettanto vero che non vi è democrazia senza libertà. La democrazia è: “ ...effettivamente inconcepibile se non può contare sulle libertà civili e politiche, le quali sono meglio garantite da un patto costituzionale che le proclami e dalla divisione dei poteri e uno stato di diritto che le difenda.” – questo è quanto sostiene Nadia Urbinati, accademica, politologa e giornalista, nella sua prefazione al libro di Alessandro Mulieri “Democrazia totalitaria. Una storia controversa del governo popolare.” (Donzelli Editore, ottobre 2019) – “Naturalmente, nessuna di queste libertà è illimitata, ma è essenziale che l'interpretazione della loro estensione non sia lasciata alla maggioranza di turno, nemmeno quando e se le sue politiche sembrano andare incontro agli interessi della popolazione.” Questa è la condizione affinché il processo della democrazia rappresentativa si mantenga aperto, indeterminato e pluralista, affinché la maggioranza sia una regola e come tale presuma sempre l'opposizione. In questo senso pensare e parlare in termini di distinzione tra “democratico” e “liberal-democratico” è fuorviante, come lo è pensare e parlare in termini di opposizione tra “democrazia liberale” e “democrazia illiberale” o “democrazia totalitaria”. Questi termini, per quanto popolari, sono fuorvianti, perché presuppongono qualcosa che non esiste: una democrazia senza il diritto proclamato e protetto di espressione e la libertà di associazione e una democrazia con una maggioranza così schiacciante da bloccare, anche se solo tramite un'audience debordante, le proprie potenziali evoluzioni e trasformazioni (cioè nuove maggioranze).” La democrazia “... è nata come forma di libertà pubblica fondata sull'uguaglianza politica e legale, prima che emergesse il liberalismo, e tuttavia per molti significa non altro che un metodo di selezione che sancisce il potere della maggioranza e che va in cerca di libertà altrove, fuori di sé.”


Difatti per l'autore, Alessandro Mulieri – insegna Filosofia politica all'Università di Lovanio in Belgio e all'American University of Rome : “... c'è un rapporto complesso e niente affatto immediato tra i concetti di democrazia e liberalismo, ed è un lento seppure necessario, progressivo e faticoso incontro tra queste due tradizioni quello che dà origine alle moderne democrazie rappresentative ... Se è dunque pur vero che la “democrazia totalitaria” è espressione ossimorica, occorre altresì riconoscere che la definizione di termini come “democrazia” e “libertà” è prima di tutto il frutto di una battaglia politica sul significato di queste parole.” Nel suo breve quanto intenso e complesso saggio sulla “democrazia totalitaria” che riporta e analizza le tesi dell'inventore di tale concetto, Jacob Talmon (1916-1980), storico di origine polacca – del quale Nadia Urbinati non manca di sottolineare la visione controversa “...che ha attratto e conquistato diverse generazioni di studiosi assumendo che la democrazia totalitaria o illiberale fosse figlia del secolo del Lumi...”l'autore traccia le affinità e discordanze di pensiero di figure fondamentali del pensiero filosofico e politico del XX secolo: Karl Popper, Friedrich von Hayek,
Isaiah Berlin, Hanna Arendt, Norberto Bobbio.

Jacob Leib Talmon
Karl Popper
Friedrich von Hayek
Isaiah Berlin
Hanna Arendt
Norberto Bobbio

Non mancano quindi interessanti spunti di riflessione tra i quali, ad esempio, il “paradosso della democrazia”: “... è cioè la possibilità che, in un regime democratico, la maggioranza decida di affidare il governo a un tiranno. Popper ritiene che tale paradosso non sia una “possibilità remota” ma qualcosa che è avvenuto di frequente nella storia e che “ha posto in una disperata posizione intellettuale tutti quei democratici che adottano, come base ultima del loro credo politico, il principio del governo della maggioranza o una forma simile del principio di sovranità.” Se per Talmon il socialismo sarebbe il figlio prediletto della democrazia totalitaria: “Bobbio, pur tenendo ferma la sua fede nella democrazia liberale e criticando la nozione di democrazia totalitaria come modello interpretativo del pensiero di Rousseau, concede che “l'esistenza attuale di regimi che vengono chiamati liberal-democratici o di democrazia liberale induce a credere che il liberalismo e democrazia siano interdipendenti”, ma aggiunge anche che il problema dei loro rapporti è “molto complesso, e tutt'altro che lineare... Bobbio ritiene “indubitabile che storicamente “democrazia” abbia due significati prevalenti, almeno all'origine, secondo che si metta in maggiore evidenza l'insieme delle regole la cui osservanza è necessaria affinché il potere politico sia effettivamente distribuito tra la maggior parte dei cittadini oppure l'ideale cui un governo dovrebbe ispirarsi, che è quello dell'eguaglianza.” Inoltre per il filosofo torinese “... i rapporti tra democrazia e socialismo sono particolarmente stretti perché fanno perno sul concetto comune di eguaglianza.” Per Hannah Arendt è interessante evidenziare che “... accanto a una democrazia totalitaria e una democrazia liberale, convive una terza alternativa, la democrazia consiliare, che è il vero modello positivo dell'ideale e della pratica del governo popolare.” Difatti : “La Rivoluzione ungherese del 1956 è l'avvenimento storico che induce Arendt a concentrarsi sulla novità e sul senso politico del sistema dei consigli come opposto a quello dei partiti. In una conferenza del 1972, la studiosa dichiara di provare per il “sistema consigliare” una sorta di “trasporto romantico”. Per Isaiah Berlin, per il quale tra l'altro “... sarebbe problematica l'affermazione popperiana che la democrazia ateniese del tempo di Pericle potrebbe essere annoverata tra le società aperte.”, il concetto di libertà ha due principali significati: quello di libertà negativa che è essenzialmente una “libertà da”, la quale “ ... presa nella sua essenza, non ha rapporti necessari con i regimi democratici ...” anzi “ ... essa non è affatto incompatibile con alcune forme di autocrazia oppure con l'assenza di autogoverno, perché è perfettamente concepibile che “un despota orientato in senso liberale elargisca ai suoi sudditi una larga misura di libertà personale.” L'altro significato è quello di libertà positiva che deriva dal desiderio dell'individuo di essere padrone di se stesso.

In conclusione al suo libro, Alessandro Mulieri si domanda che senso abbia oggi continuare a leggere e a parlare di democrazia totalitaria? Questa la sua risposta: “Dopo una breve fase di auto-convincimento che, con il collasso del regime sovietico, la “fine della storia” avesse portato alla vittoria definitiva della democrazia su scala planetaria, ci troviamo oggi di nuovo in uno di quei momenti storici in cui il termine “democrazia” sembra aver bisogno di qualificazioni. Ancora una volta, la contesa è sul significato stesso della parola e sulle sue implicazioni per il termine “libertà”. In una situazione simile alla querelle sui “diritti umani”, oggi persino i detrattori del governo democratico rappresentativo amano utilizzare il termine “democrazia” per difendere le proprie posizioni. Assistiamo, dunque, alla proliferazione dell'idea che esista una “democrazia illiberale” la cui mitologia, per molti versi, ricorda il fervore ideologico che, durante la guerra fredda, accompagnò il dibattito sulle “democrazie popolari”. Il termine “democrazia illiberale” viene utilizzato da alcuni che, ancora oggi, si presentano come detentori di un significato autentico, primigenio, della volontà del popolo, quasi “sacerdoti” di un credo democratico che sarebbe stato ingiustamente stravolto nelle democrazie rappresentative “corrotte” del mondo occidentale.” Le analogie che legano la democrazia illiberale a quella totalitaria sono il glorificare la “volontà” del popolo isolandola dalle procedure, per poi contrapporla allo Stato di diritto e nascondere, dietro alle forme di governo diretto o plebiscitario, una struttura di potere fortemente gerarchica e di fatto anti-partecipativa. Le differenze in sintesi sono da una parte di metodo: “… oggi come nel periodo tra le due guerre mondiali, dichiararsi orgogliosamente illiberali da quella che fino a poco tempo fa sarebbe stata un'inequivocabile posizione di destra non è più un tabù, ma è diventato un valore aggiunto che, in certe condizioni, comporta cospicui vantaggi elettorali.” Ciò avviene in quanto “… la democrazia illiberale è un prodotto ideologico, che, pur creato a scopo denigratorio dai suoi critici, è stato abbracciato da personalità della politica che se ne fanno oggi orgogliosi portavoce.” a differenza della democrazia totalitaria, termine “… rifiutato da coloro che si presume siano i suoi difensori (meglio pensarsi “democratici popolari” piuttosto che “democratici totalitari”)”. Dall'altra parte vi è una importante differenza fra la democrazia illiberale e quella totalitaria nel rapporto con il paradigma razionalistico e con la polemica religiosa dell'Illuminismo, nel loro relazionarsi con la dimensione “sacrale” della politica. Se i teorici della democrazia totalitaria tracciano una continuità tra il dispotismo del governo popolare, l'Illuminismo, e buona parte del pensiero rivoluzionario contemporaneo ad esso riconducibile, al contrario “… la democrazia illiberale fa di una rivendicazione pubblica di rottura con il paradigma dell'Illuminismo il punto di forza della propria idea del governo popolare. I difensori di questa forma di democrazia si riappropriano in maniera esplicita di alcuni temi identitari che accompagnano la mitologia religiosa pre-moderna trasformandoli in vessilli ideologici …” riproponendo i miti del sangue, della terra e del popolo. Per Alessandro Mulieri la battaglia tutta politica sul significato di democrazia è ricominciata di nuovo e ne siamo tutti parti integrante e il suo contributo vuole sottolineare la fragilità della democrazia e il suo rapporto complicato con la libertà: “Forse è giusto riconoscere, come fanno alcuni, che sul piano normativo e ideale, la democrazia è e dovrebbe essere soltanto una, un regime politico che permette il dissenso e accomoda la differenza e il pluralismo. Rimane il sospetto che questo riconoscimento somigli al culto di un ideale, quello dello spirito critico, che non è, poi così diverso da un atto di fede necessario per cui occorre combattere. Il sospetto non scalfisce in alcun modo la dignità della lotta.”

Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2
16 - Sul neofascismo - 3
17 - Sul neofascismo - 4
18 - Sull'antifascismo - 1
19 - Sull'antifascismo - 2
20 - Sull'antifascismo - 3
21 - Sull'antifascismo - 4
22 - Sull'antifascismo - 5
23 - Sull'antifascismo - 6
24 - Sull'antifascismo - 7
25 - Sull'antifascismo - 8
26 - Sull'antifascismo - 9
27 - Sull'antifascismo - 10
28 - Sull'antifascismo - 11
29 - Sul neofascismo - 12
30 - Sulla democrazia - 1
31 - Sulla democrazia - 2



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  13 novembre 2019