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La globalizzazione che funziona 3
di Giuseppe Poliani

Brevetti, profitti, persone

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Tra gli accordi dell'Uruguay Round stipulati il 15 dicembre 1994 vi era quello sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (TRIPS: Trade Related Intellectual Property).
Con la firma di questo accordo i vari ministri del commercio non si sono resi conto di firmare anche la condanna a morte di migliaia di cittadini dei paesi più poveri del mondo.
Nel caso dei farmaci la situazione è infatti insostenibile.
I brevetti creano di fatto dei monopoli per poter aumentare i prezzi spesso con la scusa di sostenere la ricerca (ad esempio dei farmaci) ma con tali prezzi si escludono migliaia di persone dalla possibilità di curarsi.
C'è anche un approccio non corretto nel pretendere le royalties sui diritti intellettuali: quasi sempre parte di ciò che viene brevettato e quindi privatizzato è costituito e basato su conoscenze scientifiche preesistenti e condivise. C'è quindi una radice di bene comune che viene privatizzata e sfruttata dal possessore del brevetto con danno ai più deboli.
Negli ultimi anni si è assistito a cambiamenti in materia di proprietà intellettuale anche per le pressioni esercitate dalle multinazionali sulla classe politica per difendere i propri interessi. La monopolizzazione per queste aziende è un vantaggio puro e negli USA è stato ormai sorpassato ogni limite di decenza in questo campo.
Occorre secondo Stiglitz plasmare la proprietà intellettuale secondo le esigenze dei paesi in via di sviluppo, rinunciando alla tassa, permettendo l'accesso ai farmaci salvavita a prezzo di costo e attivando le licenze obbligatorie (sospensione dei diritti di proprietà intellettuale) in casi di emergenze sanitarie (es.: epidemia).
A questa problematica della proprietà intellettuale sono anche legate le questioni dei farmaci generici che hanno gli stessi effetti di quelli brevettati (es.: il farmaco Kaletra anti-AIDS potrebbe essere prodotto da una casa farmaceutica in Brasile con un risparmio da parte dello stato di 55 MMUS$), e quelle sulla biopirateria, cioè di brevetti ottenuti sulla base di tecniche curative antiche e naturali basate su principi di origine vegetale presenti da sempre nei paesi in via di sviluppo e saccheggiati dalle multinazionali (es.: curcuma in Asia Meridionale; il millenario riso basmati in India brevettato dalla RiceTec).

Sfatare la maledizione delle risorse

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Esiste il paradosso dell'abbondanza: molti paesi, pur essendo ricchissimi di risorse naturali rispetto ad altri, registrano una crescita inferiore e un tasso di povertà più elevato. Per esempio in Nigeria malgrado l'abbondanza di petrolio il reddito pro-capite è diminuito di oltre il 15% dal 1975 al 2000. Il Venezuela, ricco di petrolio più di tutti gli altri stati sudamericani, ha 2/3 della popolazione che vive in povertà.
Questi paesi, la cui economia dipende moltissimo dalla vendita del petrolio, non hanno bisogno di ulteriori aiuti economici, ma di un aiuto a valorizzare le risorse ed a spendere bene il denaro ricavato.
Da parte dei paesi occidentali ci dovrebbe essere più attenzione per evitare la corruzione ed allentare i legami troppo stretti fra multinazionali del petrolio e politica.
Inoltre queste grandi imprese arrivano all'estero accompagnati spesso dalla corruzione che serve a combattere la forte concorrenza esistente in questo settore.
L'idea è che queste multinazionali dovrebbero agire in modo da avere un normale ritorno di capitale investito mentre il resto dovrebbe rimanere al paese proprietario del petrolio. Altrimenti si verifica un trasferimento di ricchezza dai cittadini del paese sfruttato al privato sfruttatore.
Se un paese in via di sviluppo riesce ad ottenere un giusto prezzo di vendita delle sue risorse naturali è già messo sulla buona strada per crescere. Ma non basta: occorre che impari ad usare bene questo denaro ricavato dai proventi petroliferi.
I soldi facili inducono a spese facili e occorre stare attenti a fare investimenti utili per i cittadini e per lo sviluppo (es.: meno spese per armamenti o immobili di lusso e più spese per il sociale e lo sviluppo industriale) ed al rischio di insolvibilità per prestiti concessi dal FMI.
Il petrolio nel sottosuolo è come un capitale: una volta estratto non c'è più e se non vengono reinvestiti i proventi da esso generati il paese produttore impoverisce.
Ma anche l'occidente ha una grave responsabilità in tutto questo. Occorrono leggi contro la corruzione, il segreto bancario, l'estrazione indiscriminata delle risorse naturali, la venduta di armi; occorrono anche leggi a favore della certificazione dei prodotti, e per un'assistenza finanziaria mirata.
Purtroppo il benessere dei paesi in via di sviluppo ricchi di risorse naturali dipende dal ricavo da queste ultime, mentre la redditività delle multinazionali del petrolio va in direzione opposta ed è legata al fatto di pagarle il meno possibile.

Salviamo il pianeta

fterra

I mercati lasciati agire liberamente inquinano troppo aria ed acqua, i due beni comuni per eccellenza. (ndr.: vent'anni fa nessuno credeva al riscaldamento globale, oggi abbiamo appena dato un premio nobel per combatterlo).
Gli Usa immettono nell'atmosfera ogni anno 6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (25% del totale dei gas serra mondiali) ma nonostante siano i massimi inquinatori essi non ritengono di dover procedere ad accordi internazionali per ridurre il livello delle emissioni (Protocollo di Kyoto).
Ma gli scienziati sono tutti concordi nel riconoscere questo riscaldamento del pianeta e fra qualche decina di anni paesi come le Maldive o il Bangladesh potrebbero subire devastazioni ben superiori a quelle di una guerra, a causa delle variazioni del livello marino.
Tutto a causa di emissioni fatte da altri paesi.
Nel 1997 1500 persone di 150 paesi si sono riunite a Kyoto per elaborare un trattato che portasse alla riduzione delle emissioni di gas con effetto serra.
Nel 2005 141 paesi che generano il 55% delle emissioni totali avevano aderito al trattato. Ora il protocollo è operativo e bisogna obbligare i paesi che non hanno aderito a partecipare allo sforzo collettivo di riduzione delle emissioni, con sanzioni, dazi, o altro.
Come per i trattati di non-proliferazione nucleare creati per evitare guerre, così il protocollo di Kyoto deve servire anche a costo di scontentare qualche paese irresponsabile, a prevenire in futuro disastri ben peggiori delle stesse guerre.
Anche la deforestazione ha le sue conseguenze al pari dei paesi più inquinanti: il 20% circa dell'aumento delle concentrazioni dei gas serra è dovuto alla deforestazione ma i 2,7 miliardi di persone che vivono e proteggono i territori ove si trovano le foreste mondiali non vengono considerate e non ricevono alcun compenso.

Le multinazionali

piantagione di banane

Molte malefatte aziendali sono rimaste famose: NESTLE' che convince le madri a nutrire i bambini con latte in polvere; il tentativo della BECHTEL di privatizzare l'acqua in Bolivia; le case produttrici di sigarette che dichiaravano che nessuna ricerca scientifica provava che il fumo fosse dannoso alla salute; La MONSANTO che aveva prodotto semi non riutilizzabili e costringevano i contadini a ricomprarli ogni anno; il caso della superpetroliera EXXON Valdez (1989); la tragedia di Bhopal causata dalla UNION CARBIDE (1984; 20000 morti e 100000 con danni permanenti); l'impatto sociale disastroso di WAL-MART nei paesi in via di sviluppo; inquinamento per 6 miliardi di dollari dei fiumi della Papua Guinea da parte della società mineraria australiana OK TEDI.
Queste aziende non solo sono ricche ma sono anche potenti dal punto di vista politico, i loro interessi spesso non corrispondono a quelli della collettività e l'ambiente come abbiamo visto è un'area dove tipicamente si manifesta questa divergenza; inoltre i costi sociali per esse non esistono.
Quando sono processate per inadempienze o reati, le dirigenze delle corporation se la cavano sempre grazie alla legge sulla responsabilità limitata (es.: Union Carbide; OK Tedi) o ai facili trasferimenti di capitali, proprietà ed azioni da un privato all'altro o da un paese all'altro.
Mentre ad esempio, negli accordi NAFTA c'è una clausola che impone al Messico il risarcimento agli investitori americani in caso di perdite di valore delle loro attività provocate da qualche legge messicana ! Incredibile !
La globalizzazione insomma passa prima di tutto attraverso le multinazionali che possono agire su grande scala; ma per far funzionare bene la globalizzazione occorre che i loro interessi siano davvero gli stessi interessi della collettività.
Per fare questo occorre introdurre il concetto di responsabilità sociale delle imprese, limitare i loro poteri, migliorare la “corporate governance” per garantire gli interessi comuni, sostenere le “class action”, sradicare la corruzione, limitare il segreto bancario, che tra l'altro può anche favorire il terrorismo.

Grazie per la pazienza e l'attenzione.
Come vedete non è tutto oro ciò che luccica.
Nella prossima ed ultima puntata cercherò di esporre cosa Stiglitz pensi sul debito estero, il sistema delle riserve valutarie mondiale, e le cose necessarie da fare per avviare una globalizzazione democratica, con una breve conclusione.
Poi a voi la lettura completa del libro se vi interessa approfondire.


Giuseppe Poliani

Joseph Stiglitz, vincitore nel 2001 del premio Nobel per l'Economia, è nato nel 1943 nell'Indiana.  Professore di Economia e Finanza presso la Columbia University, è stato consigliere di Bill Clinton durante il primo mandato e, dal 1997 al 2000, senior vice president e chief economist della Banca Mondiale. Tra le sue opere pubblicate in Italia: Economia del settore pubblico (Hoepli, 1989); Il ruolo economico dello stato (Il Mulino, 1992); Principi di microeconomia (Bollati Boringhieri, 1999); In un mondo imperfetto (Donzelli 2001).
Einaudi ha pubblicato, in contemporanea con le edizioni americane, i suoi libri più recenti: La globalizzazione ed i suoi oppositori (2002) e I ruggenti anni Novanta (2004).

Le puntate precedenti
La globalizzazione che funziona - Un mondo migliore è possibile
La globalizzazione che funziona 2 - Un mondo diverso è possibile


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  4 novembre 2007