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Papa Francesco
a un anno dalla sua elezione (2)
Umberto De Pace

due papi

Oggi quale epoca, quale cultura la Chiesa sta attraversando? Di che cosa la Chiesa ha più bisogno in questo momento storico?

Benedetto XVI con le sue dimissioni, infrangendo una consuetudine secolare, ha voluto marcare l'urgenza di una guida nuova e vigorosa, al passo con i tempi soggetti a rapidi quanto tumultuosi cambiamenti. Un mondo agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, a fronte delle quali Papa Francesco pone non solo il suo vigore quanto, soprattutto, la sua chiarezza di vedute: “ la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia”. La cura di queste ferite non passa attraverso i puri precetti, non discende dalla ossessionata “ trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”, quanto dal farsi carico delle persone.
“Sogno una Chiesa Madre e Pastora. I ministri della Chiesa devono essere misericordiosi, farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon Samaritano che lava, pulisce, solleva il prossimo”. Il nuovo Papa sottolinea come nella Chiesa non occorrano funzionari o chierici di Stato quanto pastori “persone capaci di riscaldare il cuore delle persone, di camminare nella notte con loro, di saper dialogare e anche discendere nella loro notte, nel loro buio senza perdersi.”. Nella sua esortazione apostolica “Evangelii Gaudium” invita quindi a “uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”- sottolineando quelli che il Vangelo indica quali interlocutori privilegiati: “non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati “coloro che non hanno da ricambiarti” (Lc 14,14)”. Perché “per la Chiesa l'opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica”. Privilegio e opzione che Papa Francesco ricorda come il suo predecessore, Benedetto XVI, rimarcò più volte nel suo viaggio in America Latina nel maggio 2007.

Da arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio, mandava nelle “villas miserias”, le baraccopoli della capitale argentina, i sacerdoti a svolgere la propria missione, affiancandoli con la sua presenza continua e diretta. “Veniva spesso qui da noi e si sentiva sempre a suo agio e tranquillo in mezzo ai poveri” – ricorda padre José Maria di Paola, impegnato da molti anni nelle “villas miserias” e non poche volte preoccupato per la sicurezza del suo arcivescovo che spesso si muoveva solo e senza preannunciare la sua venuta. “Se entro in una villas devo farlo come una persona qualsiasi e devo andare incontro alla stessa sorte di ogni altro abitante”- questo diceva. Bergoglio cerca così di percorrere il cammino intrapreso da Gesù con i suoi discepoli e vuole che i giovani non restino chiusi nella parrocchia o nella istituzione diocesana ma li invita ad uscire, partendo dalle periferie, da coloro che sono più lontani, sono loro gli “invitati vip. Andare a cercarli nei crocevia delle strade” (Rio de Janeiro 27 luglio 2013). Nel concetto di “periferie esistenziali” Papa Francesco riassume la sua filosofia pastorale, lontana da spinte centraliste e da approcci ideologici quanto tesa verso la comprensione del mondo attuale, convinto che la si percepisca “meglio dalla periferia piuttosto che dal centro”. Questa a suo avviso è l'urgenza maggiore oggi. E questa “urgenza maggiore” quale Papa poteva affrontarla al meglio se non un gesuita?

Gesuiti
La Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola (1491-1556) nacque raccogliendo nelle sue fila una milizia dell'intelligenza, teorica e operativa, altamente selezionata e preparata ai suoi compiti; ma soprattutto posta al più completo servizio dell'autorità papale. Insuper, promitto specialem abedientiam summo pontifici circa missiones … Così recita il cosiddetto “quarto voto” di obbedienza assoluta che i gesuiti professano nei confronti del papa detentore della visione che necessita alla Ecclesia universa. Nella visione di Ignazio da Loyola – che da giovane era stato un valoroso uomo d'armi per convertirsi solo in seguito alla fede – la vita religiosa si doveva caratterizzare soprattutto nelle opere rivolte, pragmaticamente, a incidere sulla realtà esterna del mondo, nell'intento di adeguarlo al modello del cattolicesimo post-riformistico. Siamo negli anni della Controriforma, in cui la Chiesa di Roma, per far fronte alla sfida lanciata dalla Riforma protestante, tentava con il Concilio di Trento (1545-1563) un processo di razionalizzazione dell'intera sua struttura e di efficienza funzionale, lasciando ai margini – o alle esperienze di carattere mistico religioso – il ripristino del kerygma cristiano delle origini. L'azione dei Gesuiti, in tal senso, si orientava verso un'opera di persuasione, consiglio e formazione dei potenti del presente e delle classi elevate, agendo inoltre di conversa con le iniziative colonizzatrici degli stati europei in espansione nel Nuovo Mondo, in Africa e in Asia.

Come si sposa tutto ciò oggi con il magistero di Papa Francesco?
Una persona dal pensiero incompleto, dal pensiero aperto. Il gesuita pensa sempre, in continuazione, guardando l'orizzonte verso il quale deve andare, avendo Cristo al centro” – questo è ciò che intende il Papa per gesuita, insomma un work(man) in progress. Pur riconoscendo che ci sono state epoche in cui nella Compagnia si è vissuto un pensiero chiuso, rigido, prevalentemente istruttivo-ascetico, nel quale le regole hanno rischiato di sopraffare lo spirito, Papa Francesco è vicino alla corrente mistica e in particolare all'insegnamento del beato Pietro Favre (1506-1546) il primo compagno di Sant'Ignazio. Una Compagnia in ricerca, creativa e generosa in “vicinanza profonda a tutta la Chiesa, intesa come “popolo di Dio” e “santa madre Chiesa gerarchica””.
Il giovane Bergoglio – un “indisciplinato nato” a suo dire – sceglie di entrare nella Compagnia di Gesù colpito essenzialmente da tre cose: la missionarietà, la comunità e la disciplina. Della spiritualità ignaziana, papa Francesco, predilige il discernimento quale “strumento di lotta per conoscere meglio il Signore e seguirlo più da vicino”. E' attraverso tale strumento spirituale, il discernimento, che il nuovo Papa affronta le scelte di vita, anche quelle quotidiane, rispondendo così “a una scelta che nasce dalle cose, dalla gente, dalla lettura dei segni dei tempi”.
(segue)

Umberto De Pace


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  16 marzo 2014