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Il referendum si deve fare
Giuseppe Poliani


Intervengo nella discussione aperta dall'articolo di Franco Isman sul prossimo referendum relativo alle perforazioni in mare per ricerche petrolifere entro le 12 miglia dalla costa.

Prima di entrare nel merito colgo per l'ennesima volta, con ennesima amarezza, che il governo Renzi non perde mai l'occasione per ostacolare con tutti i mezzi la democrazia sostanziale del paese, ed anche ora in occasione del referendum nega l'accorpamento con le amministrative e formula la domanda referendaria nel modo più sibillino possibile per far fallire di proposito il referendum stesso.
Un presidente del consiglio di “tutti”, come ama spesso definirsi Renzi, non dovrebbe agire così ma piuttosto da statista vero e responsabile, ispirandosi ai diversi nostri grandi politici del passato che hanno fondato la repubblica sulla Costituzione.
Ma a lui la costituzione non interessa affatto.

Credo che la cosa migliore per far andare bene un referendum rispettando la democrazia del paese e gli elettori, sia quella di informare bene i cittadini sulla questione, cittadini invece volutamente disinformati dai TG di regime, narcotizzati dal Sanremo televisivo e ancora in difficoltà per capire cosa diavolo voglia dire “stepchild adoption” o “bail in”, o preoccupati dai loro seri problemi quotidiani famigliari e di lavoro che il governo se ne guarda bene dall'aiutare a risolvere.

Ma tornando al tema, come Isman dice, il governo avrebbe potuto risolvere la questione da sé, e “non si capisce bene perché il governo non abbia recepito direttamente la richiesta che è semplicemente di sanare un contrasto con il DL 83/2012 alla scadenza delle concessioni” senza indire un referendum, con spreco di soldi pubblici.
Complicare per non risolvere.

l'Italia non è la Norvegia, la UK, o l'Olanda (in ordine decrescente i tre paesi più ricchi di idrocarburi in Europa): cercare petrolio in Italia è certamente legittimo secondo le leggi vigenti ma non saggio e strategico, e comunque anche se si verificasse qualche importante scoperta ciò non cambierà il destino energetico del paese che dipenderà sempre più dalle importazioni (F. Bertello, R. Fantoni, R. Franciosi, V. Gatti, M. Ghielmi and A. Pugliese: From thrust-and-fold belt to foreland: hydrocarbon occurrences in Italy. Petroleum Geology Conference series 2010, v.7; p113-126 doi: 10.1144/0070113) almeno fino a che non si darà pieno e convinto avvio alle forme di energia rinnovabili (cosa che il governo non ha proprio intenzione di fare).

La produzione annuale di olio e gas in Italia rappresenta meno del 10% del fabbisogno energetico annuale da combustibili fossili (ENI: Oil & Gas Review, 2014).

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Fig. 1 e 2: Da:F. Bertello, R. Fantoni, R. Franciosi, V. Gatti, M. Ghielmi and A. Pugliese: From thrust-and-fold belt to foreland: hydrocarbon occurrences in Italy. Petroleum Geology Conference series 2010, v.7; p113-126 doi: 10.1144/0070113)

Dopo più di 90 anni di esplorazione (Figg. 1; 2; 3), in Italia sono stati prodotti solo 1040 milioni di barili di olio e 700 miliardi di mc di gas; le riserve stimate potenziali (in giacimento) di olio (800 milioni di barili, Bertello et. al., 2014) e gas (170 miliardi di mc, Bertello et. al., 2014), ancora da scoprire in Italia, rappresentano una quantità poco significativa e dello stesso ordine di grandezza rispetto ai fabbisogni energetici annuali del paese (consumi 2013: 69 miliardi di mc di gas e 590 milioni di barili di olio).
Vale a dire che tutte le riserve italiane di gas e olio da scoprire - se fossero davvero scoperte e prodotte - basterebbero a soddisfare grosso modo il fabbisogno energetico di poco più di un anno.

Se quindi una compagnia petrolifera trovasse dell'olio o del gas in Italia, al governo italiano verrebbero certamente qualche migliaia di barili al giorno di idrocarburi, un po' di royalties e qualche posto di lavoro (pochi, dato che il rapporto capitale investito/numero di posti di lavoro in tali casi non dovrebbe essere molto vantaggioso come si può vedere in Val d'Agri) a fronte di una regione o area rovinata turisticamente ed a rischio di grave inquinamento marino mentre il problema energetico italiano rimarrebbe irrisolto.


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Fig. 3 - Da:F. Bertello, R. Fantoni, R. Franciosi, V. Gatti, M. Ghielmi and A. Pugliese: From thrust-and-fold belt to foreland: hydrocarbon occurrences in Italy. Petroleum Geology Conference series 2010, v.7; p113-126 doi: 10.1144/0070113

Con tutta franchezza se fossi un ricco petroliere non verrei in Italia a cercare olio o gas, paese ormai ad alta maturità esplorativa e scarso o nullo potenziale ma, con un po' di buon senso, me ne andrei in Iran ad esempio, dove la maturità esplorativa/tecnologica e senz'altro più bassa e dove in certe situazioni il rischio esplorativo è ancora accettabile.
In Italia ci verrei a godermi il sole, il mare pulito (?), la cucina, l'arte, l'archeologia italiana.
Puntare sulle ricerche petrolifere a mare nella zona interna alle 12 miglia non solo non rilancerà l'economia italiana ma non risolverà alcun problema energetico del paese e penalizzerà l'industria turistica nazionale, unicum in Europa.

Invito quindi fortemente tutti i lettori de L'Arengario a non arrendersi prima del tempo e a non darla vinta a Renzi, ma ad andare a votare il prossimo 17 aprile, pur tenendo presente il grande disprezzo dei nostri governanti per chi difende l'ambiente, la democrazia ed in generale per chi la pensa diversamente da loro: l'ultimo esempio di oggi è l'intenzione di privatizzare l'acqua, che dopo il referendum del 2011 dovrebbe invece rimanere pubblica quale diritto universale della persona, come dichiarano anche l'ONU e l'UE.
L'arroganza è al potere (da tempo).

Giuseppe Poliani

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  14.03.2016