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Indro Montanelli, le statue, noi e l'altro
parte seconda
Umberto De Pace



In aggiunta a quanto descritto nella prima parte di questo articolo non va dimenticato il ruolo avuto da Indro Montanelli nella narrazione della Resistenza. Per lo storico Marco Bernardi il giornalista fu fra i sostenitori del quella “narrazione bugiarda” costruita negli anni intorno all'attentato di via Rasella.

In una intervista all'Espresso del 10/05/1996: “… l'anziano giornalista sostanzialmente assolse l'ex capitano delle SS (“un uomo che non ebbe il coraggio di diventare eroe”) e rilanciò la tesi falsa che accusava i partigiani di non essersi presentati all'appello tedesco per evitare la strage …”. D'altronde, come scrivono Sandro Gerbi e Raffaele Liucci (“Indro Montanelli: una biografia”, Hoepli, 2014): “A questo orgoglioso anti-antifascismo Indro non rinuncerà mai.”

Statue
E' dell'otto marzo dell'anno scorso il primo atto di protesta contro la statua di Montanelli, messo in atto dal movimento femminista “Non una di meno”, imbrattandola con vernice rosa lavabile per richiamare l'attenzione sui crimini coloniali. Protesta ripresa quest'anno attraverso una lettera inviata al Sindaco e al Consiglio Comunale dall'associazione i Sentinelli di Milano, con la richiesta di valutare la rimozione della statua. Pochi giorni dopo, gli universitari del Laboratorio Universitario Metropolitano (Lume) e giovani della Rete Studenti Milano, imbrattano nuovamente la statua con vernice rossa e la scritta “razzista, stupratore”, rivendicando l'azione quale atto simbolico contro un tipo di cultura novecentesca razzista e colonialista. Stesso fine, metodi diversi. Il discrimine per una società civile e democratica dovrebbe essere quello degli eventuali danni materiali che tale tipo di protesta comporta. E' ovvio che non rientrano fra questi né una lettera, né un appello, né una vernice lavabile. Il resto va condannato e sanzionato.
Rimane comunque la sostanza della questione, la quale non riguarda né l'iconoclastia né la tenuta democratica del nostro paese come sostiene Pierluigi Battista sul Corriere della Sera. Preoccupazione degna di ben altre attenzioni, basti pensare all'incitazione alla violenza espressa sul tema da rappresentanti del mondo politico e istituzionale.

Occorre però, prima di affrontare la sostanza, condividere una premessa: le statue non nascono e crescono come i funghi. Le statue nascono da un pensiero, da una idea, dalla volontà di dare visibilità a personaggi o avvenimenti storici, culturali, politici e religiosi, particolarmente significativi e importanti per la storia del nostro paese o realtà locale. Nel caso specifico di Indro Montanelli la scelta di dedicargli una statua fu fatta nel 2005 dalla giunta di centrodestra del comune di Milano, su proposta del sindaco Gabriele Albertini, e installata l'anno successivo presso i giardini a lui intitolati già dal 2002, dove fu oggetto del vile attentato da parte delle Brigate Rosse. I motivi di tale scelta sono indiscutibili, direi quasi un dogma, una devozione, quantomeno a leggere le recenti dichiarazioni dell'allora sindaco di Milano (Corriere della Sera del 15/06/20) per il quale Montanelli incarna i valori della dignità morale e della coerenza, un gigante del pensiero, senza nessun errore da farsi perdonare, degno del premio Nobel, un maestro etico. Diciamo un giudizio evidentemente non equilibrato. Non è l'unico, basti leggere l'articolo di Massimo Veronese oppure quanto scrive Aldo Cazzullo sulla memoria sacra di Montanelli. Certo diventa difficile confrontarsi su atti di fede ma occorre che tutti accettino il fatto che la figura di Indro Montanelli è una figura pubblica e come tale va discussa e giudicata. Accusare di lesa maestà, insultare o demonizzare chi mette in discussione la sua figura, non fa altro che confermare la fragilità e discutibilità dell'autorevolezza del personaggio stesso.

Indro Montanelli e Destà

I temi sollevati dall'abbattimento o danneggiamento di statue in giro per il mondo, sono vari, differenziati e complessi e non è questo lo spazio per affrontarli. Si può anche essere d'accordo con lo storico Alessandro Barbero quando afferma che le statue non si abbattono perché ci aiutano a capire il mondo, o ancor più con lo scrittore Wu Ming 2per il quale occorre discriminare fra le varie situazioni e momenti storici, suggerendo inventiva e creatività negli atti di contestazione che si intende adottare. Rimane il fatto che le odierne azioni e proteste, nel bene e nel male, sono parte della nostra storia, che vede oggi scritta una nuova pagina importante. In Belgio il re Filippo per la prima volta nella storia del paese si è detto "profondamente dispiaciuto per le ferite" inflitte dal suo paese durante il colonialismo in Congo. Quelle ferite, ricorda lo storico Franco Cardini, furono: …un disastro umanitario, un'autentica infame sciagura …” e causarono milioni di morti. E se ciò è potuto accadere a seguito delle proteste che hanno anche visto statue bruciate o imbrattate, poco importa per le statue, ciò che importa è il riconoscimento pubblico della storia per quello che è stata, e in essa delle sue vittime e dei suoi oppressori.

Noi
Indro Montanelli, nel bene o nel male, è stato protagonista a tutti gli effetti di un'epoca. Quale epoca? Un'epoca che appartiene al nostro tempo, nel quale tre generazioni hanno, in qualche modo, convissuto tramandandosi storia, affetti, esperienza, cultura ed educazione. Parliamo di noi stessi, dei nostri genitori, dei nostri nonni e quindi di un tempo legato a una vicinanza e a una memoria ancora fresca e pulsante. Con ciò stabiliamo quanto meno che abbiamo il diritto e sotto altri aspetti il dovere non solo di parlarne con cognizione di causa e liberamente, ma anche di giudicarlo questo tempo, insieme a tutti i suoi protagonisti, se lo riteniamo, perché è un tempo che ci appartiene. Un “noi” che comprende tutta la comunità della quale facciamo parte e non solamente le comunità di appartenenza di ognuno, perché il “noi” comprende sempre l'altro.

L'altro
Se il contributo di Indro Montanelli dal punto di vista dell'opera storica è certamente discutibile, come lo è la sua storia umana e politica, cosa dire del giornalista? Ferdinando Castelli – è stato redattore de “La Civiltà Cattolica” per il settore letterario - sintetizza le qualità giornalistiche di Montanelli nella sua capacità narrativa, per il suo stile “colorito, asciutto, immediato, striato di humour e venato d'ironia talora pungente, sempre e soprattutto chiaro, semplice, intellegibile si che il pezzo lo si legga con gusto e per intero.” Nel giornalismo di Montanelli “… c'è tutto sé stesso, con i suoi umori e la sua fisionomia morale e civile.” Ricordando la massima del giornalista: “Io non ho padroni” Castelli non manca di evidenziare il suo contributo nell'opera teatrale, come narratore e drammaturgo, grazie alle “battute, il dialogo immediato e frizzante, la capacità di movimentare la scena.” pur sottolineando come nelle sue opere manchi “… lo scavo dell'anima, il dramma della lotta interiore, la forza delle idee profonde …”. Riporta inoltre la testimonianza di Luigi Maria Personè, scrittore e giornalista, per il quale nel collega toscano: “… è dominante l'immagine del palcoscenico o del teatro, con relativi passaggi … La vita, lui la vede perpetuamente come palcoscenico, dove ognuno interpreta la sua parte, più o meno bene, felicemente o infelicemente, con vantaggio o con danno; ma sempre parte di un teatro, sempre finzione da commedia.”


Un ritratto del “principe dei giornalisti” che ritroviamo nella prima edizione della sua biografia a cura di Gerbi e Liucci (“Lo Stregone. La prima vita di Indro Montanelli”, Einaudi, 2006) come riporta una recensione al libro di Pierluigi Battista: “ «Stregone», dunque, perché con il suo stile speziato e immaginifico Montanelli sapeva «ricreare» un evento, in una «commistione fra giornalismo e letteratura», come scrivono i due autori del libro einaudiano, in cui la storia del «vero» si arricchisce e si affina con gli ingredienti saporiti del «verosimile ». «Stregone», soprattutto, perché la definizione si attaglia virtuosamente al più grande giornalista italiano del Novecento che per di più seppe stabilire, come nessun altro, un rapporto ipnotico con i suoi lettori. La sua prosa era limpida e incomparabilmente ricca, ma da sola non bastava, non poteva bastare.”
Tutte qualità che trovano compimento nel rapporto diretto con il suo pubblico, nella rubrica “Le Stanze” di cui andava fiero. Una fotografia delle qualità e dello spessore intellettuale del personaggio che tra l'altro si sposa con il sentimento e le aspirazioni del giovane Montanelli, espresse nell'incipit al suo primo romanzo “africano”: “Sono letterato. E a parte il brutto e il meschino di questa parola, il mio mestiere mi innamora … Mi costa, questo mestiere, mi costa, di sonno e fatica. Ma non lo dico per presentare il conto? E a chi poi? Lo dico per un fenomeno di narcisismo: perché mi garba contemplarmi in questo gesto di fedeltà al mio mestiere, che poi vuol dire fedeltà a me stesso.”
Fedele a sé stesso, calcando le scene dei vari palcoscenici, Montanelli lo fu fino all'ultimo giorno della sua vita, scrivendone infine di suo pugno il necrologio. Un palcoscenico il suo, a mio modo di vedere, dove gli altri sono semplici comparse. Come la moglie-bambina alla cui madre lasciò il compito di brutalizzarla per ammansirla ai suoi desideri, per poi esibirla in foto nel suo studio in modo da attrarre la curiosità di tutti e continuare a narrarne la sua storia o parlarne con provocante disinvoltura in trasmissione televisive o sulle colonne di un giornale. In Indro Montanelli pare mancare la coscienza dell'altro: nei suoi scritti, nelle sue parole, nel suo piegare la storia alle proprie convinzioni. Non a caso è la coscienza dell'altro che ci spinge ad indagare, a scoprire, a investigare. Sono le ragioni dell'altro che ci inducono a mettere in discussione le nostre ragioni, per arricchirle, per rafforzarle, a volte per cambiarle o integrarle. In mancanza dell'altro possiamo essere padroni della scena, cultori della forma, possiamo compiacerci delle nostre capacità e abilità, ma non riusciremmo mai a comprendere la realtà che ci circonda e i fatti che si svolgono in essa. Non sappiamo quanto possano aver inciso nel sua percezione del mondo e sulla sua personalità gli attacchi di panico di cui soffrì fin da ragazzo o il suo presunto disturbo bipolare. Lui giovane uomo che cercava in Africa “una coscienza d'uomo”; lui che, a conclusione della sua storia d'Italia 1919-1936, dichiara di essere: “… orgoglioso di appartenere alla generazione che ha dato questi uomini. E' stata l'ultima a dare degli uomini.” Verrebbe da ribattere a questa puerile affermazione, usando la sua ironia pungente, chiara e semplice, che quella generazione ha dato anche tanti uomini cretini oltre a non pochi criminali. Ma non lo faccio perché le parole vanno usate con cura, inoltre come tutti sappiamo le generazioni continuano a succedersi, nel bene e nel male, incuranti della vanità dei passanti, e fra loro ci sono uomini e donne convinti che il fatto di non sapere come si sarebbero comportati in determinate situazioni e momenti storici non significa che non sappiano come avrebbero dovuto comportarsi. Contestualizzare i fatti è un'opera fondamentale, giustificarli è un'opera meschina tanto più che in qualsiasi epoca, in qualsiasi momento storico ci sono sempre stati e sempre ci saranno uomini e donne che hanno saputo fare scelte diverse da quelle veicolate dalla cultura, dai valori passeggeri del momento. Nella stessa seconda metà degli anni '30 del secolo scorso, mentre Indro Montanelli a 26 anni usufruiva in “leasing”, per i propri sfoghi sessuali, di una moglie-bambina dodicenne, brutalizzata dalla madre a tal fine, una giovane ragazza di 17 anni, Rosa Vitale, veniva rapita e violentata nelle campagne di Cinisi in Sicilia come a “quel tempo si usava”, direbbero in molti. Ma come ci racconta Mila Spicola ieri come oggi, non tutti “usano” professare gli stessi valori o praticare gli stessi comportamenti.

Maria Rosa Vitale (fonte Palermo Today)

Rosa Vitale: “… una ragazzina violata nelle campagne di Cinisi, senza arte né parte denuncia l'aggressione sul corpo delle donne, in quel caso il suo … Se lo sforzo lo fece una ragazzina di campagna senza studi, senza sostegni, di 17 anni nel 1939 subendo uno stupro prima, un processo poi e una vita intera a reggersi il mento, per tenere alta la testa, per difendere la sua e la nostra dignità, di tutti, anche vostra, un piccolo sforzo silenzioso di riflessione potremmo farlo tutti. Per capire che si sta parlando non di statue ma di dignità della persona offesa contro la sopraffazione di ogni genere. Che riguardi Destà, o Gabriele, o Abram, o Kamil, o Mila. Si tratta di difendere con loro la dignità di tutti, insieme al valore dell'uguaglianza. Sennò, nell'uguaglianza non ci crediamo. Semplice.”

Umberto De Pace



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  5 luglio 2020