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La guerra contro il popolo
Tania Marinoni

Grecia antica
Jeff Halper, la traduttrice Susanna Botta, i presentatori Franco Isman e Giorgio Forti

Mercoledì 11 ottobre l'Urban Center di Monza ha ospitato l'incontro con Jeff Halper, antropologo statunitense e attivista politico, che, trasferitosi nel 1973 in Israele, sostiene da tempo la causa palestinese. L'autore ha presentato ad un nutrito pubblico il suo ultimo libro, “La guerra contro il popolo”, in un'avvincente esposizione, resa in italiano dalla simultanea e accurata traduzione di Susanna Botta. L'evento, organizzato da ANPI Monza ed ECO, la rete degli Ebrei Contro l'Occupazione, è stato introdotto e moderato da Franco Isman che ha contestualizzato le tematiche affrontate con un prezioso intervento sulla situazione attuale in Palestina.

Per comprendere quanto Jeff Halper tratta nel suo libro, è necessario infatti conoscere la situazione attuale nei territori occupati: quel teatro di brutali assurdità, di cui è vittima un intero popolo. La testimonianza di Franco Isman, che nel 2015 ha partecipato ad un viaggio organizzato in quei luoghi dall'associazione Assopace Palestina, illustra, assieme alle immagini proiettate sullo sfondo, la violenza perpetrata dal governo israeliano ai danni dei palestinesi. Con pochi e incisivi concetti, Isman fornisce un quadro chiaro e completo del contesto: le colonie e gli avamposti che insistono in Cisgiordania, nonostante siano considerati illegali dal diritto internazionale; l'imponenza del muro che sottrae ai palestinesi ampie porzioni di territorio, i pozzi d'acqua e impedisce loro l'accesso alle terre; le discriminazioni compiute con una serie di controlli capillari, le leggi militari e la gestione della sicurezza attuata con esecuzioni sul luogo. Immagini forti, che nella loro violenza rendono tutta la drammaticità della situazione attuale e introducono al quesito, che sorge spontaneo, ed è alla base del saggio di Halper: come può Israele perpetrare una politica di “apartheid” e discriminazione, nonostante l'opposizione delle risoluzioni ONU, del diritto internazionale e dell'opinione pubblica?

Giorgio Forti di Eco anticipa al pubblico un tema particolarmente rilevante, affrontato da Halper in precedenza e sviluppato nel suo saggio: la grandezza della solidarietà umana. Questa forma di impegno sociale a favore degli altri, che non può essere dettata dall'appartenenza nazionale, dal colore della pelle, o dai criteri etici, sociologici e politici, non conosce confini e si esprime nella Resistenza intrapresa con metodi non violenti. Un concetto molto importante, sottolinea Giorgio Forti, che funge da trait d'union tra ECO e ANPI, l'associazione fondata da coloro che seppero opporsi al nazifascismo per ridare all' Italia un futuro di libertà e democrazia.

Harper chiarisce subito che il conflitto israelo-palestinese non è uno stato di guerra tra due popoli, ma uno scenario bellico che si configura a livello globale in termini di instabilità geopolitica e di sicurezza internazionale. Questa “guerra”, che nella sua specificità racchiude in apparenza una grande contraddizione, svela in realtà un'importante, quanto allarmante, verità. La soluzione auspicata al conflitto in Palestina, come prevista dagli accordi di Oslo del 1993, e cioè quella dei due Stati, avrebbe avuto un'importanza fondamentale per tutto il Medioriente. Inoltre, benché a netto vantaggio di Israele, era stata comunque approvata dai palestinesi. Il territorio palestinese doveva comprendere la Cisgiordania, Gaza e una striscia di superficie israeliana: in pratica il 22% della parte di Palestina contesa, quella ad Ovest del Giordano. Ad Israele sarebbe andato invece il 78% della terra. Tuttavia la “più grande democrazia”, forte del suo predominio militare, rende impossibile questa soluzione, occupando con le colonie, dichiarate illegali dall'ONU, vastissime zone della Cisgiordania. Molte chiese e numerosi movimenti si schierano apertamente a favore della causa palestinese, ma incontrano l'opposizione di tutti i governi.

La guerra in Israele e Palestina non è combattuta da due eserciti contrapposti, ma viene mossa contro un popolo; le modalità attraverso cui si determina questo conflitto afferiscono ad un sistema di controllo e di repressione, oggi esportato fuori dai confini di Israele e attuato da un capitalismo che, in crisi, guarda a questi mezzi per continuare ad esercitare il suo dominio. La strategia consiste nell'incoraggiare il timore che il nemico sia all'interno delle proprie mura, per giustificare, così, un ingente apparato militare e un altrettanto sviluppato sistema di controllo. E' la fitta rete sicurocratica a tracciare, a livello mondiale, la vita quotidiana e a sorvegliarla con droni e altri sofisticati strumenti tecnologici.

Molti dispositivi della pacificazione globale presidiano già la nostra esistenza, e il muro eretto in Europa contro i profughi e in Messico è solo l'elemento maggiormente visibile.

La matrice del controllo dei territori che Israele esercita a livello amministrativo, legale e militare si unisce ad una pratica terribile: la politica di demolizione delle case dei palestinesi. A narrare questa assurda e tremenda realtà è la storia di Salim, che si è visto negare per tre volte la licenza edilizia di un ampliamento della sua casa (Salim ha sette figli). L'assenza della licenza, che costa ai palestinesi 5000 euro, impedisce l'edificazione legale dell'abitazione e, qualora eseguita, ne legittima l'abbattimento. L'ordine di demolizione non ha scadenza e incute un insostenibile stato d'ansia negli abitanti: un sentimento che non li abbandona e con cui hanno dovuto imparare a convivere. Quando il provvedimento viene eseguito, il messo comunale si presenta alla porta e, scortato da militari, intima di lasciare la casa nel giro di 15 minuti. Il bulldozer non demolisce “soltanto” la dimensione più intima di una famiglia, ma anche la psicologia di uomini, donne e bambini, che, pur condividendo la medesima sorte, sviluppano reazioni molto differenti. Se l'uomo può infatti sfogare, seppur in minima parte, la frustrazione per non riuscire ad adempiere ai propri compiti di pater familias, per la donna si configura una doppia tragedia: non solo perde il ruolo di madre e di moglie, ma, non andando a lavorare, subisce anche un grave disorientamento. I figli, scioccati, sviluppano tutti i sintomi dello stress post traumatico con evidenti ripercussioni sul rendimento scolastico.

Ma se questa terribile realtà mostra l'assurdità e la violenza della politica israeliana, testimonia anche la resistenza palestinese, protratta con atti determinati e risoluti che, se non fossero compresi nella loro valenza politica, apparirebbero eccentrici e folli. Alla demolizione, infatti, segue sempre un'immediata attività di ricostruzione, pur nella consapevolezza di un successivo abbattimento.

Solo nella Resistenza si riesce ad immortalare sul viso delle donne palestinesi un accennato sorriso.

Tania Marinoni

copertina
La guerra contro il popolo
Israele, i palestinesi e la
Pacificazione globale
Jeff Halper, Edizioni Epoké, 2017
Pagine 340, € 16,00
ISBN: 8899647755


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  14 ottobre 2017