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O mangi sta minestra…
Franco Isman


Non credo ci possano essere molti dubbi sul risultato di un referendum fatto in stato di necessità, sotto l'incubo di un ricatto.

Favorevole o contrario? Mentre la destra con il governo e la Confindustria non soltanto sta con Marchionne ma ne elogia il coraggio e il comportamento, e sono due cose differenti, il centrosinistra è diviso e si va dai duri, puri e senza dubbi, come Nichi Vendola, a Matteo Renzi, quello della cena a villa San Martino, favorevole senza se e senza ma. Con il gatto e la volpe, Veltroni e D'Alema, naturalmente su posizioni contrastanti.

Le ragioni di Marchionne sono molte e valide, e bene ne ha scritto Toti Iannazzo su Arengario: l'industria mondiale dell'auto soffre di una crisi di sovrapproduzione, indiani e cinesi stanno entrando alla grande sul mercato, Fiat non è in grado di competere nemmeno con le altre industrie europee del settore, Fiat è una società a rischio, è indispensabile aumentarne e di molto la produttività.

E per aumentare la produttività in primo luogo sta la necessaria, indispensabile, lotta all'assenteismo che dovrebbe essere combattuta non soltanto dall'azienda ma dagli stessi sindacati in quanto i lavativi vanno a penalizzare quanti onestamente lavorano e, peggio, portano la grande maggioranza ad atteggiamenti di accettazione degli imbrogli e addirittura di emulazione per non essere “gli unici fessi”. Ma i sindacati mai si sono impegnati su questo fronte, e più si passa da quelli nazionali a quelli locali e peggio è.
La stessa cosa si deve dire sulla altrettanto necessaria flessibilità con la possibilità di sopperire a “punte” momentanee o stagionali con l'utilizzo degli straordinari e non con nuove assunzioni, straordinari che però devono rappresentare l'eccezione e non la regola. Se il ricorso alle ore straordinarie nasce dal fatto che queste costano all'azienda molto meno di quelle ordinarie, come avveniva in passato, a questo si deve ovviare in sede legislativa e contributiva.

Ma il discorso è molto più ampio e va al di là della “cura” Marchionne: in un mercato aperto è ineluttabile che le condizioni di lavoro ed economiche dei lavoratori vadano livellandosi ed il raggiungimento della competitività con una fabbrica a Detroit o in Canada, ma anche in Polonia o in Serbia è soltanto un primo passo verso un futuro addirittura rivoluzionario.

Mi era stato insegnato, e non voglio dimenticarlo, che il lavoro non è una merce che possa essere sottoposta alla legge della domanda e dell'offerta, e di qui discendono i contratti collettivi di lavoro, il diritto di sciopero e le rappresentanze sindacali, mentre oggi l'intrattabile diktat di Marchionne va contro questi sacrosanti principi.
L'accordo di Mirafiori presenta numerosi aspetti che violano leggi e addirittura diritti costituzionalmente sanciti: il diritto di rappresentanza, il diritto di sciopero, un orario di lavoro non estensibile in modo abnorme, al di là di quanto legalmente ammesso.
Alcune di queste storture avrebbero potuto trovare soluzione, anche con la rettifica di norme esistenti e non in loro violazione, ma si è voluta la prova di forza, il vero e proprio ricatto: o accetti tutto in blocco o Mirafiori chiude e tu “nun fatichi cchiù”.
Brutto, molto brutto, come l'indecente “Marchionne show” di Detroit, come lo definisce Massimo Giannini su la Repubblica , in cui il “padrone” ha decretato che, se non dovessero vincere i sì, Mirafiori chiuderà “e ce ne torneremo a festeggiare a Detroit”. A festeggiare, con la benedizione del presidente del Consiglio !

Franco Isman

Marchionne e il capellone


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  14 gennaio 2011