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Lettera a Giampaolo Pansa
10 . E' tempo di ricostruire
Umberto De Pace

E' dopo aver letto l'articolo di Franco Isman “Guerra politica tra fascisti e antifascisti” che mi sono ricordato di questa lettera che scrissi a Giampaolo Pansa il 16 ottobre del 2008. Non ricevetti nessuna risposta alla mia missiva, la ripropongo oggi come allora… in attesa di una risposta.
Buon 25 aprile a tutti

Egr. Dott. Pansa,
leggendo su l'Espresso del 25 settembre il suo Bestiario, dal titolo “L'antifascismo obbligatorio”, qualcosa non mi tornava. Non tanto il suo parere sulle dichiarazioni del presidente della Camera Fini, in merito all'antifascismo, quanto alcune sue affermazioni, che mi parevano contrastare con altre, lette nei suoi precedenti scritti.
Solo dopo alcuni giorni ho realizzato che la fonte dei miei dubbi era “Il gladio e l'alloro”, il suo libro su l'esercito di Salò, edito nel 1991.
Cito dalla prefazione dello stesso, al punto in cui parla della morte di Tom, un giovane partigiano comunista, ucciso dai fascisti:
Negli anni che seguirono, non ebbi mai dubbi: i buoni erano i ragazzi come “Tom”, i cattivi quelli che l'avevano messo al muro con i suoi compagni scalzi. Continuo a pensarlo così ancora oggi. Anzi, voglio ripeterlo, usando di proposito parole che a qualcuno potranno sembrare vecchie: i senzascarpe stavano dalla parte giusta, i loro fucilatori dalla parte sbagliata.
Su questo punto per me essenziale, non ho revisioni storiche da fare. Quindi per favore, non aspettatevi da me nessuna di quelle inversioni di marcia oggi alla moda. E neppure uno di quei sofismi che, di questi tempi, certi finti politologi ci propinano con la formula seguente: il partigiano comunista combatteva per affermare in Italia la dittatura sovietica; dunque quel partigiano era un nemico della democrazia tale quale una SS nazista o un brigatista nero. No, non aspettatevi da me ragionamenti del genere ... Se siamo qui a raccontarcela, dobbiamo dir grazie anche ai tanti senzascarpe comunisti che, nell'Italia della guerra civile, si fecero fucilare in compagnia di molti senzascarpe di tutt'altra ideologia. E' la stranezza del caso italiano, un'anomalia che mi sta bene e mi consente di restare, cocciuto, sulle mie posizioni di sempre”.
Su l'Espresso di due settimane fa, i toni invece sono i seguenti:
Dopo il 25 aprile, ebbero inizio le vendette sui fascisti sconfitti, con tantissimi assassinati, chi dice ventimila e chi trentamila. A quel punto fu chiaro che il Pci e molti partigiani delle Garibaldi non intendevano conclusa la lotta. Furono loro a ingaggiare una seconda guerra civile per la conquista violenta del potere. Lo scopo era di fare dell'Italia un paese satellite dell'Unione Sovietica.”
Sempre nella prefazione de “ Il gladio e l'alloro”, lei ci spiega come il suo libro sia il racconto del fallimento del tentativo da parte della RSI di costituire una propria forza armata:
C'è la spietatezza d'una macchina repressiva capace di seminare dappertutto violenza. C'è il tragico corteo di fatti orribili che sempre accompagna ogni tentativo di mettere in piedi un esercito dentro una società ostile e che rifiuta di combattere per il fantasma di uno Stato ormai fallito e sconfitto … Fu seminato in quei mesi ciò che poi si raccolse nell'Italia appena liberata. Parlo del desiderio di vendetta. Intendo la voglia di farla pagare agli uomini in camicia nera che, per offrire al Mussolini di Salò il fantasma di un esercito, s'erano mossi in quel tragico corteo”.
Su l'Espresso, invece:
“Liberato da Hitler, Mussolini fondò la Repubblica Sociale Italiana. Era uno stato debole e vassallo dei tedeschi. Ma cercò di dotarsi di una forza militare. Ci riuscì perché migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze italiani si arruolarono volontari, per cancellare la vergogna dell'armistizio e difendere la patria dall'invasore anglo-americano.”
Da una parte un libro freddo, basato su uno sforzo di imparzialità, documentato, scevro il più possibile dalle emozioni, come lei stesso si premura di spiegare nella prefazione. Dall'altra un articolo, che sull'onda dei suoi ultimi lavori, a mio modo di vedere, segue più l'onda dell'emozione e del sentimento che quella della ricerca storica.
Ho letto anche altri suoi libri. E molte sono le cose che avrei da dire nel merito e sul metodo. Se ci sarà un'altra occasione, ben volentieri. In fondo potremmo essere perfino parenti, visto che anch'io sono piemontese e mia nonna era una Pansa.
Ma ciò che mi preme oggi chiederle è questo: cosa ha da dire il Pansa odierno al Pansa de “Il gladio e l'alloro”?
Cordiali saluti
Umberto De Pace

E' tempo di ricostruire
GLI ARTICOLI PRECEDENTI
1. Libertà (aria), uguaglianza (acqua), fratellanza (terra)
2. Sull'intolleranza
3. La camorra infame e il ruolo dello Stato
4. Lo Stato di Cossiga
5. La zingara rapitrice
6. Omertà di Stato
7. Il clandestino gentiluomo
8. La società multietnica e il piccolo presidente
9. Sull'Unità d'Italia


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  19 aprile 2011