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LETTERE DALLA PALESTINA
I territori occupati
Annalisa Caron

Proseguiamo la pubblicazione delle e-mail che Annalisa Caron, della Cisl di Monza, partita il 27 ottobre per la Palestina e Israele insieme a una delegazione di pacifisti raccolti dalla Tavola per la Pace, sta inviando per documentare la loro esperienza. Scopo del loro viaggio è quello di incontrare e sostenere le realtà impegnate nel dialogo palestinese-israeliano.
Riportiamo per primo l'articolo pubblicato sul sito http://www.perlapace.it/index.php?id_article=8711 nel quale si documenta la reazione dei militari israeliani, con lancio di due lacrimogeni, verso una parte della delegazione italiana in visita, il 30 ottobre, alle mura dove è confinato il villaggio palestinese di Ni'lin.
Umberto De Pace

Una delegazione della Missione di Pace è giunta questa mattina sotto le mura che circondano il villaggio palestinese di Ni'lin, ed è stata accolta con due colpi di lacrimogeni dai militari israeliani. 30 ottobre 2012


sotto le mura di Ni'lin - foto Stefano Rossini
sotto le mura di Ni'lin - foto Stefano Rossini

Ni'lin come Betlemmme, con le stesse mura che circondano il paese, mangiando terreno palestinese per difendere le abitazioni e le strade di cinque insediamenti israeliani. E se ti avvicini troppo, per osservarlo da vicino, tre soldati annoiati sparano alcuni colpi di gas lacrimogeno, senza alcun avvertimento.
E' successo oggi ad una delegazione della Missione di Pace invitata qui dalla Palestine Youth for Peace & Justice, un gruppo di attivisti locali che cerca di far valere i propri diritti contro l'avanzamento di Israele. Senza effetto, per ora.
Ni'lin si trova a 25 chilometri da Ramallah, metà strada da Tel Aviv. Siamo nella West Bank, il cuore dei territori palestinesi, eppure qui c'è una sola autorità, quella di Israele, che costringe a fare giri labirintici con la macchina per coprire pochi chilometri, e che avanza con le armi spianate appena si esce dallo spazio assegnato.
I due colpi di gas lacrimogeno sono stati sparati dai tre militari dalla torretta del muro quando la delegazione, composta da una quarantina di italiani, insieme a due attivisti del gruppo palestinese, si sono avvicinati alla linea di confine. Scopo dell'uscita era vedere da vicino la situazione degli oliveti di Ni'lin e il muro che protegge - a detta di Israele - gli insediamenti di Ganei Modi'in e Ramat Modi'in. Il primo colpo è caduto a pochi metri dalle persone che subito si sono allontanate di corsa verso Ni'lin. Del secondo si è sentito lo scoppio, ma non si è visto il fumo. L'aria si è fatta subito irrespirabile, ma nessuno è rimasto intossicato. I militari si sono poi affacciati dalla torretta e hanno indicato il giornalista e il cameraman, senza però poi effettuare altre azioni.
Sulla strada del ritorno, Mohamed Ameera, un coltivatore, lamenta come il muro gli abbia rubato 30 dunums di terra, con 67 olivi. Con la mano ci mostra alcuni olivi bruciati. “E' per colpa dei razzi - dice - quando un lacrimogeno colpisce un tronco questo prende fuoco velocemente”. Un altro ragazzo in pochi secondi raccoglie bossoli di gomma da terra. Sono ciò che rimane degli attacchi precedenti. “Succede spesso - continua Mohamed - ogni volta che ci si avvicina al muro i soldati sparano. Non gli importa che siate italiani o di qualsiasi altra nazionalità”. I motivi del muro sono i soliti, a detta di Hassan Mansa, portavoce dell'associazione e insegnante di inglese, incarcerato due volte per la sua attività di protesta. “Gli insediamenti sono illegali e il muro ci ruba la terra, la nostra terra. La maggior parte della popolazione qui vive della raccolta delle olive. Il muro non vuole proteggere Israele, vuole costringerci ad abbandonare la nostra terra, a non vivere più qui”.
Un po' di paura, tra gli attivisti, ma nulla di più. “Abbiamo visto che sparavano e abbiamo cominciato a muoverci fuori dalla strada perché ci hanno detto che sulla strada era pericoloso”, racconta Michela. “I militari hanno visto bene che stavamo andando via, ma hanno sparato lo stesso” - dice Mauro.

31 ottobre 2012
Ciao a tutti,
Oggi è stata la giornata dedicata alla Palestina e alle diverse esperienze e realtà che la caratterizzano. Siamo partiti tutti insieme per Ramallah, facendo una strada piuttosto lunga e tortuosa per evitare di attraversare i due checkpoint (in uscita da Betlemme e quello per la successiva uscita da Israele alla volta di Ramallah). A partire da questo piccolo particolare si può capire quanto sia complicato muoversi qui soprattutto per chi non abbia un passaporto estero come noi o non sia in possesso di un permesso speciale per entrare Israele.
Una volta giunti tutti insieme a Ramallah i 4 gruppi si sono divisi per raggiungere:
1) i beduini
2) il villaggio di Marda,
3) il villaggio di Sin Jil
4) il villaggio di Nil'In in prossimità del muro.
Il nostro gruppo ha raggiunto il villaggio di Sin Jil, un villaggio di circa 8000 persone.

la visita al villaggio
la visita al villaggio (attorniato dagli insediamenti) - foto Annalisa Caron

All'arrivo siamo stati accolti dal sindaco e da alcuni membri del villaggio e insieme abbiamo raggiunto alcuni dei campi da loro coltivati. Questi terreni si trovano in area C e ciò significa che per fare qualsiasi tipo di opera su di essi è necessario acquisire il consenso delle autorità israeliane, nonostante ci si trovi in territorio palestinese (West Bank). La situazione in questo villaggio si è via via complicata con l'aumento degli insediamenti e quindi del numero dei coloni nei dintorni. Il villaggio è stato infatti circondato in pochissimo tempo da quattro insediamenti, l'ultimo dei quali è stato costruito ad una sorprendente velocità in meno di due anni. La presenza dei coloni ha inciso negativamente sulla vita e sul lavoro degli abitanti del villaggio: per alcuni di essi è divenuto quasi impossibile avere accesso all'acqua e le cisterne sono al momento l'unica soluzione per cercare di far sopravvivere gli ulivi e le coltivazioni.
I coloni però non si accontentano di controllare l'acqua e di espandere i propri insediamenti ma spesso capita che sparino agli abitanti del villaggio mentre sono al lavoro nei loro campi. Oppure capita che si presentino nei campi cercando di bloccare l'accesso. È successo inoltre che di notte i coloni siano andati a rubare e a boicottare il lavoro degli abitanti del villaggio. Una vera e propria guerra di nervi che si combatte anche nelle aule di tribunale per cercare, per esempio, di ottenere il riconoscimento della proprietà su alcuni campi dati agli abitanti del villaggio dalla Croce Rossa e rivendicati dai coloni in quanto manca un vero e proprio atto di proprietà. Non lontano poi si trova anche una base militare israeliana.
Dopo questa premessa abbiamo raggiunto i campi dove alcune famiglie del villaggio stavano raccogliendo le olive. Muniti degli appositi attrezzi ci siamo messi anche noi all'opera condividendo qualche frammento di lavoro insieme a queste persone.

la raccolta delle olive
la raccolta delle olive - foto Annalisa Caron

La comunicazione non è stata sempre semplice anche perché le donne con cui ci siamo trovati a lavorare non parlavano inglese. Nonostante ciò è stato un momento di condivisione molto intenso. Anche in questa occasione l'accoglienza è stata davvero sorprendente e dopo averci ringraziato per essere venuti di persona a vedere e conoscere la loro condizione la richiesta che ci viene fatta è sempre la stessa: raccontare, testimoniare ai nostri cari e alle persone che incontreremo al ritorno ciò che abbiamo visto e sentito, perché sono tutti ben consapevoli che quanto generalmente passa nei media non corrisponde affatto alla verità.
Nel pomeriggio siamo rientrati a Ramallah dove alla Friends Boys School era stata organizzata una tavola rotonda sul futuro della Palestina. Gli ospiti erano: il prof. Saleh Abd Jawad, Gianpaolo Contini console generale d'Italia a Gerusalemme, Souad Amiry scrittrice, Islah Jad professoressa e attivista nei movimenti femminili, Salvatore Lombardo dell'UNRWA l'agenzia delle nazioni unite che si occupa dei profughi palestinesi in Libano, Siria , Israele, Giordania.
Gli interventi sono stati tutti molto interessanti toccando temi non affatto semplici come le primavere arabe ed il loro eventuale o potenziale effetto sulla situazione palestinese, la scarsa attenzione internazionale alla questione Israelo-palestinese che è stata scavalcata nell'agenda internazionale da altri eventi come la questione siriana, l'Iran, la complessa transizione dei paesi come Tunisia, Libia, Egitto etc.

la tavola rotonda a Ramallah
la tavola rotonda a Ramallah - foto Annalisa Caron

Gli interventi più apprezzati sono stati quelli di Souad Amiry e di Islah Jad: non si può affatto dire che queste donne non abbiano le idee chiare sulla situazione in cui vivono, sulle scarse prospettive di uscita da questa condizione di impasse e su cosa si attendono dall'Unione Europea, dalla comunità internazionale e da noi.
Souad Amiry ha elencato i 4 elementi senza i quali non si può comprendere cosa sta succedendo:
1) land, land more land ovvero terra, terra sempre più terra. Sebbene Israele negli ultimi anni abbia sempre detto di volere la pace in realtà cercava solo di guadagnare tempo per ampliare il più possibile il numero degli insediamenti nella West Bank minando l'integrità territoriale dello stato palestinese.
2) Israele non vuole la soluzione 2 popoli 2 stati ma vuole solo realizzare la grande Israele sul territorio che rivendica come proprio per ragioni storiche. Israele vuole realizzare uno stato di apartheid dove una maggioranza palestinese sia governata e discriminata da una minoranza ebraica. Se la Ue sostiene la soluzione 2 popoli 2 stati perché non interviene e non controlla gli atti illegali che Israele compie quotidianamente ampliando i propri insediamenti? E ora di porre in essere una politica di boicottaggio così come era stato fatto contro il Sud Africa.
3) manca una qualsiasi forma di pressione verso Israele.
4) la comunità internazionale e gli stati sembrano essere ostaggi del timore di essere considerati antisemiti solo per avversare o contestare il comportamento di Israele.
Islah Jad dopo un nutre (ndr ?) veto sul ruolo delle donne nella primavera araba a seguito di alcune domande sulla possibilità di riannodare una collaborazione e un dialogo con le donne israeliane ha chiarito che il tempo del negoziato è finito in quanto Israele mentre negoziava e si riempiva la bocca di pace di fatto andava avanti nella realizzazione del suo progetto di espansione. È tempo invece per fare pressione contro l'attività criminale che viene quotidianamente perpetrata contro la popolazione palestinese. É ora di rivelare la vera natura, la vera immagine di Israele che non è un oasi di democrazia ma uno stato razzista e coloniale. Questo è quello che si evince anche da un sondaggio fatto da uno dei principali quotidiani israeliani dal quale è emerso che la maggior parte degli israeliani non vuole avere nulla a che fare con i palestinesi, non li vuole nelle proprie scuole etc .
Due posizioni molto chiare che non lasciano molto spazio alla speranza circa un possibile superamento dello stallo attuale nelle relazioni israelo-palestinesi.
Ci sarebbe ancora molto da raccontare sulla condizione dei profughi palestinesi e sul loro ruolo nella guerra civile siriana e nella crisi giordana, così come sulla laicità nei paesi arabi, sull'impegno e gli sforzi messi in campo dalla UE , ma sarà meglio che ci fermiamo qui. Le foto allegate ritraggano i due momenti salienti di oggi: la visita al villaggio (attorniato dagli insediamenti), la raccolta delle olive con i suoi abitanti e la tavola rotonda finale a Ramallah.
Domani siamo a Gerusalemme.
Cari saluti a tutti
Annalisa Rachele e Aldo

(segue)
a cura di Umberto De Pace

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  5 novembre 2012