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Dov'è finita L'ultima bionda ?
Il detective Catalfamo la cerca…
Un nuovo giallo di Gianfrancesco Turano
di Mauro Reali


L'ultima bionda

Comincio subito dicendo che – a mio avviso - il terzo romanzo di Gianfrancesco Turano, cioè L'ultima bionda, Dario Flaccovio Editore (13 euro, pp. 234), è il migliore di quelli da lui scritti finora. Chi scrive già ha recensito su l'Arengario sia Ragù di capra, il bel giallo d'esordio, sia Catenaccio, l'epico racconto di un'incredibile partita di calcio; è dunque con compiacimento che si accinge a dire qualcosa della fatica più recente dello scrittore – come egli stesso afferma – “nato nell'emisfero meridionale”. E l'ambientazione è davvero “meridionale”, perché siamo a Palermo in un agosto caldissimo, durante il quale Rosalino Catalfamo - al quale due lauree non sono ancora riuscite a garantire un lavoro fisso a trentasette anni – si cimenta nell'inconsueta attività di detective privato, alle dipendenze dell'agenzia del cugino Franco. Il compito è chiaro: seguire – senza ulteriori spiegazioni – l'ingegner Rodolfo Mineo Retez, costruttore palermitano ricco e affascinante, sposato con un'americana ma con un'attrazione “fatale” per le donne bionde, soprattutto se straniere, che poi misteriosamente scompaiono…
Questo lavoro per Catalfamo, da impiego agostano per potere “tirare avanti”, si trasforma in una sorta di turbine che lo avvolge completamente; da un lato, infatti, egli vorrebbe soddisfare con una certa “professionalità” le richieste del cugino; dall'altro, invece, l'inseguimento di Mineo Retez si colorisce di numerose sfumature: un po' di invidia per il suo fascino (e soprattutto per la seduzione di una prosperosa russa), ma anche una crescente voglia di fare giustizia di un mondo fatto di costruzioni più o meno lecite e di conquiste femminili più o meno perverse, ma soprattutto la necessità – dopo una vita di anonimato – di costruirsi una “faccia” (il cugino Franco gli aveva infatti rimproverato di non averne una…). E questo turbine avvolge anche il lettore, poiché una volta iniziato il romanzo è davvero difficile abbandonarlo. Chiudere il libro sarebbe infatti come abbandonare nei guai il nostro Catalfamo, ma anche (oltre ai personaggi già citati) l'amico Melo Favara, autista improvvisato, l'impagabile Zia Ninuccia, don Fernando Castiglia… Due parole merita proprio, a mio avviso, questo anziano, solitario, cancelliere in pensione del tribunale, studioso sia di arte barocca che di storia del crimine: la scena della tortiera di alici da lui consumata in religioso silenzio davanti al “devoto” Catalfamo è infatti una delle più belle (e intrinsecamente “palermitane” del romanzo). A proposito di Palermo: qualche squarcio cittadino, la balneare Mondello, nonché la più lontana Cefalù costituiscono un vivace sfondo alla vicenda, che l'autore delinea con qualche semplice “colpo di pennello”, sufficiente però a farci immergere totalmente nella calura estiva della Sicilia. Così come appena accennati, ma ben presenti, sono i temi della mafia, dell'immigrazione, del precariato giovanile… Insomma, L'ultima bionda è un giallo equilibrato, ben “limato”, nel quale Turano controlla il suo consueto virtuosismo prosastico (fatto per lo più di iperboli e dialettismi…), asciugandolo ma non cassandolo, rendendolo così perfettamente funzionale alla narrazione. E concludo con un auspicio, che è anche un suggerimento (sempre che l'autore voglia ascoltarmi…): perché non pensare a questo come alla prima di una serie di avventure del detective Catalfamo? Certo, sarà meno affascinante di Montalbano e meno ironico di Poirot, non avrà la flemma di Sherlock Holmes o il fiuto “gastronomico” di Maigret, ma ci sta davvero simpatico; quanto ad umanità, infatti, non è secondo a nessuno.

Mauro Reali


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  18 giugno 2007