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Via Vittorio Emanuele e San Maurizio
I luoghi della tragica vicenda della Monaca di Monza



via Vittorio Emanuele - 1904

Via Vittorio Emanuele una volta si chiamava via d'Arena ma, come risulta dalle mappe, ha mantenuto l'andamento planimetrico che appare nel '700.
La cartolina ne mostra una bella e vissuta prospettiva. In fondo il Ponte dei Leoni, che aveva sostituito l'antico ponte romano d'Arena (si veda la cartolina) e ancora più in là, il “ traguardo” della facciata dell'Arengario. Prospettiva ottenuta con lo sfondamento e ricostruzione del quartiere per la realizzazione della Ferdinandea.
La cartolina, spedita nell' aprile del 1904 dal sign. Albertini al rag. Alfredo, in Val Seriana,  è presa dove la strada si allargava a piazzetta davanti alla Chiesa di San Maurizio, che stava, ancora venti anni prima, alle spalle del fotografo.
Un signore con le mani in tasca e l'immancabile cappello passeggia spavaldo in mezzo alla strada e dietro di lui gente e carri ci raccontano la vita di tutti i giorni in città.
San Maurizio, una splendida chiesa del ' 400 dalla facciata gotico-lombarda, purtroppo fu distrutta per lasciare posto ad un palazzo liberty che allora al piano terra ospitava una banca.

San Maurizio

Dice Dante Fossati, nella didascalia della fotografia che mostro (tratta da Vecchia Monza edizione del 1991): “La demolizione di questa chiesa, gioiello architettonico del sec. XV, venne approvata dal Consiglio Comunale per allargare la Via Vittorio Emanuele”. Forse questa era la giustificazione per una decisione “vandalica” dato che non è vera. Infatti la chiesa era esterna al tracciato stradale e poteva essere mantenuta. Il problema era un altro. Lì doveva sorgere, per i tempi, un grande ed alto edificio di molti piani. Uno dei più alti per la città di allora. La nuova facciata sostituiva quella monumentale e storica delle chiesa e forse per questo appare particolarmente decorata ed elaborata a formare un nuovo fondale visivo sin dall'Arengario.
Fu un evidente interesse immobiliare che portò alla demolizione e non certo un problema di funzionalità urbanistica. Non era la prima volta e neppure l'ultima.

via Vittorio Emanuele

La seconda cartolina mostra chiaramente “il traguardo” visivo che dall' Arengario si ha verso San Maurizio o meglio verso il nuovo palazzo. Questa cartolina, di qualche decennio dopo la precedente, mostra sempre una strada vissuta. Di fianco compare una automobile del tempo, ferma all'Arengario o, come appare anche in altre cartoline, “in  mostra”. Una grande tenda protegge i tavolini e l'ingresso del ber ristorante e si intravedono vasi con piante a delimitarne lo spazio esterno. Come oggi di fronte alla pasticceria sul largo marciapiede.

acquaforte 1850

La stampa (Acquaforte di Cherbuin) tratta da un dipinto dell'Inganni (Veduta della Contrada Nuova in Monza), sempre presa da sotto il portico dell'Arengario, è del 1850 (tratta da Monza nelle sue Stampe edizione Pro Monza 1985). Da poco è stata realizzata la Ferdinandea, con lo sventramento del quartiere, e in fondo al nuovo “cannocchiale, si vede la chiesa di San Maurizio ed il suo campanile. Pochi anni dopo, nel 1884 la chiesa verrà abbattuta.
Ma forse vi è anche una ragione più lontana nel “desiderio” di demolire questo monumento raro e prezioso, dato che questa chiesa portava tristi memorie legate alla tragedia della Monaca di Monza. Infatti vicino vi era il monastero di Santa Margherita di cui era badessa suor Virginia Maria De Leyva e la confinante casa di Giovanni Paolo Osio. Casa tanto vicina che dalle sue finestre l'Osio guardava le giovani suore nel vicino cortile (si veda la mappa nella precedente cartolina del ponte De Gradi).
Sulla piazzetta di San Maurizio, o qualche passo più in là lungo via Arena, sembra vi fosse il negozio dello “speziale” o “aromatario” Rainerio Roncino, ucciso  con una “archibuggiata” da Camillo detto il Rosso, sicario dell'Osio, nella sua farmacia. La farmacia serviva anche il monastero per cui il Roncino era venuto a conoscenza della tresca e ne informava le autorità. Sempre qui, già in precedenza, non si sa se per uccidere o intimorire, lo sgherro aveva sparato al farmacista che però non fu colpito.
Allora il curato della chiesa di San Maurizio era quel don Paolo Arrigone che partecipava a incontri amorosi con suor Candida Colomba nel monastero, che aveva provato anche con suor Virginia ma senza risultato e che, di fatto, era complice di Osio di cui nascondeva e favoriva i comportamenti, anche se non sembrò che avesse  a che fare direttamente coi tre omicidi. L'amicizia e frequentazione erano tali, come appare dagli atti, che una porticina connetteva il giardino dell'Osio a quello del Curato dietro la chiesa di San Maurizio. Se la cavò con una condanna di tre anni a remare su una “triremi” e poi fu bandito da Monza per almeno 15 miglia. A morte gli altri (che erano fuggiti e ricercati) e recluse a vita le suore (poi morte o liberate dopo molti anni, come la de Leyva).
Per brevi notizie sulla Monaca di Monza nel suo tempo vedasi la sua biografia nella "Galleria di personaggi monzesi" a cura di Beppe Colombo e Donatella Mazza su l'Arengario. Per maggiori particolari di questi tragici eventi consiglio “Vita e processo di suor Virginia Maria de Leyva monaca di Monza “, edizione Garzanti anno 1985 , scritto da più autori. Il libro riporta anche gli atti e i verbali di tutti gli interrogatori condotti nel 1608. Ne emerge un quadro inquietante del tempo ma anche la puntuale capacità di indagine poliziesca, di professionalità dei magistrati interroganti, di informazione e controllo su ogni momento di vita degli abitanti, la collaborazione di cittadini con le indagini. La precisione degli stessi verbali, del linguaggio che nulla nasconde di sesso e di crimine. Nei verbali compaiono anche i nomi di strade e contrade di Monza e di Brianza dove avvengono i fatti . Riprenderemo questa tragica vicenda forse con altra cartolina. Le sentenze terribili nei particolari e nelle proposte di tortura prima della morte (per Osio: “ …è condannato alla forca ed alla confisca dei beni….. se detto Osio dovesse cadere nelle mani della Giustizia, lo si conduca sopra un carro davanti al Monastero della Città di Monza e lì gli si tagli la mano destra; sia poi condotto, sopra lo steso carro, al luogo della esecuzione della sentenza e intanto sia torturato con delle tenaglie incandescenti; infine sia appeso alla forca, così che muoia; e il suo cadavere sia tagliato a pezzi e questi siano quindi appesi nei luoghi dove sono stati commessi i delitti, fuori tuttavia della stessa Città.”
Per ora anche un pezzettino di testimonianza di Domenico Ferrari (a servizio come fattore nel monastero): “…mi fermai a quella pietra che è dinanzi la chiesa di s. Maurizio che era notte et mi passò di dietro un servitore del detto Gio.Paolo Osio con un archibuggio da fuoco in spalla la quale si dice il Rosso, et poco innnanzi era stata tirata la archibuggiata a Rainiero… et detto Rosso andava alla volta della casa dell''Osio.”  

Alfredo Viganò


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  12 marzo 2006