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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

Tra i tanti problemi che l'Europa si trova oggi di fronte, il riemergere di movimenti di ispirazione fascista e o nazista sarebbe un grave errore ritenerlo un fenomeno marginale. Se era prevedibile che tra gli effetti della grande crisi economica mondiale di questi anni, accompagnata dall'imponente fenomeno delle migrazioni, vi fosse anche la deriva populista, xenofoba e razzista, le politiche fin qui adottate per contrastarla, in gran parte hanno contribuito ad ampliare il consenso verso chi con demagogia e spregiudicatezza sfrutta il disagio sociale per i propri scopi e fini politici.
Sul neofascismo - 2


Per comprendere quale sia l'impatto che può avere con la realtà del nostro tempo il mito, intrecciato alla “confusione ideologica” che citavamo nella precedente puntata e che spesso avvolge il tema del fascismo, occorre tornare alla “vita di strada” di pasoliniana memoria.


Le strade ad esempio di un quartiere popolare di una cittadina industriale, il villaggio Antonio Gramsci di Pontedera (Pi), percorse quotidianamente da Marco che pur sapendo quanto complessa sia la realtà del suo quartiere, ritiene che il peso del disagio in questi anni sia da attribuire alle sempre maggiori sperequazioni sociali e alla presenza di un'immigrazione spesso abbandonata a se stessa se non incontrollata: “Questa secondo me è la causa principe delle recrudescenze fasciste: la sensazione di esser stati traditi, svenduti, di non essere stati difesi dall'estraneo, dallo straniero.” Secondo Marco sono stati i piccoli concreti problemi di convivenza a “... essere stati sottovalutati talmente tanto dalle varie sinistre che oramai queste vincono solo negli opulenti centri cittadini, mentre nelle periferie le destre veleggiano. E dalle destre ai fascisti il passo è breve ... Chi oggi mitizza Mussolini credo lo faccia perché non sa più a che santo votarsi (e perché a scuola non è stato così attento, evidentemente) ma non mi stupisco. C'è un grande bisogno di sinistra sociale: in mancanza di questa molte persone preferiscono il socialismo di destra al liberismo.” (La Repubblica del 23/7/17 “Ecco perché diventiamo fascisti”).


Concetti che sintetizza in modo breve ed efficace la scrittrice Michela Murgia nel suo “Piccolo discorso sul fascismo che siamo”, pubblicato su facebook il 21 agosto 2017. Rivolgendosi a un giovane di vent'anni si assume la colpa di non avergli spiegato prima che: “ … il fascismo non è il contrario del comunismo, ma della democrazia. Dovevo dirtelo prima che il fascismo non è un'ideologia, ma un metodo che può applicarsi a qualunque ideologia, nessuna esclusa, e cambiarne dall'interno la natura. Mussolini era socialista e forse non te l'ho spiegato mai. Ho dimenticato di dirti che si intestava le istanze dei poveri e dei diseredati. Ho omesso di raccontarti che i suoi editoriali erano zeppi di parole d'ordine della sinistra, parole come “lavoratori” e “proletariato”. Non ti ho insegnato che un socialismo che pretende di realizzarsi con metodo fascista è un fascismo, perché nelle questioni politiche la forma è sempre sostanza e il come determina anche il cosa. Per questo il fascismo agisce anche nei sistemi che si richiamano a valori di sinistra e anzi è lì che fa i danni più grandi, perché non c'è niente di più difficile del riconoscere che l'avversario è seduto a tavola con te e ti chiama compagno. Dire che il fascismo è un'opinione politica è come dire che la mafia è un'opinione politica; invece, proprio come la mafia, il fascismo non è di destra né di sinistra: il suo obiettivo è la sostituzione stessa dello stato democratico ed è la ragione per cui ogni stato democratico dovrebbe combatterli entrambi - mafia e fascismo - senza alcun cedimento.”


Marcello Veneziani, giornalista e saggista, alla domanda “Cosa pensa di un giovane che oggi si definisce fascista?” risponde:Cerco di capire meglio in che senso si definisce fascista. Se lo fa perché si è appassionato di un'immagine, un'icona, un poster, una fiction, o deve il suo fascismo a uno slogan, magari allo stadio, non lo prendo sul serio. Se invece lo fa perché non si accontenta di come gli hanno raccontato la storia, per ribellarsi al conformismo, per rimarcare la sua rivolta dal nostro tempo, e vuol saperne di più, posso capire e anzi non nascondo che mi può fare pure simpatia. In ogni caso gli direi di coltivare il suo diverso giudizio storico sul fascismo leggendo, pensando, ascoltando, ma di non spenderlo sul piano politico, perché il fascismo è un'esperienza del passato, irrimediabilmente trascorsa e irripetibile. E lo esorterei a vedere tutto del fascismo e non solo una parte, a capire la tragedia e a coglierne i trionfi, a vedere gli errori e insieme il consenso, le grandi opere realizzate e gli odiosi soprusi fatti in suo nome. Storicizzare il fascismo, anziché patirlo fanaticamente, come una passione presente. Come fanno gli antifascisti di riporto.” Rimane il fatto che per una fetta consistente di italiani il fascismo è percepito come un pericolo. Alla domanda: “Secondo lei oggi quanto è diffuso il fascismo in Italia?” L'11% risponde molto, il 35% abbastanza, il 40% poco, l'8% per niente, il 6% non sa o non risponde. Se è scontata l'alta percentuale tra gli elettori di centro-sinistra fra quanti percepiscono tale pericolo, è interessante notare come tale percentuale sia alta, il 60%, anche fra gli studenti (La Repubblica del 9 dicembre 2017). Questo almeno fino a ieri, visto che circa un anno dopo più recenti sondaggi ci invitano alla cautela rilevando il sopravanzare di quella tentazione antica dell'”uomo forte”, che pare irretire sei italiani su dieci (La Repubblica del 28 gennaio 2019). Tutto ciò si sposa con quel vissuto di abbandono e fragilità denunciati da Marco nel quartiere popolare di Pontedera e propri del vissuto quotidiano delle centinaia di periferie urbane dimenticate e invisibili, descritte puntualmente nell'interessante libro “Ghetti. L'Italia degli invisibili: la trincea della nuova guerra civile” del giornalista Goffredo Buccini (ed. Solferino, gennaio 2019).


Tentazione antica, quella dell'”uomo forte”, che, come ci ricorda Corrado Augias (La Repubblica del 30 gennaio 2019) affonda le sue solide radici fin dall'antichità, basti leggere quanto scriveva a proposito M.T. Cicerone nel De re pubblica: “In tempo di pace e nella tranquillità, ci si può lasciare andare finchè niente si teme – come in una nave e spesso anche in una malattia lieve. Ma come chi naviga, appena le onde cominciano a sollevarsi, e chi è malato, appena la malattia si aggrava, implora l'aiuto di uno solo, così il nostro popolo quando è in pace e in patria dà ordini agli stessi magistrati, li minaccia, si oppone, accusa, si appella ai tribuni; in guerra invece obbedisce come ad un re, poiché ha più forza la salvezza dello Stato della propria licenza. E in guerre più gravi i nostri antenati vollero che ogni suprema autorità fosse ogni volta nelle mani di uno solo, anche senza collega, il cui stesso titolo indica la natura del suo potere. Infatti si chiama “dittatore” perché “viene detto”, ma nei nostri libri ha il nome di maestro del popolo”. Occorre quindi porre attenzione a quanto breve possa essere il passo nel concedere il proprio destino nelle mani di un dittatore. Madeleine Albright, segretario di Stato americano dal 1997 al 2001, nel suo recente libro “Fascismo. Un avvertimento” (edizioni chiare lettere , gennaio 2019) descrive in quale clima nacquero fascismo e nazismo: “Uomini e donne che avevano smesso di credere in un cambiamento politico all'improvviso si sentirono dare le risposte che tanto agognavano. Erano entusiasti di affrontare lunghe distanze pur di prendere parte a raduni dove venivano a contatto con spiriti affini ansiosi di dare grandezza alla nazione, restituire valori tradizionali alla comunità e fiducia nel futuro. In quella crociata trovavano spiegazioni ragionevoli riguardo alle travolgenti dinamiche del presente.


Interrogandosi sulla capacità degli Stati Uniti di mantenere la loro leadership internazionale sotto la guida dell'attuale presidente Donald Trump, l'autrice sottolinea un'importante caratteristica del fascismo: “ … se la natura teme il vuoto, il fascismo invece non aspetta altro.” e, in quanto ex diplomatica, predilige i fatti alle definizioni astratte: “ … il fascista è qualcuno che si identifica fortemente con una nazione o un gruppo e pretende di farsene portavoce, si disinteressa dei diritti della gente ed è disposto a usare ogni mezzo, compresa la violenza, per raggiungere i suoi scopi.” Ogni mezzo come le bugie per le quali vale la formula sempiterna “ … basta ripetere abbastanza spesso una bugia perché suoni vera o perlomeno plausibile.”
Difatti pensare al nazifascismo focalizzandosi solo sugli orrori della seconda guerra mondiale sarebbe un esercizio limitativo e incompleto. Si rischierebbe di dimenticare o di sottovalutare i processi storici e politici che permisero ad entrambi i regimi di affermarsi e con essi, i cambiamenti culturali che permisero a ideologie razziste e xenofobe di mettere radici e diffondersi nelle società di appartenenza. W.S. Allen nel suo libro “Come si diventa nazisti” (ed. Einaudi) pubblicato nel 1965, ricostruisce ciò che avviene in una piccola città della Germania durante gli anni della Repubblica di Weimar e nei primi anni del Terzo Reich. C.R. Browning nel 1992 pubblica “Uomini comuni” (ed. Einaudi) in cui ci racconta l'ordinaria crudeltà nazista di un battaglione di polizia tedesca, all'epoca in Polonia, composto da operai, impiegati, commercianti, artigiani appena arruolati, introducendoci: “... alla violenza introiettata da persone normali (non criminali delle SS) le quali hanno spiegato le loro efferatezze con l'argomento che allora apparivano necessarie e giuste, addirittura “consolanti per la coscienza”. Quegli uomini non erano nati violenti: lo sono diventati. Le loro testimonianze ci dicono molto di più di quel che ci raccontano i crimini commessi.” Entrambi i libri danno la misura tangibile di quanto flebile sia il confine tra l'orrore e l'umanità, tra il bisogno di sicurezza e il desiderio di libertà, tra il discredito della politica e della democrazia e la dittatura, tra la distruzione dei corpi intermedi della società e la tirannia, tra il disprezzo della cosa pubblica e il prevalere degli interessi di pochi, tra il sentimento di fragilità e insicurezza e il culto della personalità e dell'uomo solo al comando. Per Madeleine Albright le forze che hanno nutrito il fascismo sono state: l'avversità economica, le ambizioni e i pregiudizi. Temi alquanto attuali a pensarci bene sia pur presenti sotto nuove forme.


Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2



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  25 aprile 2019