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Politica
L'umanità al tempo del coronavirus
Umberto De Pace


Parlamento

Politica: “Scienza e arte di governare lo Stato …” così sintetizza il vocabolario. Una scienza che per adempiere al proprio compito dovrebbe fare proprio il sapere, le conoscenze e le esperienze delle altre scienze, traducendoli con consapevolezza e cognizione di causa in atti politici e amministrativi per il governo dello Stato. Un'arte che grazie ad accorgimenti tecnici e al suo fondamento sullo studio e sull'esperienza, dovrebbe provvedere a garantire il benessere e lo sviluppo della società. Una scienza e un'arte deputata non solo a governare il presente ma con il grande compito di pensare e ideare il futuro.

La politica al “tempo del coronavirus” ha fallito, è sotto gli occhi di tutti, ma non ci si può nascondere che il suo fallimento data da ben prima della odierna pandemia. La contingenza come abbiamo visto ci riporta alle vicissitudini di manzoniana memoria, col che si potrebbe attribuire al fato e all'umano errare il rovinoso impatto della nostra società con l'emergenza sanitaria in corso. Ma se vogliamo, anzi dobbiamo, “curare” e ricostruire la nostra comunità, partendo dal dolore patito, dalle perdite subite, dalle ferite ancora aperte, non possiamo non dare risposta alla domanda: come e perché tutto ciò è stato possibile?

Le risposte sono varie e complesse e non tutte riguardano aspetti tecnici o organizzativi, né possiamo basarci solo sulle competenze o sulle intelligenze dei singoli le quali, pur non mancando, troppo spesso mettono a dura prova il semplice buon senso. Ma non serve denigrare i politici, come sarebbe ancor più assurdo demonizzare la politica. Purtroppo molte delle persone impegnate in politica, le quali svolgono il loro compito con professionalità e competenza, vedono il loro contributo penalizzato, difficile da percepire, indistinto nel grigiore di quell'onda lunga che da troppo tempo sta portando alla deriva la politica stessa.
Mi riferisco a quel risiko continuo e malcelato che sperpera e sciupa forze in sterili contrasti e contrapposizioni su poco più del nulla, rispetto al compito immane che dovrebbe affrontare. Parlo di quella politica che affonda le proprie mani nelle viscere dell'umanità che dovrebbe guidare e affrancare dai bisogni e dalle sofferenze, per coglierne invece gli umori più reconditi amplificandoli anziché lenirli.
E' la politica dell'apparire, della fugace ricerca di celebrità, avida di sondaggi e armata digitalmente. La politica ostaggio dei personalismi, dei partiti autoreferenziali, dei vanesi a buon mercato, dell'incetta di cariche. La politica pavida che assiste all'abbattersi sul pianeta di crisi finanziarie, ecologiche, migratorie, demografiche e, ovviamente, politiche, consegnando il proprio ruolo nelle mani della finanza e dei poteri economici e lasciando crescere a dismisura la disuguaglianza. Una politica che non sa unire né condividere ma sempre pronta a dividersi e polemizzare.

L'Uomo vitruviano

Queste sono le basi (alcune) sulle quali la politica si è trovata a gestire l'emergenza, perciò non poteva andare diversamente, anzi, potremmo aggiungere, pensando ad altri possibili e probabili scenari politici, che poteva andare anche peggio.

Da dove ripartire quindi? A fronte delle scorciatoie sovraniste o autoritarie alle quali la deriva di tutti questi anni conduce inevitabilmente, occorre una rottura. Cogliendo l'occasione di questa crisi epocale, lo spartiacque con il passato dovrebbe essere quello dell'assunzione delle proprie responsabilità da parte della politica, a tutti i suoi livelli, sulla colpevole impreparazione nell'affrontare l'emergenza. Comprendere dove si è sbagliato, spiegarne i risvolti e le dinamiche, assumersi le proprie responsabilità è il primo passo per ridare alla politica dignità e credibilità. E se qualcuno pensa di cavarsela in una contrapposizione di responsabilità tra maggioranza e opposizione non ha capito che è l'insieme della politica ad essere coinvolta.

Contemporaneamente, dato che è già troppo il tempo perduto, la politica deve ritornare al suo insostituibile mestiere che è quello di andare oltre l'emergenza dando forma e sostanza a quei principi costituzionali, semplici quanto insostituibili e fondamentali, senza l'attuazione dei quali una società non può definirsi civile: garantire i diritti inviolabili al singolo e alle formazioni sociali; richiedere a tutti l'adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale; rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l'uguaglianza; promuovere le condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla salute; contribuire ad assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni e tanto altro ancora.
Di ciò è fatta la vita, di queste cose semplici quanto difficili da realizzare. Tutto ciò senza dimenticare che presupposto fondamentale allo sviluppo di una buona politica è la partecipazione ad essa dei cittadini e di tutte le forze sociali. Partecipazione che non si esaurisce nel porre ogni tanto una scheda nelle urne, né tanto meno nel riversare le proprie istanze nel pozzo senza fondo dei social, quanto nel condividere con altri le proprie idee, i propri bisogni, rivendicando i propri diritti e adempiendo ai propri doveri, lottando e scontrandosi se occorre ma su proposte e progetti che abbiano al centro il bene comune.
Ognuno di noi è portato a pensare in primo luogo alle proprie ragioni e ai torti degli altri, è comprensibile, è legittimo, ma c'è qualcosa che viene prima delle parti e che garantisce i presupposti affinché le stesse parti siano legittimate e degne di fiducia nel loro arduo compito di professare la politica.
Se non si affronta tutto ciò alla radice, la sfiducia verso la politica, la disgregazione delle forze sociali, l'atomizzazione della società, gli egoismi e particolarismi diffusi, l'impoverimento materiale e culturale montante, non potranno che alimentare sempre più le diseguaglianze, il disagio, l'insicurezza, dando ulteriore alimento al risentimento e alla rabbia già da troppo tempo ampiamente diffusi.

Umberto De Pace

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  19 maggio 2020