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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

Tra i tanti problemi che l'Europa si trova oggi di fronte, il riemergere di movimenti di ispirazione fascista e o nazista sarebbe un grave errore ritenerlo un fenomeno marginale. Se era prevedibile che tra gli effetti della grande crisi economica mondiale di questi anni, accompagnata dall'imponente fenomeno delle migrazioni, vi fosse anche la deriva populista, xenofoba e razzista, le politiche fin qui adottate per contrastarla, in gran parte hanno contribuito ad ampliare il consenso verso chi con demagogia e spregiudicatezza sfrutta il disagio sociale per i propri scopi e fini politici.
Le radici
dell'estrema destra monzese - 1


Nelle precedenti dodici puntate ho cercato di fornire conoscenze e strumenti per capire e comprendere il fenomeno dell'estrema destra cittadina e il perché del caso monzese. Dopo aver ripercorso i fatti più recenti individuandone i soggetti e le forze coinvolte, ricostruendone la storia, dando un'identità ai suoi protagonisti, tracciando il susseguirsi e la temporalità delle loro azioni, ritengo che si possa avere una visione più chiara e lineare della questione in oggetto. Innanzitutto la ricostruzione dei fatti ci dice che a Monza la forza principale della galassia dell'estrema destra, indiscutibilmente la protagonista, è l'associazione denominata “Lealtà Azione”, la quale apre la sua attività in città nel 2011. Detta associazione raccoglie il testimone del lavoro svolto negli anni precedenti dalle associazioni “Lorien” e Compagnia Militante ma, soprattutto, nasce grazie al fatto che i suoi ispiratori e militanti più attivi provengono da una consolidata esperienza politica e culturale, di lunga data, che trova le sue radici nella comune militanza nel Movimento Sociale Italiano (MSI) e in particolare nella formazione giovanile di detto partito, il Fronte della Gioventù. Un partito che rappresentò con la sua nascita la continuità tra il ventennio fascista e, ancor di più, tra i suoi tragici epigoni avutisi dal 1943 al 1945 con la Repubblica Sociale Italiana e la Repubblica Italiana nata a seguito della sconfitta del nazifascismo.

Gianfranco Fini durante la chiusura del XVIII Congresso del Movimento Sociale Italiano a Fiuggi (Wikipedia)

A partire dalla data del suo scioglimento, avvenuto il 27 gennaio 1995 al congresso nazionale che si tenne a Fiuggi, il MSI lascia definitivamente spazio al nuovo soggetto politico denominato “Alleanza Nazionale”. Non tutti accettarono tale cambiamento e una parte consistente dell'ex partito, sia pur minoritaria, non si rassegnò e non accettò mai la discontinuità con il proprio passato che Gianfranco Fini, ultimo segretario del MSI, riassunse dichiarando: “È giusto chiedere alla destra italiana di affermare senza reticenza che l'antifascismo fu un momento storicamente essenziale per il ritorno dei valori democratici che il fascismo aveva conculcato.” Anche se è opportuno andare cauti e cercare di risalire alle fonti e documentazioni originarie, per non travisare le parole altrui. Come, sempre nel caso di Gianfranco Fini, in parte si è fatto con l'estensione della sua denuncia del “male assoluto”, espressa nei confronti delle leggi razziali durante la sua visita in Israele nel 2003, allo stesso fascismo, cosa che non mi risulta sia stata mai stata espressa dall'interessato. Chi non accettò la svolta del congresso di Fiuggi non lo fece per incapacità di sapersi adattare ai cambiamenti politici e culturali imposti dall'alto, quanto in nome di una propria identità radicata profondamente in quel passato nel quale la Storia è trasformata in mito, i principi e valori del fascismo rappresentano una fede, la ragione lascia il posto a un Credo. Ci troviamo quindi di fronte a persone per le quali la militanza politica è la propria ragione di vita e non uno strumento, fra gli altri, utile per la propria e l'altrui vita. Da tale prospettiva l'uso identitario e distorto della Storia è un elemento essenziale per la propria esistenza. Per rimanere nel nostro ambito cittadino è istruttiva in tal senso la lettura del libro “Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura” scritto, come abbiamo già avuto modo di vedere, da Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo, Paolo Severgnini.


Una dettagliata quanto documentata ricostruzione del brutale omicidio del giovane Sergio Ramelli, militante del Fronte della Gioventù, avvenuta a Milano il 13 marzo 1975 per mano di un gruppo di militanti di Avanguardia Operaia, gruppo della sinistra extraparlamentare dell'epoca. Toccante la testimonianza della madre di Ramelli, interessante la ricostruzione processuale con parte degli atti dell'inchiesta svolta dal giudice Guido Salvini, accompagnata da stralci della stampa dell'epoca. Ma ciò che risalta in modo evidente è la visione e lettura di quel periodo storico da parte degli autori i quali, sia pur a vent'anni da quei tragici fatti, senza alcun spirito critico e privi di qualsiasi dubbio, ripercorrono gli eventi alla luce della propria militanza e visione di parte. La lettura del testo rende anche chiaro quanto l'estremismo politico renda vano il confronto, la discussione, il dibattito e la ricerca, avendo esso come riferimento la propria “Idea” e non la dovuta realtà dei fatti. Non è questa la sede per una analisi approfondita del testo e tanto più di quel periodo storico, basti quindi citare, per comprenderne la cornice ideologica, alcuni brevi passi a partire dall'introduzione: “E c'è solo un'ideologia, nella storia dell'umanità, che è stata capace di obnubilare le menti dei singoli e dei popoli attraverso la predicazione costante dell'odio, della lotta di classe e dell'annientamento fisico del nemico: il comunismo.” Al capitolo cinque apprendiamo come negli '70 vi fu una guerra civile: “...combattuta all'interno di una quotidianità sfacciata, sgusciando tra le leggi di uno stato che aveva tutto il potere e la forza necessari per farla cessare ... se avesse voluto. Come fece, infatti, quando il terrorismo delle Brigate Rosse sfuggì al suo controllo e incominciò a colpire gli uomini del regime. E' il caso qui di citare un pensiero opposto espresso da Pier Paolo Pasolini oggi spesso citato (a sproposito) sul tema fascismo-antifascismo, in un articolo del 10/06/1974 sul Corriere della Sera: “ … se il governo e la polizia l'avessero voluto, essi… “quelli che definiva i “nuovi fascisti”“ … sarebbero scomparsi totalmente dalla scena già dal 1969”. Ma i nostri autori monzesi raggiungono il grottesco nella ricostruzione di quegli anni quando, nel citare “la strage degli innocenti”, con la ricostruzione delle vittime delle stragi di piazza Fontana a Milano, di piazza della Loggia a Brescia fino alla strage alla stazione di Bologna, riescono a non citare nemmeno di striscio qualsiasi sia pur velata responsabilità del terrorismo di destra. Nulla, benché agli autori non manchi il lessico appropriato dato che, poche righe dopo, riescono a formulare precise accuse all'estremismo di sinistra i cui “... variegati gruppi comunisti hanno massacrato niente meno che 149 persone...” mentre “... i morti causati dall'estremismo di destra sono stati invece 26”. Tenuto conto che gli autori dedicano la loro opera in particolare “... quale monito affinché simili fatti non debbano più accadere.” è lecito chiedersi come ciò possa essere possibile grazie al loro contributo se i fatti storici vengono in tal modo mistificati e distorti.


A dimostrazione di ciò le dichiarazioni dello stesso giudice Guido Salvini, ripetutamente citato nel libro sulla morte di Ramelli, riprese da un'intervista riportata nel libro di Luciano Lanza “Bombe e segreti” (ed. elèuthera) la quale ci ricorda come in quegli anni operasse una destra eversiva “... molto attiva e con molte collusioni.” e come, a margine della sua inchiesta sull'omicidio Ramelli si giunse nel 1989, attraverso un vecchio archivio di Avanguardia Operaia, a un “... documento anonimo ma riferibile al gruppo milanese di Ordine Nuovo. il quale permise al magistrato di riaprire l'inchiesta sulla strage di Piazza Fontana. Per Guido Salvini: “Ordine nuovo e Avanguardia nazionale entravano e uscivano dal vecchio Movimento sociale italiano, ne condividevano quantomeno l'ambiente umano ...”. E se questo poteva in qualche modo “sfuggire” ai giovani coautori monzesi del libro, sarebbe offensivo all'intelligenza di Guido Giraudo, imputargliene la misconoscenza.

Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1



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  29 marzo 2019