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PALESTINA E ISRAELE

Palolea: lo spirito d'iniziativa diventa una sfida
Tania Marinoni

foglie di olivo
foglie di olivo

Haitham Kayali è un giovane imprenditore palestinese che da un paio d'anni ha intrapreso un progetto geniale quanto impegnativo. Il suo curriculum era considerato adatto alla carriera accademica, ma un giorno, in Canada, mentre passeggia, nota in un negozio l'estratto delle foglie delle piante di olivo: l'idea di produrlo anche in Palestina si tramuta presto in un obiettivo irrinunciabile. Le proprietà benefiche che tale essenza apporta all'organismo umano sono note da tempo: aiuta a combattere l'osteoporosi, a ridurre il colesterolo e rafforza il sistema immunitario; è un noto anti-virale ed anti-batterico; agisce da antiossidante ed antinfiammatorio. E' infine un valido alleato contro l'alterazione della pressione arteriosa. Le foglie di questa pianta possiedono infatti importanti proprietà fitochimiche che le proteggono dalle patologie e dagli attacchi dei parassiti. Il principio attivo maggiormente interessante per gli effetti benefici per l'uomo è l'oleuropeina, che conferisce alle foglie il tipico sapore amaro, appunto quello che le difende dai parassiti.

Il settore agricolo, in particolare l'olivicolo, è di importanza vitale per la Palestina; la coltivazione degli olivi si diffonde in Medioriente circa 8000 anni fa e le aree dedicate a questa pratica diventano sempre più vaste, tanto che oggi la Palestina è annoverata tra i maggiori produttori di olio di oliva al mondo.


Due anni fa Haitham Kayali, totalmente con capitali della sua famiglia, realizza a Palolea, vicino a Gerico, una fabbrica che ricava l'estratto delle foglie di olivo per ricavarne preparati da destinare alla cura cutanea e per produrre in seguito integratori alimentari in pillole. Il progetto prevede l'assunzione di ventiquattro lavoratori, da impiegare negli uffici amministrativi e nella produzione. Un centinaio di stagionali si dedicherà alla raccolta delle foglie nei mesi da novembre a marzo, unico periodo in cui è possibile svolgere questa attività. Queste, raccolte a mano, vengono lasciate essiccare, poi lavate, compresse ed infine immerse in un solvente alcolico, di cui non resta traccia nel prodotto finale: un estrattore ricava la sostanza lavorando a basse temperature. La fabbrica è un modello di pulizia e sterilità con tutte le pareti ed i pavimenti smaltati di bianco e senza alcun angolo in cui possa rimanere lo sporco, praticamente delle camere bianche.

Haitham Kayali e Luisa Morgantini   Haitham Kayali e Luisa Morgantini
foto di gruppo
foto di gruppo - cliccare per ingrandire

L'ambizioso progetto deve affrontare serie difficoltà, sia per le restrizioni imposte dal governo di Israele, sia a causa di altre, derivanti dalla stessa burocrazia palestinese. Haitham Kayali, come tutti gli altri imprenditori palestinesi, non ha potuto acquistare l'area su cui insiste la fabbrica di produzione, perché il lotto di terra è concesso dalle loro autorità solo in locazione e ad un canone piuttosto elevato. Al momento attuale si è in attesa del benestare delle autorità ad iniziare la produzione; non è stato detto ma è abbastanza evidente, data la corruzione imperante, che per ottenerlo si debbano ungere abbondantemente, è proprio il caso di dirlo, gli ingranaggi.

I costi di trasporto incideranno sulla competitività dei prodotti, comunque molto meno di quanto avvenga per l'olio di oliva. Infatti vi sono serie criticità nella fase di esportazione e in particolare nei movimenti interni. I prodotti non circolano liberamente tra le zone B e C della Cisgiordania, ma sono sottoposti a numerosi controlli ai checkpoint. La merce che vi giunge su camion palestinesi deve essere obbligatoriamente caricata su convogli israeliani: molto spesso questi ultimi si trovano a chilometri di distanza ed impiegano diverse ore per arrivare. Questo tempo è talvolta fatale per l'olio che, esposto ai raggi del sole, deperisce velocemente. Molte partite di olio di oliva presentano poi ai test europei valori al di fuori dal range che le tabelle considerano come accettabile e possono quindi essere impiegate solo nella fabbricazione del sapone.

I prodotti palestinesi in genere faticano ad imporsi sul mercato e, anche quando vi giungono, sono ritenuti dagli israeliani di seconda categoria, come i loro produttori. Quelli dei coloni, invece, raggiungono facilmente i consumatori, spesso del tutto inconsapevoli della loro provenienza. Contro questa disinformazione l'idealista Haitham Kayali ha condotto una determinata campagna di informazione: con altri volontari si è recato di porta in porta a fornire delucidazione circa l'origine dei prodotti sul mercato ed è intervenuto nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi sul tema. E' pur vero che la faccenda delle etichette sulla provenienza delle merci dai territori occupati è una questione aperta, anche in Europa, e i coloni giocano sull'ambiguità e sulla poca chiarezza.

In ogni caso l'opera di Haitham Kayali testimonia che lo spirito di iniziativa rappresenta oggi in Palestina un valido strumento di lotta e una preziosa risorsa per l'affermazione del diritto di un popolo a vivere ed a resistere.

Tania Marinoni

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  29.09.2015