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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

L’affrontare temi della realtà contemporanea, pur in un contesto locale, non ci può esimire dall’approfondirli in un’ottica più ampia: storica, culturale, politica e sociale. Lo studio, l’analisi, la critica, il sano esercizio del saper distinguere e del dare il proprio significato alle parole, il ricostruire i fatti per quello che sono è un esercizio complesso e impegnativo che richiede il suo tempo; un esercizio al quale non si può rinunciare se si vuole tentare, quantomeno, di interpretare al meglio la realtà che ci circonda. Neofascismo, antifascismo e democrazia sono i grandi temi alla base del fenomeno dell’estrema destra monzese e non solo. Avere una maggiore consapevolezza su questi temi ci permetterà di avere una più chiara comprensione del fenomeno che stiamo analizzando.
Sull'antifascismo - 3



Chiudevamo la precedente puntata evidenziando come nella storia repubblicana l'antifascismo fu fin dall'inizio un compromesso instabile e precario, mutevole nel tempo. Senza entrare qui nel merito di tutti i suoi passaggi storici, per i quali si rimanda agli studi citati e ai diversi altri pubblicati negli ultimi decenni, ripercorriamo qui di seguito alcuni fra i passaggi più significativi del suo sviluppo.

Gli scontri in Piazza De Ferrari a Genova 30 giugno 1960

Secondo lo storico Giovanni De Luna uno spartiacque fu l'insurrezione del “luglio'60” a Genova contro il sesto congresso del Movimento Sociale Italiano che si sarebbe dovuto tenere nel capoluogo ligure. In un articolo su il Manifesto del 4/7/2010 dal titolo “Luglio '60. L'insurrezione legale della gioventù del “miracolo” ”, spiega come stesse cambiando un'epoca; si parlava di “miracolo italiano”, di “boom economico”: “ Il mutamento non interessò soltanto la struttura economica ma rimbalzò sulle strutture sociali e demografiche, sull'assetto territoriale, sulle caratteristiche professionali della forza-lavoro, sul funzionamento dei servizi pubblici, sull'organizzazione scolastica e su quella assistenziale. Cambiò anche la politica. Il centrismo degasperiano aveva alle spalle un'Italia sessuofobica, bigotta, contadina; la nuova Italia trovò nel centrosinistra la formula governativa per accettare la sfida di una modernizzazione improvvisa e tumultuosa. Il luglio '60 si inserisce in questa sequenza di eventi, così che Genova con la sua insurrezione contro il Congresso del Msi, Reggio Emilia con i suoi morti sparati dalla polizia (così come Palermo, Licata, Catania), Roma con le cariche dei carabinieri a cavallo a Porta San Paolo, rappresentano oggi nitidamente i luoghi in cui la «grande trasformazione» che aveva investito la struttura profonda del nostro paese si manifestò nelle forme più esplicite del conflitto ideologico e della partecipazione politica.”

Il corpo di Lauro Farioli una delle cinque vittime
della strage di Reggio Emilia del 7 luglio 1960

Senza il “boom economico” non ci sarebbe stata la rivolta, ma la vera novità furono i suoi protagonisti, quei giovani che si pensava per lo più fossero orientati verso i valori della destra: “Tutti gli osservatori furono allora colpiti proprio da questo tratto della rivolta: «Non sono soltanto i figli che ripetono fedelmente e riprendono la tradizione lasciata dai padri – notava Carlo Levi - sono questi giovani degli uomini autonomi, con caratteri nuovi, differenziati, diversi, sono i ragazzi di Palermo, sono gli operai e gli studenti di Genova, sono i giovani di ogni parte d'Italia che danno un senso nuovo alla lotta sindacale, che affermano la necessità e il diritto dello sciopero politico, sono i giovani senza ricordi di servitù con la volontà di essere uomini». Il luglio '60 cambiò la storia d'Italia almeno fino al 1992-1994. Fino ad allora, dal 1948 in poi, era stato l'anticomunismo il valore di riferimento della leadership politica del paese. La Costituzione era stata congelata. Codici, leggi, comportamenti politici erano ancora quelli dettati dal fascismo. Era la continuità dello stato che si rifletteva negli organigrammi delle forze dell'ordine, della magistratura, del blocco del potere economico.”

Secondo lo storico il paese che si stava trasformando economicamente, culturalmente e socialmente: “ … si riconobbe allora pienamente e compiutamente nell'antifascismo. Tra gli antifascisti, Piero Caleffi parlò allora a proposito di Genova di «insurrezione legale». Era un ossimoro, ma oggi segnala quella che fu allora una percezione diffusa. Venti anni di fascismo avevano introdotto i germi di due fenomeni difficili da smaltire: la violenza era stata utilizzata vittoriosamente per prendere il potere e distruggere le istituzioni dello Stato liberale; l'unica forma di opposizione politica possibile era quella legata alla clandestinità e illegalità. Sviluppatosi contro la dittatura, l'antifascismo era nato nell'illegalità e nell'illegalità aveva trovato l'unico possibile antidoto all'oppressione, approdando alla concezione di una legalità fondata sui principi morali e contro le leggi dello Stato. Questa legalità superiore era diventata legalità tout court con la Carta Costituzionale che vietava la ricostituzione del partito fascista. Gli insorti di Genova si percepirono dentro quella legalità costituzionale e infransero le leggi con la coscienza di chi sa che quella disobbedienza è alimentata dai succhi della democrazia e della lotta per la libertà. Era tutto molto chiaro: «Da una parte – come scriveva allora Francesco Fancello – esiste un categorico divieto della nostra carta costituzionale alla ricostituzione del partito fascista….dall'altra parte l'aspetto giuridico formale del problema è soverchiato da quello derivante dalla carica morale-politica che ha trascinato tanti italiani nel campo dei fuorilegge…durante il tempo del fascismo dominante». Quel tempo era allora vicino, ancora troppo vicino.”

Per Alberto De Bernardi: ”La mobilitazione del luglio 1960 contro il governo Tambroni rappresenta in maniera emblematica l'esito dei dilemmi irrisolti dell'anticomunismo: dalle piazze, dalla mobilitazione delle giovani generazioni emerse con chiarezza la convinzione che l'antifascismo fosse ancora una risorsa fondamentale per impedire che la saldatura tra anticomunismo, “antiantifascismo” e neofascismo costituisse l'esito della crisi del centrismo e pregiudicasse definitivamente la costruzione di una democrazia moderna. La mobilitazione civile stava inoltre a a dimostrare che, nonostante politiche della memoria orientate all'oblio, in Italia erano vigili molti “comitati contro il sonno” come Pasolini avrebbe chiamato l'impegno dei giovani, pronti a difendere la Repubblica “nata dalla resistenza”. A partire da quegli anni, secondo lo storico Alberto De Bernardi, il sistema politico italiano iniziò un percorso di cambiamento con un salto di qualità che tolse: “ ... ossigeno alla narrazione comunista della “Resistenza tradita”, ma anche a quella cattolica della nazione cristiana, riuscendo a innescare un processo virtuoso di superamento delle “appartenenze separate” che dividevano il popolo italiano, capace di favorire, come ha sostenuto Pietro Scoppola, l'affermazione di una “cittadinanza comune” democratica, fondata sulla condivisione di un assunto irrinunciabile: l'anticomunismo da solo non bastava a definire la natura e i caratteri della democrazia e le minacce alla sua stabilità e al suo pieno dispiegamento dipendevano anche dai conti mancati con il totalitarismo di destra; era quindi indispensabile rendere molto più salda la discriminante antifascista, soprattutto nei paesi, l'Italia e la Germania, che avevano dato vita al fascismo.”

(fonte internet agorapisa.it)

Ma lo sviluppo della storia non è mai lineare e ancora una volta nei modi e nelle forme in cui si esprime l'antifascismo nel nostro paese, si inseriscono nuove dinamiche che porteranno all'affermarsi dell'”antifascismo militante” che sarà uno dei tratti caratterizzanti i movimenti di protesta e rivolta a partire dalla fine degli anni sessanta fino agli anni ottanta. Secondo lo storico Emilio Gentile il fenomeno del “nuovo antifascismo militante”, viene generato dal: “… “fascismo stragista” dei giovani militanti neofascisti, artefici di ripetuti attentati terroristici contro lo Stato democratico.” Un fenomeno che degenera successivamente fra i giovani più fanatici e trova la sua espressione compiuta nello slogan: “Uccidere un fascista non è reato”.

Ricorda Emilio Gentile: “Quando, nel marzo 1975, un giovane militante neofascista (ndr: Sergio Ramelli) fu massacrato a morte da un gruppo di antifascisti, lo scrittore radicale Leonardo Sciascia osservò che erano moltissimi i giovani che “non hanno nessuna voglia né di pensare né di conoscere. Questi sono una massa di cui bisogna tenere molto conto perché quel fascismo che si chiamerà antifascismo, in gran parte contribuiranno loro a farlo”.

Non la pensa così il giudice istruttore Guido Salvini, che insieme al collega Grigio, nella loro ordinanza di rinvio a giudizio degli imputati per l'omicidio di Sergio Ramelli, afferma: “Qualcuno cercherà certamente di nobilitare la campagna dell'”antifascismo militante” sostenendo che si trattava di una risposta a ricorrenti stragi “fasciste”. Si tratta evidentemente di una tesi priva di senso e ciò per due ordini di motivi: in primo luogo la risposta a un terrorismo clandestino di estrema destra (come sarà poi per quello di estrema sinistra) esisteva già nel Paese grazie alle mobilitazioni dei partiti antifascisti e dei sindacati nell'ambito dei quali si esortava anche ad un maggior impegno gli apparati istituzionali, ma senza che in tali iniziative si verificasse anche il minimo episodio di violenza. In secondo luogo non era certo la caccia all'uomo scatenata a Milano in quegli anni contro qualsiasi studente simpatizzante per la destra o qualsiasi rappresentante di forze di destra negli organi elettivi (dal Comune al Consiglio di Zona) o in qualsiasi altra situazione a poter incidere minimamente su strutture sotterranee e clandestine.” Almeno questo è quanto riportato virgolettato sul libro “Sergio Ramelli. Una storia che fa ancora paura” dei monzesi Giraudo, Arbizzoni, Buttini, Grillo Severgnini. Ma a dimostrazione che la storia è molto più complessa basti citare lo stesso Guido Salvini quando afferma in un intervista che: “ … piazza Fontana e le altre stragi con il loro fondo di irrazionalità sono certo non la causa ma almeno una forte concausa del passaggio delle organizzazioni armate di sinistra da azioni dimostrative al terrorismo perché, dinanzi alle stragi impunite, salta psicologicamente in molti giovani ogni remora a usare la violenza estrema. E' come se si pensasse: se lo Stato protegge gli autori delle stragi allora la mia violenza cessa di essere moralmente illegittima.” (Luciano Lanza “Bombe e segreti”, ed. elèuthera, ottobre 2009).

Umberto De Pace



GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2
16 - Sul neofascismo - 3
17 - Sul neofascismo - 4
18 - Sull'antifascismo - 1
19 - Sull'antifascismo - 2
- Sull'antifascismo - 3



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  19 giugno 2019