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RIFLESSIONI
Le parole della politica:
diritti, libertà, responsabilità, potere decisionale
Umberto Puccio


Uno dei tanti effetti del Covid è quello di far emergere la possibilità di conflitto (o di insufficiente definizione del loro rapporto) tra i seguenti elementi: diritti, libertà, responsabilità, potere decisionale. Mi riferisco alla sterile polemica sollevata nei giorni scorsi dai sindaci nei confronti dell'attribuzione a loro da parte del presidente del Consiglio (con relativo DPCM) del potere di applicare e far rispettare le norme restrittive anti-Covid contenute nel Decreto.

A parte il supposto "sgarbo" di non essere stati preventivamente informati degli specifici contenuti di tale decreto; e a parte il successivo sgonfiamento di tale sterile polemica con la distinzione tra potere di applicare (dei sindaci) e di far rispettare (dei prefetti e della polizia) e con l'esortazione a "collaborare" tra di loro, alcune riflessioni vanno fatte sull'episodio.

La prima, e più ovvia, è che in una corretta struttura istituzionale democratica tale esortazione risulterebbe del tutto pleonastica (o immiserita in un retorico "siamo tutti sulla stessa barca").
La seconda, e più significativa, è la constatazione non tanto della complessità, quanto della conflittualità paralizzante dell' architettura istituzionale dello Stato italiano, così come si è configurata dal 1861 ad oggi. L' unificazione italiana ha visto la sconfitta della prospettiva democratico-repubblicana (nella versione UNITARIA di Mazzini e in quella FEDERALISTICA di Cattaneo e Ferrari). Non è avvenuta dal basso, con una sollevazione del popolo (pur tra le differenti connotazioni di questa categoria tra Mazzini, Cattaneo, Ferrari e lo stesso Pisacane), come era in parte avvenuto nel biennio "rivoluzionario" 1848-49. E' avvenuta per successive ANNESSIONI  allo Stato Sabaudo e con l' imposizione dall'alto di un' unica e uniforme architettura istituzionale: quella mutuata dallo Stato napoleonico francese. Un potere centrale accentratore, moltiplicantesi e riproducentesi a livello periferico in province e prefetture. Il prefetto dipende dal governo centrale e attua, nei confronti delle più piccole aggregazioni costituenti la dimensione provinciale (i comuni), la stessa dinamica accentratrice del potere: dall' alto al basso; dal più grande al più piccolo.

La Costituzione repubblicana del 1948 ha ereditato l'ossatura centralistica precedente, ma ha inserito elementi di autonomia locale e previsto l'introduzione di una nuova istituzione intermedia tra centro e province: le regioni. Nel 1974 le regioni sono diventate una realtà. La recente modifica dell'art. V della Costituzione, (il cosiddetto "federalismo fiscale") ha aumentato il potere dei comuni, L'abolizione delle province, SENZA LA REDISTRIBUZIONE DELLE COMPETENZE tra i vari livelli (Stato, regioni, comuni), ha completato  l'attuale guazzabuglio istituzionale. Risultato: conflittualità permanente e paralisi decisionale. E accentuarsi del meccanismo dello scaricabarile, del rimpallo delle responsabilità tra governo, presidenti delle regioni (definiti erroneamente Governatori) e sindaci. regioni e comuni sono diventati dei più o meno piccoli stati in conflitto tra loro e con lo stato centrale. Tipico è il caso del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) le cui sentenze costituiscono un fattore fortemente ritardante, se non annullante, degli effetti delle sentenze dei Tribunali, rendendo estremamente lento e farraginoso il corso della giustizia.

Ad aggravare la confusione istituzionale, si aggiungono l' ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) e la Conferenza delle regioni, che, pur non essendo organi istituzionali previsti nella Costituzione, svolgono tramite i loro presidenti un ruolo politico sempre più "pesante" nei confronti del potere decisionale del governo sul terreno che dovrebbe essere di competenza di quest' ultimo. Il termine "associazione" è improprio e ambiguo: i comuni e le regioni non sono espressioni della società civile, come i sindacati e Confindustria (e qualsiasi altra associazione).

Rimane un terzo livello di riflessione: quello, più generale, dell'analisi semantico-lessicale dei quattro  termini (diritti, libertà, responsabilità, potere decisionale) e del loro rapporto. Non sfuggirà il fatto che questi termini sono in bocca di tutti: rivendicati come proprietà esclusiva e escludente, usati come arma di difesa e/o di offesa.

La  "Dichiarazione dei diritti dell'uomo"  della Rivoluzione Americana e della Rivoluzione Francese è alla base delle moderne costituzioni dei paesi occidentali e ha assunto un carattere di universalità nella più recente Dichiarazione Universale dei Diritti dell' Uomo dell' ONU.

Il soggetto dei diritti è l' uomo (o l' essere umano) nella sua astratta generalità. Questo carattere ne garantisce l' universalità e costiuisce la fonte e l' assioma fondante di tutti i diritti. Ma ciò sottintende che il soggetto, se non esclusivo, tuttavia prevalente, dei diritti sia l' individuo. Non è così nella tradizione culturale cinese (e, in genere, dell'Estremo Oriente), in cui  cambia il soggetto dei diritti: non l'individuo, bensì la collettività.  Con questa differenza si è spiegata la maggior efficacia della risposta cinese (o sud-coreana, o giapponese) alla pandemia del Covid-19. Ma non si è andati oltre alla constatazione. Non si è riflettuto sul fatto che l' insufficienza della risposta nei paesi europei (e, in genere, in tutti quelli che adottano costituzioni di stampo "occidentale") scaturisce da una concezione assoluta sia dei diritti, sia della libertà, sia dello stesso Individuo come soggetto unico ed escludente.


Gli episodi di "rivolta" alle restrizioni anti-Covid attuate o annunciate, verificatisi in questi ultimi giorni a Napoli e Roma (e che è riduttivo attribuire all'estremismo politico o alla Camorra) al grido di "libertà", attestano:
1) che si continua ad attribuire a chi è ai vari livelli del potere decisionale la responsabilità dell'attuale situazione, senza riflettere che essa è in (uguale, se non maggior) parte attribuibile alla responsabilità individuale di ciascuno di noi;

2) che il Covid-19 ci ha fatto cozzare con la dura realtà del limite (dei nostri diritti, delle nostre libertà individuali) e che, se ci ostiniamo a cozzare contro tale muro, ne va della sussistenza non solo dei singoli individui, ma dell' intera umanità;

3) che il Covid-19 ci impone quella che non esito a definire rivoluzione antropologico-culturale: occorre cambiare, a livello non solo concettuale, ma anche e soprattutto di interiorizzazione e di conseguenti comportamenti concreti, il paradigma: nei confronti sia dell' ambiente, sia dell'economia, sia dei rapporti interpersonali. Insomma: concepire il limite non come una negazione, bensì come una condizione necessaria perché i nostri diritti e le nostre libertà si concretizzino. Solo così i richiami alla collaborazione non rimarranno parole al vento e pura retorica.
Altrimenti, qualsiasi restrizione, più o meno dura e basata unicamente sulla paura di un nuovo Lookdown, cadrà nel vuoto e non avrà gli effetti desiderati.
Per usare una metafora natatoria, un nuotatore esperto e accorto, quando vede allontanarsi la riva, sa che non deve lasciarsi prendere dal panico e aumentare affannosamente il ritmo della bracciata, ma che deve cambiare lo stile di nuoto e procedere lentamente. Già nel 1995 Milan Kundera, nel suo libro "La lentezza", prospettava la necessità di sottrarsi alla tirannia della sempre più frenetica velocizzazione della vita e del tempo. Il che significa sottrarsi al diktat dell' assioma, attribuito a Beniamino Franklin, "Il tempo è denaro". Assioma che racchiude il nocciolo della logica del profitto capitalistico: produrre sempre di più in sempre minor tempo. Oggi c'è la pandemia a ricordarcelo.

4) che il rapporto tra responsabilità, potere decisionale e competenze  va  calibrato in ordine di grandezza ascendente: dal più, piccolo (l'individuo) al più grande (il Pianeta),passando da tutti i livelli intermedi. Questa è la logica politico-istituzionale del Federalismo. Ancor oggi, invece, non riusciamo a sottrarci dalla logica deresponsabilizzante di delegare al Capo la responsabilità di azioni (e/o omissioni) che sono di nostra competenza in quanto individui. Questa logica è alla base della trasformazione della democrazia in dittatura. E corrisponde all' etica del sacrificio (del capro espiatorio). Sintomatico è l'uso del termine "sacrifici" nel discorso con cui il presidente del Consiglio Conte illustrava l'ultimo DPCM. Non è una questione unicamente lessicale sostituire al termine "sacrifici" il termine "rinunce".
Ma il rapporto tra "etica del sacrificio" ed "etica della rinuncia" necessita di un' ulteriore e più approfondita riflessione (a cui rimando).

Umberto Puccio

RIFLESSIONI
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  8 – Identità e diversità 2
  9 – Igiene lessicale
10 – Democrazia
11 – Anniversari
12 – Tifosi d'Italia, l'Italia s'è desta
13 – Popolo!
14 – Né patria, né matria, “FRATR ÍA”
15 – L'ipocrita polemica sulle “fake news”
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29 – Le parole della politica: semplificazione, macchina burocratica, statalismo
31 – L'insegnamento della Pandemia
32 – Le parole della politica: diritti, libertà, responsabilità, potere decisionale


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  27 ottobre 2020