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RIFLESSIONI
Homo Insaziabilis
Umberto Puccio


Quando una nave, durante una terribile tempesta, rischia di affondare, e l' estrema possibilità di salvezza per i passeggeri e per la nave stessa è quella di alleggerirla il più possibile, si deve decidere cosa non è necessario e un criterio unico di scelta che prescinda dai gusti e dall' interesse personale di ciascuno.
Chi si imbarca, sa che deve obbedire alle regole di bordo e alle disposizioni del Comandante, su cui, in ultima istanza, risiede la responsabilità della salvezza di equipaggio e passeggeri. Penso venga spontaneo il parallelo tra la situazione sopra descritta e quella in cui oggi ci troviamo ad opera dello tsunami Covid-19. Certo, uno Stato è una realtà ben più complessa (in termini politici, sociali, economici) di una Nave. Ma in una situazione di emergenza estrema mi sembra ci si debba comportare come in una nave che sta per affondare.

Non bastano l' affermazione generica "siamo tutti sulla stessa barca", gli appelli accorati all' unità e alla collaborazione: occorre dire chiaramente cosa concretamente significano, in questa situazione, "unità" e "collaborazione".
Prendendo dall' esempio "marinaro": 1)  che ci sia un decisore autorevole e un comando unico; 2) che la catena di comando (dal Primo ufficiale all'ultimo mozzo) funzioni; 3) che equipaggio e passeggeri abbiano piena fiducia (di buona o di cattiva voglia) nel Comandante e nelle sue disposizioni, a prescindere da quelli che ne saranno i futuri risultati. Mi sembra che in Italia in questi giorni stia accadendo tutto il contrario (e che molti dell'equipaggio e dei passeggeri "remino contro").

Ma vengo al nocciolo della questione: la pandemia e le misure  per contenerla ci costringono a riflettere sulla  condizione attuale della Società italiana e sul meccanismo in essa prevalente. Riflettere non per riprodurla tale e quale una volta sconfitta (o contenuta) l'espansione del virus Covid-19, ma per immaginare una Società diversa, più resistente alla pandemia attuale e a quelle future e agli effetti negativi del cambiamento climatico. 
Si dirà che questo tipo di riflessioni mira troppo in alto, è di tipo filosofico, idealistico e contrasta con la realtà data nella sua dura contingenza. Questa obiezione rivela che la nostra mente è totalmente schiava e schiacciata dal peso dell' oggi, della coazione a ripetere le risposte date nel passato, anche quando esse si rivelano inadeguate a risolvere un problema nuovo.

Se partiamo dal bisogno primario, che è quello alimentare e ripercorriamo a grandi linee la sua evoluzione nella specie umana, notiamo la cesura avvenuta con la cosiddetta Rivoluzione agricola, la cui causa molti attribuiscono a quell'evento definito nella Bibbia "Diluvio Universale", di cui esistono prove scientifiche.
Il ritiro delle acque in Egitto e in Mesopotania avrebbe creato la cosiddetta "mezzaluna fertile", cioè le condizioni ambientali e climatiche che la resero possibile.
Prima di tale evento gli uomini erano cacciatori e raccoglitori di ciò che la natura forniva loro in misura sufficiente a sopravvivere. In questa lunghissima fase gli uomini erano in totale sintonia con la natura stessa  La concorrenza con gli animali, che soddisfacevano il bisogno alimentare allo stesso modo degli umani, ne limitavano fortemente l' incremento demografico. Anche molti animali, nella stagione buona, mettono da parte le scorte alimentari sufficienti per sopravvivere all' inverno (oppure, vanno in letargo).

Con la Rivoluzione agricola l'uomo si è separato dalle altre specie animali, anche dai primati più prossimi a lui. La quantità della produzione agricola è diventata  indipendente dal bisogno alimentare e si è trasformata in indicatore della ricchezza e del potere di chi (individuo o gruppo) se ne appropriava. La socialità "naturale" dell' uomo cacciatore (simile a quella dei lupi) si è trasformata in socialità strutturata secondo i meccanismi del possesso e non più commisurata con la forza fisica del singolo. Sono nate allora la struttura politica e l' organizzazione statuale. Dall' animismo primitivo si è passati allo zoomorfismo e all' antropomorfismo religiosi, con cui veniva legittimato il potere degli anziani.

Soprattutto, è nata allora la logica del più, che ha investito non solo il bisogno primario, ma anche tutti gli altri bisogni secondari che l' evoluzione culturale e sociale ha prodotti e moltiplicati. Mi basta un esempio. Il bisogno alimentare subisce oggi uno distorsione quantitativa, derivante da un bisogno secondario: quello del conformarsi al modello di bellezza prevalente nella società. Anoressia e Bulimia sono le due patologie a cui conduce l'estremizzazione in meno o in più del bisogno alimentare. Non mi interessano qui le cause psicologiche e sociali di tali patologie, bensì l' aspetto di cui sopra, che apre una nuova riflessione: quella su una società che ha perso il senso dell' equilibrio.

Non analizzo i cambiamenti operati dalla Prima e dalla Seconda rivoluzione Industriale, nonché dalla Rivoluzione informatico-telematica. Mi limito ad osservare che la "logica del più" si è trasformata in una vera e propria dittatura.
E' vero che l' "andare oltre", la sete di sempre maggiore conoscenza, sono la molla dell'evoluzione sociale e del progresso scientifico. Ma quando si separano dai loro contenuti, diventano fattori di regresso. Non è oscurantismo medievale ricordare il "folle volo" dell' Ulisse dantesco. Lì Ulisse veniva punito non tanto per aver superato il limite del Mondo Antico (le Colonne d' Ercole), ma per aver superato il limite imposto da Dio: nessun uomo, da vivo, può approdare al Purgatorio. Solo Dante (che aveva un' altissima stima di sé) può farlo, seppure in una finzione letteraria. Ma noi, Ulissi contemporanei, rischiamo di venir travolti da un "turbo" simile a quello dantesco, se continuiamo a sfidare non la Legge di Dio, bensì la Legge della Natura. Natura che, come afferma Leopardi nel “Dialogo della Natura e di un Islandese”, non fa sconti a nessuno. E a cui la scomparsa della specie umana non farebbe né caldo, né freddo.

La dittatura del "sempre di più" si manifesta non solo nella totale sudditanza dell' uomo contemporaneo alla crescita continua del PIL, ma anche in tutti gli altri modi con cui cerca di soddisfare i bisogni, a partire da quello, primario, dell' alimentazione. Cerca, senza riuscirci: perché schiavo di una sorta di "bulimia dei bisogni". Insomma l' uomo contemporaneo può definirsi appartenere ad una nuova specie: quella dell' "Homo insaziabilis". 

La scienza moderna è nata con la misurazione dei fenomeni in termini quantitativi, matematici. Il successo, meritato, delle Scienze naturali, ha però avuto un effetto secondario del tutto negativo: la misurazione in termini quantitativi di fenomeni non comprensibili in termini matematici.  Insomma, la qualità non è riducibile alla quantità. Un esempio è quello della qualità della vita: è vero che essa si basa su una certa quantità di beni, ma non si riduce ad essa. Anzi, se la quantità viene considerata in termini assoluti, in ordine aritmetico-numerico crescente (da zero all'infinito) si trasforma nel suo contrario, in "disqualità".

Un' altra distorsione della società contemporanea, per cui essa può essere definita come "società del superfluo", è la separazione di fatto tra l' uso di un bene e il suo possesso: o meglio, l'acquisizione e il possesso di un bene non è motivata dal (e limitata al) suo uso effettivo, ma prescinde totalmente da esso. Non si acquista un nuovo bene della stessa categoria "merceologica", perché l' uso del precedente lo ha completamente consumato e reso non più fruibile da sé o da altri. ma per motivazioni diverse di carattere psicologico e sociale: di carenze affettive e identitarie personali, che inducono alla bulimia consumistica; nonché di imitazione e competizione sociale.
Si nota qui l' ossimoro tra "consumato" e "consumismo". Gli esempi sono molteplici: uno, il più classico, è l'acquisto di libri come arredo del salotto.

L'affermarsi del consumismo di massa, prima negli Stati Uniti, poi nell' Europa e nel Mondo intero dopo la Seconda guerra mondiale, ha rivoluzionato il comportamento individuale e collettivo. Chi, in Italia, è nato durante questo conflitto e ha vissuto la sua infanzia negli anni dell' immediato dopoguerra, è stato costretto, dalla situazione di penuria e di ristrettezza di tutti i beni primari, a riflettere che niente è dovuto, che tutto richiede impegno e costa fatica. Di qui il senso del rispetto (che oggi sembra evaporato, sostituito da un delirio di rivendicazione di ogni cosa come un diritto naturale):
1) rispetto dell' altro e del suo lavoro, quale che esso sia;
2) rispetto dell' oggetto, in quanto prodotto dalla fatica e dall' impegno fisico e intellettuale dell' individuo e/o della collettività;
3) rispetto dell' ambiente, in quanto substrato essenziale dell'esistenza, ampiamente violentato dalle distruzioni belliche.

Il possesso di un bene era strettamente connesso con il suo uso. I vestiti e le scarpe passavano dal fratello maggiore al minore e si buttavano via soltanto quando erano completamente consunti . A tavola, non ci si poteva alzare, se non si aveva "pulito" il piatto di tutto il suo contenuto. Lo spreco del cibo non era consentito: e neppure immaginabile.  Oggi è tutto il contrario: l' atteggiamento diffuso è una sorta di altezzoso disprezzo verso ogni cosa, che rivela l' infantilismo di fondo della società contemporanea. E che può ben definirsi "Società dello Spreco".

L' attuale Pandemia ci riporta ad una situazione simile a quella bellica, in quanto ci costringe a soddisfare solo i bisogni primari e ci inibisce la soddisfazione di tutti gli altri bisogni secondari e/o indotti: soprattutto ci dovrebbe far riflettere sulla necessità di una scelta fra questi ultimi. Ma il post-Covid dovrebbe indurci a cambiare i nostri comportamenti individuali e collettivi, facendo riemergere quei tre valori che hanno connotato il nostro Dopoguerra; che hanno reso possibile il boom economico degli anni Sessanta; e che abbiamo rimossi ad opera dell' ubriacatura consumistica. Basterebbe riflettere sulla torsione semantica subita dai termini "economia" e "economico" e tornare al loro significato originario (che ancora si può rilevare dall' espressione "fare economia", sinonimo di "risparmiare"). Il termine greco "oiconomia" significa "amministrazione della casa" ed è composto da "oicos" (casa, dimora) e "nòmos" (legge, ordinamento). Si noti che questo significato originario si collega strettamente con quello del termine "ecologia", in cui "oicos" è usato nella sua accezione più ampia di "ambiente naturale". Si potrebbe concludere che l' uscita in avanti dalla Pandemia sta nella convergenza tra riconversione economica ed ecologica.

Il valore di un prodotto non dovrebbe essere misurato in termini monetari, bensì in termini di "risparmio energetico".  Facile  a dirsi, ma assai difficile a farsi. Eppure, "hic Rodus, hic saltus"! La locuzione latina: "Natura non facit saltus" (ripresa da Leibniz a sostegno del suo finalismo ottimistico) sembrerebbe contraddire la precedente. Le più recenti teorie hanno messo in dubbio la continuità dell' Evoluzione: essa procede sì per fasi successive, ma il passaggio da una fase all'altra è dovuto alla rottura dell' equilibrio dinamico (o instabile) preesistente a favore di un diverso equilibrio dinamico. In altri termini, avviene ad opera di una frattura, di un salto. Anche il Clima segue questa dinamica. 

Ma qui mi interessa la prospettiva politica, cioè la vexata questio: Riforme o Rivoluzione. Se si considera la storia politica, ci si rende conto che i cambiamenti sono avvenuti per rotture rivoluzionarie, seguite da apparenti ritorni indietro (Riforma-Controriforma; Rivoluzione Francese-Restaurazione). Oggi siamo di fronte ad un evento (la Pandemia) che ci pone in una posizione difficile e scomoda: da una parte, la continuità con il passato (soluzione riformistica) non risolve il problema in quanto riproduce le stesse condizioni che l'hanno, se non generata, senz' altro favorita; dall' altra la consistenza e durezza del passato rendono irrealistica la soluzione rivoluzionaria, intesa come capovolgimento totale del passato.

Occorre immaginare una soluzione intermedia.
La soluzione intermedia può configurarsi come scelta tra i bisogni. che oggi sono le molle della vita dell'individuo e della società. Una volta effettuata tale scelta, la riconversione economica ed ecologica, anche se graduale, sarà orientata e controllata, in modo che proceda verso il fine ultimo del benessere personale, sociale e del Pianeta stesso. Si dirà che questo è dirigismo economico, tipico dei sistemi politici autoritari e/o dittatoriali. Ma l'esito negativo delle forme storiche di dirigismo economico non può essere addotto come motivo per negare l'evidenza dell' esito negativo del selvaggio liberismo economico della cosiddetta globalizzazione dell' ultimo trentennio.

Certo, è molto più semplice e comodo affidarsi ai meccanismi del Mercato, considerati neutri e oggettivi in quanto valutati in termini quantitativo-matematici. E' vero che il danaro è stato, da un certo momento in poi (da quando ha sostituito il valore d'uso e il valore di scambio) il medium riconosciuto universalmente proprio per la sua misurabilità matematica. La locuzione latina "Pecunia non olet" ci dice inoltre che il danaro sfugge a qualsiasi valutazione sul come è stato ottenuto e sarà usato.

Ma, visto che noi viviamo in un mondo globalizzato in quasi tutti i campi, perché non cercare di globalizzare l'ultimo e non meno importante campo: quello della ricerca di un modo di convivenza tra gli uomini e con l'ambiente naturale di questo Pianeta che non sia quello disumano del danaro e del profitto di pochissimi a scapito dei moltissimi?
E non mi si dica che in questo ultimo trentennio a livello globale il numero degli individui che vivono sotto il livello della povertà assoluta è enormemente diminuito. Il parametro usato per definire questa soglia è quello del reddito pro capite misurato in termini monetari. Ciò non dice nulla sulla qualità della vita dei sempre più numerosi individui che superano tale livello. Come la mettiamo, inoltre, con progressivo e preoccupante fenomeno dell' impoverimento della classe media?

Umberto Puccio



RIFLESSIONI
GLI ARTICOLI PUBBLICATI
  1 – Riflessioni
  2 – Principi irrinunciabili
  3 – Tesoretto
  4 – La scuola
  5 – Catalogna e affini
  6 – Competenze
  7 – Identità e diversità
  8 – Identità e diversità 2
  9 – Igiene lessicale
10 – Democrazia
11 – Anniversari
12 – Tifosi d'Italia, l'Italia s'è desta
13 – Popolo!
14 – Né patria, né matria, “FRATR ÍA”
15 – L'ipocrita polemica sulle “fake news”
16 – Il discorso di Fine d'anno
17 – Neologismi
18 – La retorica dell'”anniversario”
19 – Smartphonite
20 – C'era una volta il dialogo!
21 – La crisi istituzionale che viene da lontano
22 – Dissesto idrogeologico e Legge urbanistica
23 – Le parole della politica: autonomia
24 – Europa ed europeismo
25 – La Svolta
26 – Le parole della politica: "statalismo"
27 – Le parole della politica: "sviluppo", "sostenibilità", "sostenibile"
28 – Utopia
29 – Le parole della politica: semplificazione, macchina burocratica, statalismo
31 – L'insegnamento della Pandemia
32 – Le parole della politica: diritti, libertà, responsabilità, potere decisionale
33 –
"Etica del Sacrifico" ed "Etica della Rinuncia"
34 – Homo Insaziabilis


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  20 novembre 2020