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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

L’affrontare temi della realtà contemporanea, pur in un contesto locale, non ci può esimire dall’approfondirli in un’ottica più ampia: storica, culturale, politica e sociale. Lo studio, l’analisi, la critica, il sano esercizio del saper distinguere e del dare il proprio significato alle parole, il ricostruire i fatti per quello che sono è un esercizio complesso e impegnativo che richiede il suo tempo; un esercizio al quale non si può rinunciare se si vuole tentare, quantomeno, di interpretare al meglio la realtà che ci circonda. Neofascismo, antifascismo e democrazia sono i grandi temi alla base del fenomeno dell’estrema destra monzese e non solo. Avere una maggiore consapevolezza su questi temi ci permetterà di avere una più chiara comprensione del fenomeno che stiamo analizzando.
Sull'antifascismo - 7




Nell'aprile del 1998 si svolge a Roma un convegno dal titolo “Fascismo e antifascismo: rimozioni, revisioni, negazioni. La storia d'Italia dal fascismo alla Repubblica nel contesto europeo”. Sotto la responsabilità scientifica dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia e della Fondazione Micheletti, il convegno prende spunto da una sollecitazione delle associazioni partigiane, riunite nel Corpo volontari della libertà, come ricorda Enzo Collotti nella prefazione al libro che ne raccoglie gli atti (ed. Laterza, luglio 2000): “Era evidente che all'origine di quelle sollecitazioni si collocavano le preoccupazioni derivanti dalla constatazione che, al di là della discussione storiografica, un mutamento complessivo di clima politico e culturale rischiava di provocare una cesura di memoria particolarmente significativa in un momento di trapasso generazionale, sottolineato oramai dal fisiologico assottigliarsi della generazione di coloro che avevano preso direttamente parte all'impegno dell'antifascismo e della Resistenza.” Occorreva, secondo gli organizzatori, verificare le coordinate culturali e politiche del cambiamento in corso e valutarne le ricadute dal punto di vista dell'interpretazione storica e nel rapporto tra storia e memoria o, meglio, tra storia e memorie. Per Leonardo Rapone – docente di Storia contemporanea all'Università degli studi di Viterbo – già più di dieci anni prima sulla rivista “Problemi del socialismo” in un fascicolo dedicato a “Fascismo e antifascismo negli anni della Repubblica” (n°7 del 1986) alcuni studiosi sottolineavano fra le altre anche: “ … le responsabilità della sinistra politica e culturale, sia per i suoi ritardi e le sue disattenzioni sul piano della ricerca storiografica attorno al nodo del fascismo, sia per aver rappresentato l'antifascismo con sembianze e caratteri funzionali alle sue esigenze di legittimazione nel trentennio successivo alla liberazione, ma tali da non reggere alla lunga distanza alla prova dell'accertamento scientifico: per aver fatto cioè un impiego politico della categoria dell'antifascismo destinato ad esaurirsi con il mutare delle circostanze che ne avevano suggerito la convenienza.”


Da li a poco, a seguito delle interviste di Renzo De Felice al “Corriere della Sera”, si sarebbe aperta la querelle sull'antifascismo, all'interno della quale per Leonardo Rapone: “ … colpisce l'assenza di riferimenti all'antifascismo come movimento reale, come fenomeno storico concreto, come scelta di vita, azione politica, comportamento quotidiano di donne e di uomini che negli anni della dittatura si provarono a tracciare per sé e per la società italiana una direzione di sviluppo diversa da quella che suggeriva l'adattamento conformistico al potere … E' tempo che gli storici riprendano lo spazio che hanno colpevolmente lasciato agli ideologi e ai polemisti di professione. Alla rivendicazione del valore politico e morale dell'antifascismo si addice la sobrietà della ricostruzione storica. Come è cattiva storiografia quella che pretende di svuotare di senso le opposizioni e le lacerazioni della nostra recente storia nazionale o di ricomporle attraverso eque ripartizioni di colpe, così non si rende un servizio ai meriti storici dell'antifascismo presentandolo come un fenomeno immune da contraddizione. Non solo raffigurazioni celebrative e a tutto tondo dell'epopea antifascista non sono in grado di comunicare emozioni alle nuove generazioni, ma hanno rappresentato un insidioso fattore di vulnerabilità dell'ideale antifascista. Bisogna aver fiducia nell'efficacia esplicativa dell'argomentazione storica: all'obiezione che la distinzione fascismo/antifascismo sarebbe secondaria rispetto a quella democrazia/antidemocrazia, la ricostruzione del processo storico concreto, che è altra cosa dalla speculazione teorica, replicherà che l'antifascismo, non solo come motivo ideale, ma come concreto e composito fronte di alleanze, è la forma che in un'epoca determinata del Novecento ha necessariamente assunto la lotta per la democrazia.” Non è un compito facile, sottolinea Mario Isnenghi – professore di Storia contemporanea e direttore del Dipartimento di Studi storici all'Università Ca' Foscari di Venezia: “Non è facile, per il professionista della storiografia, rimanere sordo e inerte rispetto alla messa a soqquadro del passato, imposta dai riposizionamenti politici del presente, e cui i principali media dilatano gli spazi, moltiplicando ad arte controversie e dualismi. Politici, giornalisti, ma anche studiosi eminenti contribuiscono a dichiarare il non senso o persino il carattere criminale di ciò che ha costituito il senso di tante vite, appena ieri, desertificando il passato. Ai finalismi storici si pretende di sostituire le finalizzazioni del presente.” Tutto ciò “ … esprime la solita riscrittura della storia ad opera di chi ritiene che si sia entrati in un nuovo ciclo e vuole starvi da vincitore con identità alleggerite dai pesi del passato. Le sottintese - e persino apertamente ventilate – simmetrie tra antifascismo e anticomunismo, così come tra fascismo e comunismo, rappresentano la posta in gioco, l'equiparazione sottesa a gran parte del dibattito odierno, quando dalle dimensioni di studio trapassa alle forme ingigantite, cioè alla vulgata, neomoderata, del discorso pubblico. Come se, mentre in Germania il passato che non passa è il nazismo, in Italia esso fosse paradossalmente diventato, invece, l'antifascismo. E' chiaro che la Resistenza dovrebbe togliersi a questo punto di torno.”
Per Giorgio Rochat – ordinario di Storia delle istituzioni militari presso l'Università di Torino: “ Il riferimento all'antifascismo e alla Resistenza non è un rituale di comodo (salvo che nelle celebrazioni ufficiali, che non ci interessano), è ancora oggi un riferimento pesante, che costringe a prendere posizione, che divide, non tollera false unanimità, abbracci e assoluzioni reciproche. Poiché troppi sembrano dimenticarlo, vale la pena di ricordare che patria e identità nazionale si sono sempre affermate attraverso lacerazioni profonde, come nel nostro Risorgimento o in una Francia ancora oggi divisa nella valutazione della Rivoluzione del 1789.”


E a proposito dello slogan in voga in questi ultimi anni della “morte della patria” avvenuta l'8 settembre del 1943 lo storico ricorda come sia uno slogan: “… tutto politico e gridato contro bersagli di comodo. L'8 settembre muore la patria fascista, imperiale e monarchica, la patria guerriera che aveva invaso e insanguinato l'Etiopia e i Balcani e portato le truppe italiane alla sconfitta; la patria uguale per tutti, perché imposta dalla dittatura, dalla polizia, dalla censura. In realtà questa patria aveva cominciato a morire negli anni precedenti (come sa chi studia la guerra di Mussolini), morirà ufficialmente il 2 giugno del 1946, ma l'8 settembre è comunque una buona data. E infatti l'8 settembre ritornano le altre patrie: la patria liberale e democratica che si rifà al Risorgimento, la patria antifascista di Giovanni Amendola e di Ferruccio Parri. La patria socialista e comunista, così profondamente radicata nelle masse cui prometteva un riscatto sociale e una nuova dignità nella società nazionale. La patria di tanti giovani che rischiavano la vita per trovare valori collettivi più alti dopo le mistificazioni della scuola fascista. La patria degli ufficiali monarchici che volevano rompere con un passato di inganni, di soperchierie e di umiliazioni. La patria cattolica nell'interpretazione democratica di De Gasperi e della Democrazia cristiana partigiana. La patria della Resistenza non è imposta, né uguale per tutti, lascia spazio a differenze e contrasti, si ritrova unita nella guerra contro il nazifascismo, per valori di democrazia, libertà e rigore morale che ognuno deve riconquistare, rispettando le altre patrie dei compagni di lotta. L'8 settembre la patria non è morta, è rinata su un progetto comune, più forte delle divisioni interne. Il nostro compito è rivendicarla contro tutte le delusioni, le mistificazioni, le aggressioni successive.”


Gianpasquale Santomassimo – docente di Storia della storiografia contemporanea presso il Dipartimento di storia di Siena – nella sua relazione su “Il ruolo di Renzo De Felice”, pur riconoscendo come la sua opera abbia “ ... fornito grandi e imprescindibili contributi documentari e interpretativi alla storia del fascismo ...” sottolinea come la stessa sua opera abbia dato “ ... luogo a una lunga e aspra polemica con la storiografia antifascista, alimentata dai mass media e dalle interviste dell'autore, che è stata parte integrante, in Italia, del dibattito storiografico sul fascismo e che ha rappresentato il terreno di contesa più vistoso e ricorrente nella polemica attorno al passato nazionale ... Più che Renzo De Felice, ha agito infatti una vulgata defeliciana ... costruita da stampa e televisione.” Ciò ha comportato “ ... a partire dagli anni Ottanta, l'instaurazione di un nuovo senso comune che, stravolgendo completamente la storia di questo paese, ha raffigurato l'antifascismo come sinonimo di faziosità, di pregiudizio ideologico e di sterile moralismo, e, al contrario, la rivisitazione benevola e giustificativa del fascismo come sinonimo di antinconformismo, di apertura mentale e di spregiudicatezza.” Una vulgata che ancora una volta vede al centro delle polemiche, con risalto assoluto, il ruolo dei comunisti italiani, con argomentazioni le quali, secondo Giovanni De Luna, rendono : “ ... impossibile esplorare fino in fondo il vero paradosso della storia italiana del novecento, quello che ha indirizzato nelle file del Pci un torrente di energie collettive più vive e reali dell'ideologia che le incanalava, così da trasformare in Italia in anelito di libertà e di riscatto quelle stesse idee che in altri paesi volevano dire totalitarismo e sterminio.“ Per lo storico De Luna il progetto revisionista quando si esplicita affermando la propria fede liberale “ ... sembra prendere le mosse ancora una volta da Del Noce e dalle sue polemiche contro “il paradigma modernista incarnato nell'intreccio di scientismo, positivismo, progressismo e laicismo”, selezionando “nell'artificialismo razionalistico e nel giacobinismo politico proprio alle culture della trasformazione rivoluzionaria” il nemico assoluto. In questo senso, come scrive Marco Revelli (ndr La Storia d'Italia riscritta dalla destra. “Teoria politica”, n.1 1997), “il vero peccato mortale dell'antifascismo consisterebbe nella lotta contro le radici, contro la tradizione italiana, nella sua carica dissolutiva delle aggregazioni fondamentali di patria e famiglia.”

Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2
16 - Sul neofascismo - 3
17 - Sul neofascismo - 4
18 - Sull'antifascismo - 1
19 - Sull'antifascismo - 2
20 - Sull'antifascismo - 3
21 - Sull'antifascismo - 4
22 - Sull'antifascismo - 5
23 - Sull'antifascismo - 6
24 - Sull'antifascismo - 7



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  19 luglio 2019