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Democrazia ed estrema destra
Il caso monzese
Umberto De Pace

fasci

Tra i tanti problemi che l'Europa si trova oggi di fronte, il riemergere di movimenti di ispirazione fascista e o nazista sarebbe un grave errore ritenerlo un fenomeno marginale. Se era prevedibile che tra gli effetti della grande crisi economica mondiale di questi anni, accompagnata dall'imponente fenomeno delle migrazioni, vi fosse anche la deriva populista, xenofoba e razzista, le politiche fin qui adottate per contrastarla, in gran parte hanno contribuito ad ampliare il consenso verso chi con demagogia e spregiudicatezza sfrutta il disagio sociale per i propri scopi e fini politici.
Sulla democrazia - 1


Nell'affrontare i temi del fascismo e dell'antifascismo non ci si può esimere dal prendere in considerazione il tema fondamentale della democrazia. I motivi che ci impongono tale riflessione sono molteplici a partire dal principio che il fascismo è la negazione della democrazia, al suo rapporto e ai suoi legami con l'antifascismo, ai diritti e doveri che è in grado di garantire e imporre una democrazia e altro ancora. Ma c'è un motivo fra tutti che oggi non possiamo fare a meno di affrontare ed è quello della “crisi della democrazia”. E' pur vero che da sempre le polemiche e i contrasti di vedute accompagnano le discussioni e prese di posizione su questa forma di governo e che non sono mancati nel corso della storia altri momenti di crisi, ma certamente oggi stiamo attraversando un periodo storico nel quale se ne avverte la particolare fragilità e precarietà.

Il sociologo Sabino Acquaviva

Il sociologo Sabino Acquaviva (1929-2015) nel suo libro dal titolo eloquente “La democrazia impossibile. Monocrazia e globalizzazione della società.” (Marsilio Editori, febbraio 2002) delineava all'alba del nuovo millennio una democrazia “perdente” di fronte alla “macchina finanza-produzione-consumismo-consumo” che stritola i valori non funzionali al suo modello e “ ... facilita la diffusione della noia del mondo, di un mondo che, privo di ideali, dà la sensazione che non ci sia, alla fine, granché di importante per cui valga la pena di lottare, anche politicamente.” Una società sostanzialmente depressiva che vive alla giornata o quasi: “Ai grandi scenari di un tempo, fascismo, socialismo, liberalismo, si sostituisce il vuoto.” Della democrazia rimane la forma e un involucro vuoto: “ ... l'efficienza e la razionalità organizzativa si sostituiscono all'etica. Il tecnicamente certo soppianta l'eticamente possibile.” Fondamentale in tale processo è il ruolo svolto dai media, per lo più involontario a suo dire, ma teso a “ ... demitizzare, destrutturare, distruggere, dissacrare ...” per favorire la “ ... nascita di un uomo nuovo, anzitutto consumatore. Ma anche anoressico, bulimico, depresso.”
Come abbiamo già visto nelle puntate precedenti con le riflessioni e analisi sulla società contemporanea da parte di Pier Paolo Pasolini e di Augusto del Noce, pur ognuno in forme diverse, anche Sabino Acquaviva individua fin dai primi anni settanta quel “nuovo potere” che tende a manipolare gli uomini attraverso “ ... il pensiero umano oggettivato nelle macchine e nell'artificio tecnologico dell'ambiente, per mezzo del pensiero e del pensato tecnico-scientifico.” Per comprendere le trasformazioni in atto occorre, secondo il sociologo, valutare: “ … tre aspetti della vita culturale e sociale: il linguaggio, il pensiero, il potere.” Dal “nuovo potere” insorgente a cavallo degli anni '70, si passò allo “sgangherato” consumismo degli anni settanta e ottanta, per giungere alle soglie del nuovo millennio a quell'”ideologia invisibile” intorno alla quale si forma il consenso. La “politica” è surclassata dalla “tecnica”, il suo spazio, che lo studioso definisce “non politica o a-democrazia” si dilata continuamente. Un ruolo modesto la politica lo ha anche nei confronti della “rivoluzione digitale” che relega la democrazia a decisioni oramai marginali. La sua forza in fondo è una illusione”… indispensabile perché è sempre meglio di una dittatura. Verrà utilizzata almeno fino a quando, appunto, non si inventerà qualcosa di più adeguato alla natura umana e all'organizzazione e gestione dell'umanità.” All'interno della rivoluzione digitale e sull'onda dell'ideologia del libero mercato e della globalizzazione “La nostra esperienza, sale e sapore personale della libertà e della democrazia … non avviene più a contatto con il mondo, con la realtà che dobbiamo liberamente e razionalmente giudicare, ma anzitutto con la sua rappresentazione operata dai media … “ e da “ … un'infinità di mezzi tecnologici che ci consentono di girare il mondo senza muoverci, di essere in un luogo senza esservi, di fare finta di decidere su qualche cosa senza farlo, di vivere la democrazia senza viverla, di “esserci” in realtà senza esserci.” La democrazia è diventata così un'utopia, ed è per questo che Sabino Acquaviva a conclusione del suo saggio sostiene che “E' tempo di inventare il futuro” non disdegnando se possibile, fra le varie ipotesi, di essere democratici usando le tecniche del progresso scientifico.

Giacomo Costa

Padre Giacomo Costa – direttore di “Aggiornamenti Sociali” – nel suo editoriale dello scorso ottobre dal titolo “La democrazia cambia pelle” rileva come proprio in questi giorni, pur a seguito della chiusura di una crisi politica, che chiude un estate nella quale la politica italiana ha offerto uno spettacolo di “… volgarità, pochezza e superficialità delle argomentazioni e non di rado autentica ignoranza …”, rimanga palese “ … una situazione di affaticamento e progressivo svuotamento della vitalità della democrazia che oramai va avanti da anni e che non riguarda solo l'Italia … Per molti di coloro che hanno vissuto con passione l'esperienza democratica e politica italiana ed europea della seconda metà del XX secolo è innegabile un sentimento di umiliazione e avvilimento perché, con ogni evidenza, il dibattito pubblico, onesto e appassionato, che si regge sul valore dato alla parola e mira a identificare soluzioni condivise e inclusive, non è più considerato, neppure teoricamente, il motore di un sistema autenticamente democratico.” Aggiungendo come per i democratici cattolici si sia aggiunta una umiliazione supplementare: “… quella di vedere simboli di fede trasformati in talismani alla conquista del consenso di una opinione pubblica che è alla ricerca disperata di punti di riferimento affidabili, ma privati di qualsiasi connessione riconoscibile con il messaggio evangelico.” Giacomo Costa riporta i dati di un sondaggio pubblicato lo scorso aprile da Pew Research e svolto in 27 Paesi, nel quale risulta che: “ … in media il 51% degli intervistati è insoddisfatto di come la democrazia stia funzionando nel proprio Paese, con un minimo del 30% in Svezia e un massimo dell'85% in Messico. In Italia la percentuale di insoddisfatti risulta nel 2018 del 70%. Il malcontento affonda le radici nelle preoccupazioni per l'economia, per la tutela dei diritti individuali e i privilegi delle élite, ed è alla base dell'affermazione di leader e movimenti che si definiscono antisistema. Questo affaticamento della democrazia è confermato dalla sensazione che essa abbia perduto la propria capacità propulsiva del cambiamento sociale.” In questo quadro, se le forze democratiche vengono percepite impegnate nella difesa dello status quo, quelle radicali, le quali criticano o addirittura avversano il sistema democratico, invece catturano e accendono l'entusiasmo dei cittadini. “… la democrazia come l'abbiamo conosciuta e praticata nella seconda metà del XX secolo non esiste più ed è inutile pensare che sia possibile restaurarla … Dall'impasse usciamo solo se ci rendiamo conto e accettiamo che la democrazia non è malata, ma sta cambiando pelle, come del resto è già successo più volte nel corso della sua storia … In fin dei conti, la democrazia cambia perché è lo specchio di una cultura che sta anch'essa mutando.” La sua capacità “ … di mutare potrebbe essere la chiave per la sua permanenza, in forme diverse ma continuando in modo nuovo a salvaguardare i valori di libertà e uguaglianza da cui nasce.”

Robert Alan Dahl (fonte wikipedia)

Per Robert A. Dahl (1915-2014), politologo statunitense, nel suo saggio “Sulla democrazia” (Editori Laterza, gennaio 2000): “Una spinta alla partecipazione democratica nasce da ciò che possiamo chiamare “la logica dell'uguaglianza””. Gli studi sulle società tribali indicano come nei gruppi umani dediti alla caccia e alla raccolta fossero possibili forme di democrazia primitiva quale sistema politico più “naturale”. Con l'avvento di comunità più sedentarie, dedite prevalentemente all'agricoltura e al commercio, forme di governo gerarchiche e basate sul dominio divennero in seguito a loro volta più “naturali”. Una “democrazia primitiva” che veniva reiventata in forme più avanzate attorno al 500 a.c. nell'antica Grecia. Furono probabilmente gli ateniesi a coniare il termine anche se con la parola demos essi si riferivano in genere all'intero popolo ma, qualche volta, anche al popolo comune o addirittura ai poveri. Talvolta la parola “democrazia” veniva usata dagli aristocratici come una sorta di epiteto “… per esprimere il disappunto verso il popolo comune che aveva loro tolto il controllo del governo.” “All'incirca nello stesso periodo in cui il governo popolare fu introdotto in Grecia, esso fece la sua comparsa anche in Italia, a Roma. I romani, però, chiamarono il loro sistema “repubblica”, da res, che in latino significa cosa o affare, e pubblicus ovvero pubblico: a grandi linee, la repubblica è la cosa che appartiene al popolo.” All'inizio il diritto di partecipazione al governo era limitato ai patrizi o aristocratici ma, in seguito a una lunga lotta, anche il popolo comune (la plebe) si conquistò l'accesso al governo. Per Robert A. Dahl le parole “democrazia” e “repubblica” non indicano tipi diversi di governo, quanto: “Riflettono, a costo di creare poi confusione, una differenza tra greco e latino, le due lingue da cui derivano.” La democrazia fin dai suoi inizi è un processo in continua evoluzione: “ … la logica dell'uguaglianza favorì la creazione di assemblee locali grazie a cui gli uomini liberi potevano partecipare almeno in una certa misura al governo. L'idea che i governi avessero bisogno del consenso dei governati, inizialmente legata soprattutto alla tassazione, divenne gradualmente un principio generale riferito alle leggi.” Con l'espandersi, numerico e territoriale, delle comunità prende corpo l'esigenza della rappresentanza, e questa a differenza della tradizione ateniese basata sul sorteggio o per scelta casuale, si orientò verso la elezione. Dalle assemblee locali si passò ai parlamenti. Naturalmente la democrazia non è mai stata l'unica forma di governo possibile, ma una delle tre forme in base alle quali vengono classificate, secondo la tradizione dei classici, a seconda del diverso numero dei governanti, i governi. Le altre due sono la monarchia e l'aristocrazia in cui il potere è esercitato, rispettivamente, da uno oppure da pochi.

Bassorilievo ritraente Erodoto

Così ci ricorda Norberto Bobbio nel suo trattato su Democrazia/dittatura (Giulio Einaudi Editore, Enciclopedia vol. IV, luglio 1978) evidenziando come la disputa sui pregi e i difetti della democrazia ha radici antiche, nelle quali “ … alcuni argomenti pro e contro la democrazia sono presentati e fissati una volta per sempre”.Si può far cominciare questa disputa dalla discussione riferita da Erodoto (Storie, III, §§ 80-82), fra tre personaggi persiani, Otane, Megabizio e Dario, sulla miglior forma di governo da instaurare in Persia dopo la morte di Cambise … Il difensore della democrazia, Otane, dopo aver criticato il governo monarchico perché il monarca “può fare quello che vuole, senza rendere conto ad alcuno”, chiama il governo del popolo con il “nome più bello d'ogni altro: uguaglianza di diritti”, e lo definisce come quello in cui “il governo è soggetto al rendiconto e tutte le decisioni sono prese in comune”. Per Megabizio, difensore dell'aristocrazia: “ … “non v'è nulla di più stolto e di più insolente d'una folla buona a nulla”, sicché non è tollerabile che “per sfuggire alla prepotenza d'un tiranno, debbano cadere nell'insolenza d'un popolo sfrenato.” Per Dario, difensore dell'aristocrazia: “… quando è il popolo che governa, è impossibile che non nasca la corruzione nella sfera pubblica, la quale non genera inimicizie, ma anzi solide amicizie tra i malvagi.”

Umberto De Pace

GLI ARTICOLI PUBBLICATI
0 - Prologo
1 - Perché Monza?
2 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 1
3 - Bran.Co. e Lealtà Azione - 2
4 - Forza Nuova - 1
5 - Forza Nuova - 2
6 - CasaPound - 1
7 - CasaPound - 2
8 - CasaPound - 3
9 - Lorien e Progetto Zero
10 - Lorien e Compagnia Militante
11 - A.D.ES.
12 - Le radici dell'estrema destra monzese - 1
13 - Le radici dell'estrema destra monzese - 2
14 - Sul neofascismo - 1
15 - Sul neofascismo - 2
16 - Sul neofascismo - 3
17 - Sul neofascismo - 4
18 - Sull'antifascismo - 1
19 - Sull'antifascismo - 2
20 - Sull'antifascismo - 3
21 - Sull'antifascismo - 4
22 - Sull'antifascismo - 5
23 - Sull'antifascismo - 6
24 - Sull'antifascismo - 7
25 - Sull'antifascismo - 8
26 - Sull'antifascismo - 9
27 - Sull'antifascismo - 10
28 - Sull'antifascismo - 11
29 - Sull'antifascismo - 12
30 - Sulla democrazia - 1



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  13 novembre 2019