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RIFLESSIONI
Guerra, pace e pacifismo
Umberto Puccio



La guerra tra l' Ucraina e la Federazione Russa ha riportato al centro dello scontro politico il dibattito sul cosiddetto "pacifismo" e sui "pacifisti". La prima conseguenza dell'affermarsi della logica di guerra (cioè della divisione, sia nel pensare, sia nell'agire, in due modalità assolutamente contrapposte e inconciliabili, sino alla semplificazione estrema del "mors tua, vita mea"), nonché la distinzione e definizione di un aggressore e un aggredito, è stata la messa in un angolo di qualsiasi posizione intermedia, definita come "utopia pacifista" di "anime belle" che, vigliaccamente, non "prendono posizione" e non si sporcano le mani con le durezze e le atrocità della storia.
Analogamente è stata fatta una distinzione tra "pacifismo assoluto" e "pacifismo relativo” (o pragmatico), giustificando la validità del secondo in base al principio della liceità all'autodifesa della propria vita e integrità personale di fronte alla violenza altrui. Anche un teologo "progressista" come Mancuso ha abbracciato questa seconda posizione, rifacendosi ad alcune affermazioni delle lettere di San Paolo.

Si potrebbe obiettare che nel nostro codice esiste la fattispecie dell' "eccesso di legittima difesa": e quindi, sul piano del diritto positivo, la legittima difesa non ha validità assoluta.
Inoltre l'autodifesa collettiva (di un gruppo o, nella dimensione maggiore, di uno Stato) è cosa diversa dall' autodifesa individuale, normata dalle leggi dello Stato di cui l' individuo è parte. La singola persona (in quanto unione di corpo fisico e di coscienza morale) ha dei contorni (o "confini"). ben definiti, come ben definite sono le proprietà personali. Il singolo Stato invece presenta grossi problemi di identificazione: non si identifica, infatti, in un territorio fisico delimitato da precisi confini geografici, bensì in un territorio, la cui delimitazione deriva da una convenzione accettata da tutti e garantita dal cosiddetto "diritto internazionale". Donde il concetto di "integrità territoriale" di uno Stato.
Ma qui sorgono due problemi, due aporie in cui ci troviamo invischiati.

1) Non esiste, allo stato attuale, un' autorità suprema (o sovranazionale, che dir si voglia) che possa e abbia l'effettiva forza cogente di far rispettare concretamente il diritto internazionale  e garantire "erga omnes" il principio dell' integrità territoriale. L'ONU, come tutte le guerre e le controversie internazionali dalla sua fondazione ad oggi hanno confermato, così come è stato congegnato e strutturato dalle potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, non è questa autorità suprema; dipende, come forza militare coercitiva, dai contingenti forniti dai vari Stati; ed è in balia dei rapporti di forza e degli interessi delle potenze nazionali. L' effetto concreto è quello di una delegittimazione dello stesso diritto internazionale, data la sua applicazione saltuaria e non "erga omnes".

2) Gli attuali Stati Nazionali sono costituiti da entità molteplici, differenti e spesso contrastanti fra di loro (per etnia e/o religione). A differenza dei corpi delle persone fisiche, sono dei corpi le cui membra confliggono tra di loro e tendono a separarsi, appellandosi al principio dell' "autodeterminazione dei popoli", anch' esso teoricamente (e contradditoriamente, rispetto a quello del'integrità territoriale) garantito dal Diritto internazionale e, di fatto, applicato arbitrariamente e saltuariamente, per le stesse ragioni esplicitate riguardo al principio precedente.

Dalla fine del secondo conflitto mondiale (e già in esso), la guerra ha cambiato natura ed aspetto:
1) oltre che coinvolgere ogni zona del mondo è risultata come un'insieme di conflitti armati, più o meno estesi, senza un inizio ed un termine temporalmente definiti: è diventata GUERRA CONTINUA intervallata da periodi di tregua armata, senza risoluzione delle controversie territoriali, ideologiche ed etnico-religiose, di cui si è alimentata (ma non causata) e continua ad alimentarsi, proprio per il persistere delle cause geopolitiche ed economico-finanziarie che la determinano;
2) è diventata guerra totale, senza più un Codice di guerra ben definito (come nelle guerre "tradizionali"), basato sulla distinzione tra civili e militari. Ad essa, a partire in misura prevalente dalle guerre nella ex-Yugoslavia, prendono parte, affiancandosi agli eserciti "regolari" (o sostituendoli) altre "figure" non ben definite e distinguibili chiaramente nei loro rapporti: "foreign fighter", "volontari", "contractor", "agenzie militari" (indirettamente "dipendenti" da Stati ufficialmente "non belligeranti"), "miliziani" e "mercenari" buoni per tutte le cause.
In tali guerre si genera un conflitto radicale tra persone spesso parenti tra di loro e/o conviventi nello stesso territorio: conflitto che si configura come vera e propria guerra civile.
Non essendoci più una regolamentazione della guerra, viene indebolita la categoria stessa dei "crimini di guerra" e dei "crimini contro l'umanità": non solo perché i Tribunali di giustizia internazionale agiscono a posteriori con pene difficilmente e parzialmente eseguibili, ma anche e soprattutto perché è QUESTO TIPO di guerra la causa dei crimini ed è ESSO STESSO il "crimine contro l'umanità".

A questo punto mi sembra necessario cambiare l' approccio (e la definizione) di quel fenomeno che chiamiamo "pace", come proiezione di un passato remoto ("età dell'oro") o di un futuro utopico. Se continuiamo a considerarlo in questa prospettiva, non riusciamo ad uscire dalla trappola logica della contrapposizione tra reale e ideale. Quel fenomeno che chiamiamo pace non è, di fatto, altro che TREGUA tra due episodi di guerra guerreggiata.

Donde la necessità di sostituire al termine "pacifista" la seguente definizione: chi si batte perché tale tregua si trasformi in convivenza collaborativa e inclusiva tra le comunità umane, attraverso l'applicazione a tutta la specie umana del "tabù della guerra". E ciò sia necessario per la sua stessa sopravvivenza.

Umberto Puccio


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  28 settembre 2022